Pane e Sanremo

Come ben si sa, non fa notizia che un cane morda un uomo, ma che un uomo morda un cane. Il fatto del giorno non è l’alto indice di ascolto televisivo del Festival di Sanremo. Che stupisce e fa notizia è la sbandierata soddisfazione della Rai e della sua dirigenza per gli 11,6 milioni di spettatori davanti al video. L’ente radiotelevisivo canta vittoria, ha preparato con un impegno incredibile questo evento e adesso enfatizza in modo spudorato il risultato ottenuto. La Rai ha sostanzialmente trasmesso il Festival di Sanremo a reti unificate, vista la scarsità qualitativa dei programmi alternativi; ha pubblicizzato per giorni e giorni questo spettacolo, con una insistenza ed un’attenzione degne di miglior causa; per una settimana Sanremo ha letteralmente monopolizzato la televisione pubblica.

Si tratta della vittoria di Pirro: grande share per la kermesse sanremese che accredita una Rai ricreativa a danno delle reti e dei programmi culturali. Ho notato come regolarmente nella presentazione dei programmi serali televisivi, Rai cultura e Rai storia non vengano nemmeno citati e pensare che dovrebbero essere il fiore all’occhiello della Tv pubblica.

Mio padre, che era un dissacratore nato, prevedeva, ai suoi tempi, che il popolino avrebbe facilmente osannato un divo dello spettacolo e probabilmente snobbato, se non pernacchiato, uno scienziato: il classico evento capace di distrarre l’opinione pubblica dai problemi reali, creando lo spazio per far passare sotto silenzio anche le più brutte situazioni. Diceva testualmente: «Se a Pärma ven Sofia Loren, i fan i pugn pr’andärla a veddor; sa vén Alexander Fleming i ghh scorezon adrè’…». Cosa contano infatti le morti scampate per merito dell’inventore della penicillina di fronte ad una sfilata divistica, come quella di Sanremo.

Non pretendo che la gente rinunci al divertimento, ammesso e non concesso che il Festival di Sanremo lo possa essere, vorrei che chi programma e gestisce la Rai si elevasse un tantino rispetto al piattume aculturale che caratterizza la nostra società.

In Italia non si può parlar male di Garibaldi (anche se qualcosa si è cominciato a dire…), né del festival di Sanremo (qui non è possibile mettere lingua). Ebbene ho “coraggiosamente” provato a sfidare mamma Rai, non basandomi su dissertazioni snobistiche, ma su eloquenti battute paterne.

Potrebbe capitarmi quanto succedeva, seppure in casi diversi ma analoghi, per le scorribande provocatorie di un simpatico amico di mio padre. Non era appassionato di calcio e amava ridicolizzare il tifo calcistico. A volte arrivava e vedeva tutta la clientela del bar schierata religiosamente davanti al video per seguire in diretta con enorme trasporto le partite, soprattutto quelle della nazionale. Li guardava, fingendosi sorpreso, e li apostrofava a suo modo: «Mo guärda quant cojón davanti a la televizjon…». E poi spegneva improvvisamente l’apparecchio: in quel periodo occorreva del tempo perché il televisore rientrasse in funzione e quindi tutti, privati della visione per qualche istante, magari decisivo, si incavolavano e gli urlavano improperi. Lui, dopo il misfatto, senza nulla aggiungere, se ne andava nella stanza attigua.