La storia non ha cimitero

Nella mia famiglia si arrivava anche a parlare del referendum Monarchia-Repubblica nell’immediato dopoguerra. Chiedevo conto ai miei genitori del loro comportamento. Entrambi non nascondevano il loro voto: mia madre aveva votato monarchia, mio padre repubblica. Nel 1946 vivevano insieme da dodici anni, ma ognuno, giustamente, manteneva le proprie idee politiche e le esprimeva liberamente. Mia madre così giustificava la sua difesa dell’istituto monarchico: «Insòmma, mi al re agh vräva bén!». Non un granché come motivazione politico-istituzionale, ma mio padre non aveva nulla da eccepire. Taceva. Io non mi accontentavo e, da provocatore nato, chiedevo: «E tu papa? Cos’hai votato?». Rispondeva senza girarci attorno: «J’ ò votè Repubblica!». Allora mia madre controbatteva che comunque l’opzione repubblicana vinse con l’aiuto di brogli elettorali. A quel punto mio padre si chiudeva in un eloquente silenzio e aggiungeva solo: «Sì, a gh’é ànca al cäz, ma…». Mia sorella invece girava il coltello nella piaga e rivolta polemicamente a mia madre diceva: «Il re, bella roba! Ci ha regalato il duce per vent’anni, poi, sul più bello, se l’è data a gambe. E tu hai votato per il mantenimento di questa dinastia?». Papà allora capiva che la moglie stava andando in difficoltà, gli lanciava la ciambella di salvataggio e chiudeva i discorsi con un: «J éron témp difìcil, an e s’ säva niént, adésa l’é tutt facil…».

Questo bel quadretto familiare è tornato d’attualità allorché le ceneri di Vittorio Emanuele III sono rientrate in Italia con abbondante coda polemica. Nel serrato dialogo che ho fedelmente riportato c’è tutto. L’importante infatti non è tanto la collocazione della salma dell’allora Re d’Italia: non ho niente contro il fatto che le ceneri possano riposare in un cimitero italiano. Paradossalmente parlando, non mi sconvolse nemmeno tanti anni fa la fuga del boia nazista Herbert Kappler, aiutato dalla moglie e da qualche compiacente guardiano: andò a morire nel suo letto e la pietà non va negata a nessuno.

La cosa fondamentale è il non confondere la pietà con il revisionismo storico: sul passato non si deve mettere una pietra considerandolo alla stregua di una notte in cui tutti i gatti sono bigi.   Vittorio Emanuele III ha enormi e gravissime responsabilità per le catastrofi vissute dal nostro Paese, che non possono essere coperti da un non meglio precisato sentimentalismo monarchico. Se al sorgere del fascismo si può ipotizzare che il re sia stato preso in contropiede – ammesso che sia stato un errore di sottovalutazione tale comunque da comportare una frettolosa abdicazione se non addirittura un cambio di forma statuale – non si può certo parlare di errore per quanto concerne le leggi razziali, per non parlare di tutto quanto successe durante il ventennio, sotto i suoi occhi foderati dal ridicolo prestigio coloniale.

Mio padre, non per eludere, ma per sdrammatizzare il giudizio su Vittorio Emanale III, utilizzava un aneddoto piuttosto simpatico. Nella sua compagnia esisteva un amico dotato di una testa grossa. Per deriderlo bonariamente gli amici osservavano ironicamente: «Se ti a t’ fiss al re, pr’i frànboll, con la tò tésta, agh’ vriss un fój da giornäl…».