Matteo Salvini non molla. È convinto che nel Paese cresca l’insofferenza per la clausura e insiste perché sia allentata prima possibile. Contesta la scelta di lasciare chiuso tutto fino alla fine di aprile. Così, sul tema delle riaperture, la Lega di governo si trasforma in Lega di lotta. Su Facebook, Salvini affida la sua posizione a una delle sue tipiche domande retoriche: «Se dopo Pasqua, fra dieci giorni, la situazione sanitaria in tante città italiane sarà tornata tranquilla e sotto controllo, secondo voi sarà giusto riaprire bar, ristoranti, scuole, palestre, teatri, centri sportivi e tutte le attività che possono essere riavviate in sicurezza? Secondo me sì» (La stampa del 28 marzo 2021).
Enrico Letta al riguardo scopre l’acqua calda: “Salvini illude gli italiani”. Sono anni che lo sta facendo e forse Letta si era distratto. Adesso dovrà fare i conti anche con questo gioco leghista che non si ferma nemmeno di fronte alla più immane delle tragedie: il tritacarne salviniano del consenso a tutti i costi è una velenosa caratteristica della politica italiana. È perfettamente inutile gridare al lupo, bisogna sconfiggerlo snidandolo sul suo terreno: forse è quanto sta facendo Mario Draghi, che in conferenza stampa non ha degnato di risposta chi gli faceva notare i contrasti con la Lega. Della serie “lasciamolo dire, prima o poi la gente capirà…”.
Ma il nuovo segretario PD ha fatto un’altra scoperta interessante: nella fretta assurda e strumentale di cambiare i capi-gruppo parlamentari del partito, nascondendosi dietro un deviante femminismo di facciata, ha riscontrato che il suo partito è diviso e rissoso e basta una nomina per scatenarne appetiti e contrasti. I casi sono due: o Letta intende fare esplodere le contraddizioni per poi ricostruire raccogliendo progressivamente i cocci dopo avere pagato le rotture, oppure si è illuso di avere tanto e tale carisma da risolvere sul nascere i vari contenziosi.
Terza magata: ha incontrato Giuseppe Conte lasciando chiaramente intendere che l’alleanza con il M5S sarà la sua scelta politica. Tutto qui? I tuoni e le piogge lettiani non mi scuotono e non mi convincono a tirare fuori dall’armadio l’ombrello del vero Pd, quello che sognavo da troppo tempo. Non è questione di nostalgia. È solo un doveroso omaggio alla memoria storica da cui abbiamo ancora tanto da imparare. Voglio fare quindi un tuffo del tutto personale in questi ricordi, chiamandoli anche per nome e cognome, anche a costo di ripetermi. Manderò di seguito una specie di lettera aperta a Enrico Letta, consigliandogli di smetterla di fare il “fenomeno”, di tenere un atteggiamento irritante di “saputello”, di giocare a briscola con la parità di genere, di giocare a tombola con gli organigrammi, di giocare al gioco dell’oca con il renzismo. Mi sento troppo coinvolto per lasciarlo girare a vuoto impunemente. Per favore, si fermi a riflettere, la smetta di pontificare e voli basso sui problemi o, per meglio dire, voli alto sui valori e dia un’occhiatina alla storia.
Torno, a metà degli anni sessanta, sui banchi di scuola. Con un mio compagno di classe, Mario Tanzi, l’amicizia andava oltre il sano cameratismo scolastico per allargarsi al dialogo umano, culturale e politico. Io cattolico e democristiano, lui non cattolico e comunista: di fronte alla realtà incandescente di quegli anni riuscivamo, pur partendo da culture e sensibilità diverse, a trovare un fervido terreno d’incontro, un punto di convergenza in base ai valori che ci ispiravano (la giustizia sociale, l’attenzione alle classi popolari, la laicità della politica, etc.). Ci scambiavamo esperienze, idee, ansie, preoccupazioni, dubbi e certezze. Eravamo addirittura in anticipo di dieci anni rispetto al compromesso storico. Ci ritrovammo dopo alcuni anni, impegnati entrambi nel movimento cooperativo, lui quello di matrice socialista, io quello di ispirazione cristiana: il dialogo riprendeva con una immediatezza sorprendente e con affascinante fluidità. Poi arrivammo quasi a lavorare insieme a servizio delle cooperative, prescindendo dagli schemi, che, nel nostro piccolo, eravamo stati capaci di superare coraggiosamente e, oserei dire, pionieristicamente. Quando si costituì il partito democratico andai a quelle esperienze di quarant’anni prima e mi dissi: per me e Tanzi la fusione arrivava in ritardo, meglio tardi che mai!
