Sono un grande appassionato della commediografia di Luigi Pirandello: mi appassiona, in modo particolare, il suo “Così è (se vi pare)”. L’opera è incentrata su un tema molto caro a Pirandello: l’inconoscibilità del reale, di cui ognuno può dare una propria interpretazione che può non coincidere con quella degli altri. Si genera così un relativismo delle forme, delle convenzioni e dell’esteriorità, un’impossibilità a conoscere la verità assoluta.
Che la Verità assoluta esista o meno è cosa tantomeno irrilevante: è questo il messaggio finale di lettura dell’opera dove Pirandello mette lo spettatore di fronte ad una sorta di ‘barriera sul palcoscenico’ costringendolo ad interrogarsi sul significato stesso di ciò che ha appena visto e l’assenza stessa di significato. Protagonista assoluto di scena, il dramma esistenziale della vita umana nella sua infinita complessità, ed in virtù del teorema, il fatto che la Verità assoluta, quella imprescindibile non esiste. A seguito dell’acceso dibattito tra i personaggi di un piccolo ambiente provincial-borghese infatti, la Verità è per ciascuno ‘come pare’.
Questa la breve premessa, scopiazzata da Wikipedia, per arrivare ad applicare il teorema pirandelliano al premierato draghiano (più che al governo presieduto da Mario Draghi). Il dibattito fra i migliori analisti ed osservatori politici finisce appunto per mettere la questione draghiana su un palcoscenico, imprigionandola nella finta diatriba fra continuismo e nuovismo, fra democrazia e tecnocrazia.
Da una parte si ritiene che Mario Draghi stia succhiando la ruota di Giuseppe Conte e non faccia altro che proseguire quanto già era in avanzato stato di costruzione nel cantiere giallo-rosso: così per la pandemia, così per il Recovery plan. Dall’altra si intravede un autorevole e notevole cambio di passo, che sta dando risultati apprezzabili sia nella lotta al coronavirus sia nella preparazione dell’enorme piano di investimenti sostenuto finanziariamente dall’Unione Europea.
Da una parte si considera che Draghi sia il prodotto di una discesa in campo dei cosiddetti “poteri forti” e di un maxi-accordo pasticciato tra soggetti troppo diversi per trovare la quadra di una seria azione riformatrice. Dall’altra parte si prende atto realisticamente del fallimento della politica a cui hanno portato gli attuali partiti e si considera Draghi come il miglior commissario straordinario possibile e immaginabile per garantire la sopravvivenza dell’azienda Italia.
Da una parte si grida allo scandalo della democrazia violata e sottratta al potere del popolo in nome della supremazia della tecnica, dall’altra si evidenzia come la gente abbia salutato con favore la salita al potere di personaggi capaci di fare il loro mestiere e quindi in grado di supplire ai limiti della politica politicante.
Da una parte si osserva con preoccupazione la discesa del Paese agli inferi dell’economia e dei suoi potentati palesi ed occulti, dall’altra si saluta con soddisfazione e fiducia la forte presenza sulla scena europea ed internazionale di un personaggio autorevole, che, come al solito, profetizza più all’estero che in patria.
Da una parte si indica pessimisticamente il bicchiere mezzo vuoto delle riforme tutte da fare, dall’altra si guarda ottimisticamente al bicchiere mezzo pieno di un governo in grado di governare il presente con sano realismo e di puntare al futuro ostentando una seria capacità di favorire ed avviare una certa ripresa economica.
Da una parte si piange sul debito pubblico in grande aumento e ci si chiede come potrà mai fare il governo Draghi ad avere il consenso necessario per una politica di sacrifici, dall’altra parte si pensa che l’ostacolo del debito pubblico possa essere aggirato e diluito con la prospettiva di una imminente e duratura crescita economica e con il mantenimento di una imprescindibile fiducia della UE e dei mercati.
Da una parte si concedono al governo Draghi i minuti contati, giusto il tempo per ricominciare i litigi fra i partiti allorquando si dovranno operare scelte impegnative e impopolari; dall’altra parte si auspica che l’attuale governo, pur con tutti i limiti e i difetti, possa durare il più a lungo possibile, almeno fino alla scadenza della legislatura prevista per il 2023.
Si potrebbe continuare, ma mi sembra di avere dato l’idea dell’approccio così frastagliato e superficiale emergente dal dibattito colto (?): tutto sommato credo che siano più obiettivi e seri i dibattiti da osteria (?), quelli della gente che va al sodo e non si perde in disquisizioni di carattere pseudo-politico. L’unico modo infatti per uscire dal labirinto pirandelliano della ricerca astratta della verità è quello di accettare la concretezza della realtà per quella che è, misurandola sulla pelle della gente che soffre e non può permettersi il lusso di sottilizzare e pontificare.
Qualcuno, Marco Travaglio tanto per non fare nomi, assimila la “cotta” verso Draghi all’infatuazione per il “ghe pensi mì” di berlusconiana memoria, al “lasciamoli lavorare” di fascistoide provenienza. Fortunatamente qualcun’altro, Massimo Giannini sempre per non fare nomi, chiarisce che Draghi non è il frutto proibito di un putsch istituzionale, ma la risultante di una difficile quadratura del cerchio operata da Sergio Mattarella nell’interesse del popolo italiano.