Il filosofo che ragiona

Il recente libro di Massimo Cacciari, che ho sentito presentare in un bellissimo dialogo televisivo tra Corrado Augias e l’autore stesso, è un invito a riflettere sulla maternità di Maria e sulla nascita di Gesù: Cacciari, perfettamente in linea col cardinal Martini, ritiene infatti che il fatto fondamentale per credenti e non credenti sia sapere mettere in discussione la propria fede o la propria non-fede. Era il presupposto della “cattedra dei non credenti”, istituita dal cardinal Martini e di cui Cacciari fu, se non erro, il primo autorevole esponente.

Augias sostiene che questo libro rompa l’atteggiamento tranchant di Cacciari, dando finalmente ad esso un senso “affettuoso”. Cacciari non è del tutto d’accordo e sottolinea come il suo “affetto” sia tutto indirizzato a Maria e non agli uomini, compresi gli uomini di Chiesa, che in duemila anni non hanno combinato nulla di buono in materia di cristianesimo.

Ho fatto questa premessa per esprimere la mia ammirazione e il mio interesse per il pensiero filosofico e l’atteggiamento di apertura culturale di Massimo Cacciari. Non è proprio e sempre così quando egli passa dall’alto salotto intellettuale alla bassa cucina politica. I giudizi restano intelligenti e giustamente taglienti, anche se non sempre coerenti e centrati. Devo però ammettere che condivido pienamente la pur sommaria analisi di Cacciari fa sull’operato del PD.

Sul piano identitario rimprovera a Renzi di non avere avuto il coraggio di rompere per tempo con la tradizione post-comunista, lasciandola alle chimere massimaliste della sinistra-sinistra, per porsi definitivamente quale partito riformista e liberal-democratico, capace di richiamare il consenso di quanti desiderano votare per una forza di governo che faccia veramente i conti con la realtà. In sostanza Cacciari ritiene velleitario e utopistico il disegno iniziale del PD, vale a dire quello di sintetizzare le due visioni progressiste, quella comunista e quella cattolica, non tanto per questioni ideologiche abbastanza superate, ma per l’approccio politico divergente: da una parte una visione socio-economica aperta, dall’altra una concezione burocratica ed egemonica della politica.

In secondo luogo rimprovera alla gestione renziana l’aver trascurato il radicamento territoriale del partito e l’emersione di una classe dirigente periferica, preferendo rifugiarsi in una impostazione centralista e personalista.

In terzo e conseguente luogo non risparmia critiche alla impostazione e gestione del referendum sulle riforme costituzionali, politicamente enfatizzato e snaturato, irresponsabilmente cavalcato e sciaguratamente perso.

Massimo Cacciari, con lo stile implacabile che lo contraddistingue, mette seriamente il dito nella piaga del PD e di Renzi: non so se le sue critiche arrivino in tempo, anche perché siamo in campagna elettorale e tutto diventa più immediato e difficile. Nonostante i limiti e i difetti, quella del PD resta, a mio giudizio, l’unica opzione razionalmente accettabile. L’incognita è se l’elettorato saprà ragionare o si lascerà trascinare nel vortice   propagandistico delle “balle che stanno in poco posto”.

Cacciari dà anche un consiglio elettorale al PD: non insista sul già fatto (la percezione della gente è quella che è e non cambierà sotto il martellamento renziano del “come siamo stati bravi”) e punti sul da farsi con poche e realistiche proposte all’insegna della continuità di governo (è il modo alternativo di scuotere la gente facendola cadere dalle nuvole del “tutto e subito”).

Questa volta sono modestamente e totalmente d’accordo con Cacciari. È il caso di richiamare Bohème di Giacomo Puccini e precisamente la battuta di Chaunard (il musicista) a Colline (il filosofo), allorché il secondo tenta di gestire al meglio il contorno amichevole all’agonia di Mimì: «Filosofo ragioni!». Mimì muore poco dopo. Speriamo non succeda al PD e soprattutto all’Italia.