Tutti i membri del Consiglio di Amministrazione di Aria hanno rassegnato le loro dimissioni, richieste dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana. Lorenzo Gubian (ex direttore generale dell’agenzia regionale) ricoprirà il ruolo di amministratore unico. È arrivato dunque il passo indietro, auspicato da Fontana, da parte degli ormai ex amministratori di Aria, dopo le dure critiche per i disservizi informatici registrati nel corso della campagna vaccinale in tutto il territorio della regione. Parole capaci di alimentare ancor più il forte vento delle polemiche riguardanti l’efficacia della campagna vaccinale in Lombardia.
Nel gennaio 2021 si era dimesso l’assessore lombardo alla sanità Giulio Gallera dopo lunghe polemiche sul suo operato e sulle sue dichiarazioni ripetutamente sparate alla viva il parroco. La Lega aveva sacrificato l’alleato in giunta più per autodifendersi che per cambiare veramente passo. Allo scoppio dell’epidemia Fontana e Gallera apparivano frequentemente insieme in televisione e, con tono rassicurante ed efficientistico, sembravano voler dire: tranquilli, siamo qui noi, in Lombardia andrà tutto bene.
Purtroppo per i lombardi e per tutti gli italiani (siamo sulla stessa barca) non è andata così. Nell’affrontare il disastro della pandemia vale più che mai la regola evangelica del “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, tuttavia i peccati ci sono stati e chi li ha commessi dovrebbe fare anche un po’ di penitenza. Restando in Lombardia, siamo proprio sicuri che l’istituto delle dimissioni non si applichi a chi le chiede agli altri? Mi riferisco al presidente Fontana, che mi sembra attaccato alla seggiola non tanto per orgoglio e interesse personale al mantenimento del potere (che peraltro lo ha logorato parecchio), ma per difendere il buon nome e la reputazione della Lega governante. Salvini non può permettersi il lusso di ammettere che il suo partito non è quel mostro di bravura e di attaccamento alla gente, continuamente sbattuto in faccia all’elettorato. Stando ai sondaggi si tratta del primo partito a livello di consensi e le vicende lombarde potrebbero innescare una caduta (quasi) libera.
“Caro signor Fontana…”, canta, con ironica ma ingenua supponenza, sir John Falstaff, rivolto a mastro Ford nel capolavoro di Verdi. Si era presentato a lui sotto mentite spoglie per tirarlo in un tranello in cui peraltro si era già ficcato per suo conto. Forse Salvini, inguaiato assai in casa propria mentre spara ad alzo zero contro l’inguaiata Europa, starà cantando qualcosa di simile ad Attilio Fontana, governatore leghista, ma i lombardi saranno disposti a fare con lui “più ampia conoscenza” o l’avranno già conosciuto abbastanza. Attenzione perché mastro Ford (alias signor Fontana) nell’opera verdiana resta gabbato: infatti l’opera si conclude con la famosa fuga finale culminante nel “tutti gabbati”. Per tornare alla realtà, gabbato Fontana, gabbato Salvini, gabbati i lombardi, gabbati gli italiani, soprattutto quelli che votano Salvini perché (s)parla bene.
Uno degli istituti giuridici da me preferiti è quello delle dimissioni: quando una persona si accorge di non avere svolto con la dovuta competenza la funzione assegnatale, dovrebbe avere il buongusto di farsi da parte. Non c’è niente di male nell’ammettere le proprie responsabilità ed i propri errori. Non sarebbe il caso, ad esempio, che anche Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, dopo il disastroso flop maturato nell’acquisizione e distribuzione dei vaccini anti-covid, facesse un passo indietro anziché continuare a chiedere scusa e a dispensare abbondanti sorrisi? Non sarà certo tutta colpa sua se la UE sta rischiando di perdere irrimediabilmente la faccia su una vicenda di gravità eccezionale, ma quando si ricoprono certi incarichi bisogna sapersene assumere le responsabilità.
Mi si dirà che usando questo criterio forse, in campo politico e non solo, si dovrebbe dimettere mezzo mondo. Può darsi, ma qualcuno dovrà pur dare il buon esempio e dare il via alla riscoperta di questa prassi virtuosa. Nei due casi suddetti ne guadagnerebbe la credibilità della regione Lombardia, rimessa seriamente nel suo ruolo di utile anche se non unica punta di diamante, e dell’Unione Europea, ricollocata nella sua dimensione prospettica di autentica federazione di Stati a servizio dei cittadini.