In piena bagarre AstraZeneca, esce un documento stilato da Inail, Iss, ministero della Salute e Aifa contenente nuove raccomandazioni per i vaccinati: un autentico rompicapo, che sembra fatto apposta per scoraggiare l’adesione dei cittadini alla vaccinazione, peraltro già fortemente compromessa dalle allarmanti o allarmistiche (come di si voglia) notizie sui potenziali rischi conseguenti alla vaccinazione stessa (per ora si parla solo di AstraZeneca).
La prima reazione è stata quella di non leggere questo documento per evitare di aggiungere ansia ad ansia, poi mi sono fatto forza e l’ho letto e riporto di seguito le impressioni senza entrare nel merito (non ne ho le capacità). In buona sostanza si butta una secchiata di acqua gelida sulle pur timide speranze di un ritorno alla normalità post-vaccinale.
Mi si perdonerà la seguente digressione evangelica. “Si avvicinarono a lui (Gesù) alcuni che erano del gruppo dei farisei. Essi volevano metterlo in difficoltà, perciò gli domandarono: «Un uomo può divorziare dalla propria moglie per un motivo qualsiasi?». Gesù rispose: «Non avete letto ciò che dice la Bibbia? Dice che Dio fin dal principio maschio e femmina li creò. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una cosa sola. Così essi non sono più due ma un unico essere. Perciò l’uomo non separi ciò che Dio ha unito». I farisei gli domandarono: «Perché dunque Mosè ha comandato di mandar via la moglie dopo averle dato una dichiarazione scritta di divorzio?». Gesù rispose: «Mosè vi ha permesso di mandar via le vostre donne perché voi avete il cuore duro; ma al principio non era così. Ora io vi dico: se uno manda via la propria donna – salvo il caso di una relazione illegale – e poi ne sposa un’altra, costui commette adulterio». Allora i suoi discepoli gli dissero: «Se questa è la condizione dell’uomo che si sposa, è meglio non sposarsi»”.
Qualcuno, forse a ragione, penserà che questa citazione c’entri come i cavoli a merenda. L’ho introdotta solo per rendere l’idea della durezza delle regole post vaccinazione, tale da mettere seriamente in dubbio la convenienza a vaccinarsi. Oserei dire in azzardata similitudine: “Se questa è la condizione del vaccinato, è meglio non vaccinarsi!”. Già in partenza occorre fare un bilancio preventivo e presuntivo tra rischi e benefici. Superato questo primo ostacolo psicologico, se ne pone quindi un altro: vale la pena vaccinarsi per poi dover continuare ad osservare dure regole di comportamento come se non si fosse vaccinati? Tutto perché la copertura è assai incerta e la prudenza non è mai troppa. Infatti in concomitanza con il varo di questo documento arriva la notizia che il vaccino AstraZeneca non sarebbe efficace contro la variante sud-africana del virus: la ciliegina sulla torta.
Verrebbe da chiedersi: a che gioco giochiamo? Da una parte incoraggiamenti e rassicurazioni, dall’altra messaggi chiaramente non solo cautelari ma oserei dire scoraggianti e paralizzanti. La vicenda sta assumendo sempre più toni pirandelliani.
Chi ci assiste dal punto di vista medico-sanitario dovrebbe aiutarci a risolvere i nostri problemi di salute e possibilmente non complicarceli ed implementarceli, introducendo dubbi e paure nel nostro già precario equilibrio psicologico. La strada della vaccinazione si fa sempre più ripida e problematica. Nessuno ci sta aiutando a decidere, si stanno scaricando sulle nostre spalle i problemi che la scienza non ha il coraggio di risolvere (sarebbe chiedere troppo), ma nemmeno di affrontare? Ed ecco un’altra citazione evangelica. “In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente».
C’era un mio amico che si preoccupava molto dei toni da usare nei confronti delle persone altolocate, in particolare dei suoi superiori gerarchici a livello professionale, al punto da chiedersi: «Sónja stè pòch complimentôz con la mojéra dal mè diretór?». Non ho simili scrupoli e forse a volte esagero, ma lo faccio a fin di bene (sic!). E non mi interessa un cavolo di indispettire le mogli (o i mariti) di scienziati, virologi, microbiologi, infettivologi, primari ospedalieri, medici di base, capi di governo, ministri, sottosegretari, parlamentari etc. etc. Loro non si scompongono e continuano imperterriti a sputare le loro sentenze. Mia sorella era forse ancor più caustica di me e chiosava sarcasticamente: «Tant, se i sbaglion, at mór ti…e miga lôr».