Poi ci sono i ricordi più strettamente politici. Nella mia vita ho cercato di esprimere l’anelito alla vera politica, aderendo all’azione della sinistra cattolica all’interno della D. C., in un impegno nel territorio, nelle sezioni di partito, nel consiglio di quartiere, laddove il dialogo col PCI si faceva sui bisogni della gente, delle persone, laddove si condividevano modeste ma significative responsabilità di governo locale, laddove la discussione, partendo dalle grandi idealità, si calava a contatto con il popolo. Quante serate impiegate a redigere documenti comuni sulle problematiche vive (l’emarginazione, la scuola elementare, l’inquinamento, la viabilità), in un clima costruttivo (ci si credeva veramente), in un rapporto di reciproca fiducia (ci si guardava in faccia prescindendo dalle tessere di partito). Mi sia permessa una caustica riflessione: forse costruivamo dal basso, senza saperlo, il vero partito democratico, molto più di quanto abbiano fatto i leader nel 2007 e soprattutto molto più di quanto stiano facendo alcuni fra quelli attuali, che rischiano di buttare a mare anche la nostra storia, confondendo ancora una volta gli ideali con le ideologie e i valori con le proprie incallite posizioni.
Ho avuto l’onore di essere allora presidente del quartiere Molinetto (io democristiano sostenuto anche dai comunisti) in un’esperienza positiva, indimenticabile, autenticamente democratica. Ricordo con grande commozione il carissimo amico Walter Torelli, scomparso da diversi anni, comunista convinto, col quale collaborai in un rapporto esemplare, sfociato in un’amicizia, che partiva dall’istituzione (quartiere) per proseguire nel dibattito fra i partiti, per arrivare alla condivisione culturale ed ideale di obiettivi al servizio della gente.
Mi sento in dovere di ripensare con gratitudine a quando Torelli, a nome del Pci, mi dichiarò la sua totale disponibilità ad appoggiare la mia candidatura a presidente di quartiere: la cosa mi riempì di orgoglio e soddisfazione. Riuscimmo infatti a collaborare in modo molto costruttivo.
Tutta la mia militanza politica e partitica è stata caratterizzata da questa convinta e costante ricerca del dialogo, a volte tutt’altro che facile, a volte aspro e serrato, ma sempre rivolto al servizio della popolazione in nome dei valori condivisi.
Durante le animate ed approfondite discussioni con questi carissimi amici, uomini di rara coerenza etica e politica, agli inizi degli anni novanta si constatava come alla politica stesse sfuggendo l’anima, come se ne stessero andando i valori e rischiasse di rimanerci solo la “bottega” ed al cittadino non restasse che scegliere il “negozio” in cui acquistare il prodotto adatto alla propria “pancia”. Fummo facili profeti.
Non serve aggiungere altro. Penso di avere già chiarito a sufficienza il mio pensiero in ordine alla politica attuale ed al PD. Ho chiamato, mi piace farlo sempre, le persone con nome e cognome. Senza esagerare, credo che un po’ tutti i protagonisti della storia del PD abbiano sottovalutato e stiano sottovalutando, con la loro insulsa presunzione, una piccola grande storia in cui mi sento personalmente coinvolto assieme ai citati amici. Caro Letta, non ho la tessera del PD, ma sappia che qui è in gioco molto di più. Ci metta il cuore o saremo sempre daccapo!