La sanità campata in ARIA

Le gravi e clamorose deficienze lombarde emergenti dall’operazione vaccini inducono tristemente a riflessioni politiche ed istituzionali. Una serie di casini partita col difficile reperimento di mascherine e dispositivi di protezione individuale, proseguita con la vicenda dei camici parentali, col fallimento dell’app di tracciamento “made in Lombardia”, coi vaccini antiinfluenzali scarsi e costosi per culminare nel flop delle prenotazioni per i vaccini anti covid, malamente gestita da Aria, l’azienda regionale per l’innovazione e gli acquisti.

Non intendo, nel modo più assoluto, fare speculazione sulle difficoltà della regione Lombardia: lascio a chi di dovere l’obbligo di rientrare nella serietà dell’affrontare i problemi, abbandonando le assurde ed ingiustificate smanie protagonistiche. A buon intenditor poche parole! Non voglio nemmeno colpevolizzare la Lombardia per assolvere il resto dell’Italia, anche se di seguito farò riferimento prevalente ad essa per giungere a discorsi di più ampia e profonda portata: ogni regione ha dimostrato infatti i suoi limiti e i suoi difetti.

So già che la Lombardia rifiuterà lo strumentale tentativo di buttare via il bambino di una sanità qualificata assieme all’acqua sporca delle inefficienze e incongruenze burocratiche ed organizzative. So benissimo che la Lombardia tenderà a difendersi accampando il peso storico che si è scaricato sulle proprie strutture sanitarie, causa la debolezza strutturale di parecchie altre zone del Paese. Tutte verità sacrosante, che però non esimono dal fare un esame critico della situazione.

È innegabile che le scelte politiche della regione Lombardia siano andate da tempo nel verso sbagliato di una sanità centralizzata e privatizzata a scapito di una sanità decentrata e pubblica, lasciando scoperto un territorio che sta mostrando tutte le proprie lacune ed impreparazioni.

È altrettanto innegabile che la regione Lombardia sia stata una testa di ponte per la rivendicazione di scriteriate ed esagerate opzioni autonomistiche a scapito di un equilibrato e coordinato andamento istituzionale a livello nazionale. Mario Draghi ha recentemente ed ironicamente parlato di bandierine regionali da ammainare di fronte all’emergenza, che richiede unità di sforzi e di intenti.  Non ha senso interpretare e vivere l’autonomia regionale come una sorta di liberi tutti in casa propria: la casa è di tutti e la libertà deve trovare dei limiti in quella degli altri.

Tutta l’impostazione della legislazione regionalistica va rivista e riequilibrata con grande senso di responsabilità e senza paura di rimodulare la velocità di sviluppo sull’intero territorio nazionale. Non è vero che regionale sia sinonimo di bello ed efficiente, mentre nazionale comporti inefficienza e burocrazia: sono semplificazioni che stanno saltando in aria come birilli. Chi all’esordio della istituzione delle Regioni nutriva perplessità a livello di difesa dell’unità nazionale aveva torto, ma aveva ragione. Per dirla con l’allora segretario del Psi Francesco De Martino, non si verificò alcun colpo di stato regionale supportato dall’esercito dei vigili urbani, ma si è, col tempo, teorizzata e praticata un’Italia a più velocità che, alla fine, sta rallentando tutto e tutti. Urge rivedere i meccanismi istituzionali.

Il decentramento regionale non ha poi significato semplificazione e snellimento burocratico, finendo spesso con l’aggiungere burocrazia a burocrazia e creando una deleteria e incompetente burocrazia a macchia di leopardo. Il governatorato regionale, autentica macchietta di un sano e proficuo decentramento di potere, ha scatenato una rissa istituzionale nella quale il cittadino ha perso riferimenti, interlocuzioni e partecipazioni. Dulcis in fundo, anche i fenomeni di corruzione non sono stati messi in crisi, ma, al contrario, hanno trovato ulteriori punti di attacco al sistema.

L’emergenza pandemica ha fatto esplodere tutte le contraddizioni e quindi anche quelle dell’ordinamento regionale. Le carenze istituzionali italiane nell’affrontare la situazione sono state tre: la mancanza di collaborazione tra Governo e Parlamento, la conflittualità politica tra maggioranza ed opposizione, la divaricazione tra azione centrale e regionale. Non è un caso che Mario Draghi, arrivato in ritardo non per colpa sua, stia tentando disperatamente di quadrare questi tre cerchi impazziti.

Purtroppo e probabilmente ogni regione ha la sua Aria da cambiare, ma bisogna avere il coraggio di aprire le finestre e forse anche le porte. Qualcuno dovrà ritarare anche la propria strategia politica basata su falsi primati: il coronavirus non risparmia nessuno, figuriamoci chi ha fatto del perbenismo regionale uno schema d’attacco politico al sistema nazionale. Le balle regionali stanno in poco posto.