14/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Gioele 2,12-18; Salmo 50; 2Corinti 5,20-6,2; Matteo 6,1-6.16-18.

 

Riflessione personale

 

Inizia la lunga Quaresima. Preghiera, digiuno ed elemosina: tre impegni sostanzialmente collegati fra di loro, interdipendenti; se ne togli uno, diventi zoppo durante il cammino di conversione. Il loro massimo comune divisore è l’assoluta discrezione.  La vanagloria deve essere bandita dal nostro atteggiamento interiore ed esteriore. In una società egocentrica, che punta alla meritocrazia, cura l’immagine, cerca il lusso, risulta oltremodo difficile impegnarsi sui tre fronti quaresimali. Il digiuno, assieme all’astinenza dalle carni, un tempo era imposto in modo rigoroso. Ha senso?  Solo se viene vissuto non con l’atteggiamento del fariseo, ma con quello del pubblicano. Non quindi per assolvere ad un obbligo e mettere a posto la coscienza, ma per andare in crisi di coscienza. Non per acquistare dei meriti, ma per riconoscere i propri limiti. Non per aderire ad una religiosità chiusa e malinconica, ma per professare e testimoniare una fede aperta e gioiosa. Sì, perché la Quaresima non è un tempo di tristezza e angoscia, nonostante inizi col rito delle Ceneri poste sul capo: è un periodo di presa di coscienza della caducità dell’esistenza umana, che ci dovrebbe portare a viverla non per noi stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per noi. Per diverso tempo mi accostai al sacramento della confessione tramite un anziano padre cappuccino: questo frate mi colpiva per la serenità con cui si comportava. Glielo feci notare. Lui mi rispose: «Dobbiamo renderci conto che Gesù non è venuto in terra per fare una passeggiata, ma per salvarci a caro prezzo: noi siamo salvi, destinati ad una vita meravigliosa e quindi dobbiamo essere felici, sempre, anche nei momenti più difficili».