L’antifascismo unificante

Il fascismo è stato una gravissima malattia da cui l’Italia è guarita dopo enormi sofferenze   e terapie assai invasive. Non si è trattato di una devastante infezione virale, che ha tuttavia il vantaggio di formare gli anticorpi, i quali immunizzano il fisico evitando che ricaschi nella stessa malattia.

Il fascismo è stato una malattia infettiva di carattere microbico: i microbi sono rimasti in circolazione, il corpo è più o meno esposto ad essi e, quando attraversa periodi di debolezza e di crisi, può essere intaccato e ricadere, magari con sintomi e manifestazioni diversi, nella malattia originaria. La similitudine usata, sicuramente imprecisa dal punto di vista sanitario, non richiede ulteriori spiegazioni dal punto di vista culturale.

La fine delle ideologie, che ha trascinato nel dimenticatoio anche i valori, la crisi ideale, la debolezza del sistema democratico, l’enorme problema dell’immigrazione, sovrapposto alle già presenti difficoltà economiche, rendono il nostro Paese un soggetto a rischio razzismo, nazionalismo e populismo, tradizionali presupposto dei regimi riconducibili al fascismo.

Non bisogna drammatizzare, ma nemmeno sottovalutare questi discorsi. Le malattie approfittano dei momenti di debolezza per attaccare e quindi occorre rafforzare le difese e prevenire l’infezione.

Quando facevo politica attiva, non c’era documento che non aggiungesse all’aggettivo “democratico” quello di “antifascista”: la nostra democrazia è antifascista per sua natura costituzionale, quindi, contro natura non si può andare. I sorrisetti omertosi, le alzate di spalle fatalistiche, le dichiarazioni rassicuranti non convincono. E allora? Non occorre certo farsi prendere dal complesso del rinascente fascismo, ma combattere culturalmente e politicamente le “buone battaglie”, che permettono di conservare la “fede”.

È una questione educativa: i giovani sanno cos’è stato il fascismo o ne osservano solo i simboli, pensando che il loro sbandieramento sia solo sintomo di nostalgia o goliardia?

È un fatto culturale: la realtà va capita ed affrontata, non fuggendo da essa con le scorciatoie del ritorno alle medicine del passato rivelatesi ben peggiori del male.

È una battaglia democratica: la prassi sistemica deve comportare metodi e contenuti, che non devono mai rinunciare ai valori su cui è fondata la nostra Repubblica.

Il discorso è molto importante ed imprescindibile e dovrebbe essere condiviso da tutte le forze politiche e sociali. Purtroppo non è così e la vigilanza deve quindi essere ancora maggiore. Servono al riguardo le manifestazioni di piazza? Un tempo avrei risposto di sì senza esitazioni e/o condizioni, quando c’era una battaglia politica molto accesa, ma quando la condivisione di certi valori era altrettanto forte. Oggi non vorrei che le pubbliche manifestazioni antifasciste diventassero il pretesto per dividere anziché unire le forze democratiche, per fare frettolosi esami di antifascismo, che nella storia hanno portato a disastri, a eccidi, a guerre civili (discorso foibe docet).

Manifestare pubblicamente le proprie idee non è mai sbagliato, confessare la propria fede nella democrazia aiuta a capire meglio se stessi e la democrazia, ribadire l’antifascismo quale irrinunciabile componente del DNA repubblicano è utile. Tutto se non si fanno passerelle datate e divisive all’insegna “dell’io sì che sono antifascista, mentre tu…”.

A livello religioso il demonio e il male da esso impersonificato sono considerati il fatto rovinosamente “divisivo”. Anche il fascismo e i suoi rigurgiti tendono a dividere per imperare. Opporsi al neofascismo richiede paziente e costruttiva opera unificatrice, senza soffiare sul fuoco . Sarà più facile e serio individuare chi è direttamente o indirettamente fuori da questa virtuosa logica.