La prima della classe senza classe

«Non dobbiamo fare la gara a chi ha ragione o torto. Dobbiamo remare tutti nella stessa direzione: serve un grande patto di salvezza nazionale e le Regioni sono dentro questo schema». Per Mariastella Gelmini, ministra per gli Affari regionali, non è il momento delle polemiche ma di uno sforzo collettivo per portare il Paese fuori dall’emergenza.

Ho letto con grande piacere e con malizioso stupore queste dichiarazioni costruttive e mi sono chiesto: vuoi vedere che la Gelmini punta a fare il presidente della Repubblica alla scadenza del mandato di Mattarella? Sì, perché l’atteggiamento è talmente alto e responsabile da insospettire, soprattutto se si ricorda quanto diceva l’opposizione a proposito di emergenza covid durante il periodo del governo Conte.

Miracolo provocato dal concerto di tre personaggi: Mattarella, Draghi e…Berlusconi. Facciamoli santi subito (i primi due santi, il terzo, non esageriamo, solo beato fra i suoi affari) e non se ne parli più. Così diversi e così uguali nel provare a tirarci fuori dai guai. Lasciamo perdere che Berlusconi punti a difendere gli interessi, più o meno leciti, delle sue aziende: fatto sta che ha dato l’ordine ai suoi seguaci di cambiare registro e loro stanno ubbidendo. Però non dovrebbero esagerare perché rischiano di ridicolizzare il governo con le loro improvvisate conversioni quaresimali.

Non è mai troppo tardi, anche se certi comportamenti responsabili avrebbero dovuto essere assunti parecchio tempo fa. Chiedo umilmente scusa, ma faccio una doppia digressione, una di carattere calcistico a cui ne sovrappongo un’altra di stampo famigliare. Divaghiamo un po’, ma non tanto…

Il concetto, che aveva mio padre del fenomeno calcio, tagliava alla radice il marcio; viveva con il setaccio in mano e buttava via le scorie, era un “talebano” del pallone. Pretendeva che il dopo partita durasse i pochi minuti utili per uscire dallo stadio, scambiare le ultime impressioni, sgranocchiare le noccioline, guadagnare la strada di casa e poi…. Poi basta: “Adésa n’in parlèmma pu fìnna a domenica ch’ vén”. Si chiudeva drasticamente e precipitosamente l’avventura calcistica in modo da non lasciare spazio a code pericolose ed alienanti, a rimasticature assurde e penose.

L’unica eccezione era la lettura dell’opinione di Curti, pubblicata sul quotidiano locale del lunedì, un commento essenziale ed equilibrato che finiva, quasi sempre, con la solita sconsolata espressione “un’altra partita da dimenticare”. E mio padre chiosava: “Pri tifóz dal Pärma a gh vól la memoria curta”. Anche per chi si interessa di politica occorre la memoria corta, diversamente si riuscirebbe a salvare pochissimi esponenti dei partiti (la Gelmini sarebbe in bilico).

C’è stato un periodo della vita politica nazionale in cui il fatto centrale delle cronache era costituito dallo strappo finiano nei confronti della destra berlusconian-leghista. Era mai possibile che si facesse dipendere l’evoluzione della politica italiana da un post-fascista (per non dire ex-fascista), che “non sapeva un cazzo ma lo diceva bene” (definizione affibbiatagli da un uomo di cultura missino di cui non ricordo il nome)? Eravamo ridotti al lumicino, ci accontentavamo di poco o eravamo talmente disperati da attaccarci alla prima scialuppa di salvataggio intravista?

Ebbene oggi siamo ancor più malridotti per i noti ed ovvi motivi ed abbiamo fortunatamente scovato due scialuppe a cui attaccarci, mi riferisco a Mattarella e Draghi. Per favore li lascino lavorare e non interferiscano lanciando altre equivoche barchette: stiamo affogando e non è il caso di creare ulteriore confusione. Mariastella Gelmini non faccia la prima della classe, non ne ha la classe. Forse non sa un cazzo, ma lo dice bene.  Mi sentirei, proprio per il bene di tutti, di consigliarle: «Tóla su dólsa!».