Tento disperatamente di stare lontano da questa campagna elettorale stucchevole nei contenuti, assurda nei toni, paradossale nelle prospettive, ma ogni tanto ci casco: la passionaccia politica che, nonostante tutto, viene a galla. Ebbene, ho seguito l’intervista di Lucia Annunziata a Massimo D’Alema, una sorta di celebrazione televisiva della presunzione incrociata fra giornalismo e politica.
Devo dare atto a D’Alema di essere riuscito a contenere l’invadenza di una intervistatrice che in realtà intervista solo se stessa. Vorrei riprendere cosa sosteneva Umberto Eco a proposito di interviste: «L’intervista sembra l’essenza del giornalismo: vado sul posto, on the spot, e sento cosa…ne è invece la negazione, non dà orientamento, non dà giudizio critico. Noi ne abbiamo troppe. Che senso ha fare oggi un’intervista a Letta quando ieri l’ha fatta con Lilli Gruber, no? E il giorno prima l’ha fatta su un altro giornale…Dirà ovviamente, se non è un pazzo, le stesse cose che ha detto il giorno prima. E allora l’intervista è uno dei cancri del giornalismo italiano».
Lucia Annunziata vuole evitare le interviste di comodo e quindi parla sempre lei, anche se nel caso del dialogo con D’Alema continuava a fare riferimento all’intervista rilasciata qualche giorno prima ad Aldo Cazzullo sul Corriere della sera e allora… Essere invadenti con D’Alema è una gara dura e infatti la sfida è finita, come minimo, con un pareggio.
Ma vengo alla tesi fondamentale sostenuta da questo acuto e furbo esponente politico, che ha sempre catturato la mia attenzione (non la mia adesione). A suo dire l’iniziativa del partito LeU, di cui lui è uno dei subdoli ispiratori e uno dei protagonisti sotto traccia, non andrebbe contro il PD, non romperebbe l’unità della sinistra e non indebolirebbe il centro-sinistra nella sua prospettiva di governo. Questo nuovo movimento avrebbe infatti lo scopo di recuperare identità e credibilità verso quegli elettori che sono stati abbandonati dal partito democratico: lavoratori precarizzati dalla riforma del mercato del lavoro, insegnanti traditi dall’aziendalizzazione della scuola pubblica, cittadini spiazzati da una politica moderata e smidollata. In buona sostanza il nuovo partito, di cui Piero Grasso è la faccia emblematica e presentabile, recupererebbe voti dall’astensionismo e dall’antipolitica: la sinistra dovrebbe solo ringraziare e tacere.
L’abilità non fa difetto a D’Alema. Ipotizziamo per un attimo che possa avere qualche ragione. Cosa gli fa credere di avere più appeal politico rispetto a Renzi nei confronti dei portuali di Genova, dei giovani disoccupati sparsi per la penisola, dei lavoratori in bilico? Cosa lo rende capace di scaldare i cuori inariditi dell’odierno proletariato? Al di là di un nostalgico e demagogico richiamo della foresta, lanciato oltre tutto da chi questa foresta non ha fatto altro che disboscarla, al di là di una dispettosa rivalsa antirenziana che traspare dai pori della pelle, non vedo nulla di concreto e di credibile. Già il massimalismo di ritorno sfiora il ridicolo, se poi è incarnato dagli esponenti storici del burocratismo di sinistra diventa una presa in giro al buon senso politico della “povera gente”.
LeU (liberi e uguali) non recupererà un bel niente, otterrà una percentuale di voti da prefisso telefonico, creerà solo scompiglio e confusione, farà un piacere a Grillo e ai grillini. Non sono un portuale, non sono un giovane, non sono un lavoratore e non vivo sulla mia pelle i problemi principali del Paese. Mi sforzo concettualmente di vestire questi scomodi panni elettorali: se dovessi scegliere un’alternativa, anche velleitaria, al PD, non mi butterei sicuramente nelle braccia assai poco rassicuranti di D’Alema, Bersani e c. e non mi lascerei incantare dalla sirena grassiana. Tutt’al più mi asterrei o addirittura voterei Grillo (Di Maio non lo prendo nemmeno in considerazione). Messaggio dalemiano non pervenuto!