Amarcord Carlo Buzzi

La inevitabile bagarre pre-elettorale sulle candidature a deputato e senatore mi porta inevitabilmente ad aprire il libro dei ricordi per andare alla fulgida pagina del mio unico e grande leader politico: Carlo Buzzi.

Fu deputato prima e senatore poi per lunghi anni. Ricordo l’entusiasmo con cui aveva accettato l’ultima candidatura: era contento come se fosse la prima volta che provava ad entrare in parlamento. Ebbi occasione di percorrere insieme a lui un tratto della centralissima Via Mazzini e fra i tanti saluti cordiali che raccoglieva ve ne fu uno molto significativo, che recitò più o meno così: “Non preoccuparti Carlo se sei in parlamento da tanti anni, le persone come te è meglio che ci rimangano, magari per tutta la vita”. A dimostrazione che le regole dei due mandati e roba del genere lasciano molto a desiderare: dipende sempre tutto dal valore e dallo spirito di servizio della persona.

Quando venne il momento accettò l’esclusione con grande eleganza. Qualcuno disse che non era stato capace di creare un ricambio, che aveva personalizzato troppo la leadership: le solite cavolate dei grilloparlanti. Buzzi, lo dico per esperienza diretta, non ha mai chiuso od ostacolato la carriera politica a nessuno, semmai a volte eccedeva nel mettere in discussione la sua leadership. In questa città, che dorme fra due guanciali, nessuno è stato in grado di raccogliere il testimone di Buzzi.

La fine della sua vita parlamentare – dovuta a calcoli politici faziosi (un ostacolo in meno per l’imperante doroteismo democristiano e non) o a considerazioni socio-politiche di maniera (ricambio generazionale) – fu un fatto molto negativo per la politica parmense e non solo parmense e fu sostanzialmente per me la fine dell’impegno nella D.C. e nella sinistra D.C., preludio all’abbandono del partito allorquando si instaurò la segreteria nazionale di Arnaldo Forlani: ero stato facile profeta di un degrado del partito democristiano che portò alla debacle.

Ma vorrei spingermi oltre per ribadire, quasi con spietatezza, l’essenzialità della leadership buzziana nella sinistra D.C. parmense: riconosco come il suo tramonto abbia segnato la fine della sinistra DC a Parma, la sua perdita di mordente e di incisività, il suo sostanziale snaturamento, il suo inserimento in una linea di moderatismo possibilista e perbenista, rispettabile ma assai lontano dalle sue spinte ideali.

Ammetto di vivere queste memorie con tanta nostalgia, ma anche con rinnovata, seppur problematica, fiducia nella politica intesa come servizio. Le candidature vanno scelte e sostenute in base a questo criterio: un mix tra competenza, preparazione, esperienza, dedizione, impegno, senso politico, capacità di legiferare. A pelle e senza sottovalutare i profili delle candidature emergenti, credo siano volte più a stupire che a “servire”: ricordiamoci che il Parlamento non è un’accademia scientifica e nemmeno una passerella di big della cosiddetta società civile: non è detto infatti che un luminare della medicina sia capace e disponibile ad organizzare la sanità, che un grande giornalista riesca a garantire un sistema informativo autenticamente democratico, che un importante magistrato sappia riformare la giustizia e via discorrendo. Non voglio fare un assist agli ignoranti, ma ai candidati disponibili a rimboccarsi le maniche senza inutili protagonismi ed eccellenze fini a loro stesse.

Al di là del sistema elettorale, che forse non incoraggia ad una scelta oculata delle persone da mandare in Parlamento, bisogna sforzarsi di partire proprio dalle persone, che vengono prima dei partiti, nonostante siano questi ultimi, come prevede la Costituzione, a concorrere democraticamente a determinare la politica nazionale. Non mi stupiscono le code polemiche rispetto alle scelte operate all’interno dei partiti: non c’è metodo selettivo che tenga…. D’altra parte meglio la polemica per i troppi candidati che il conformismo sui pochi: direi quindi “molti, ma buoni”.

Ho iniziato ricordando il mio padre-politico, finisco con mio padre a tutto tondo. Devo dire ad onor del vero che non ebbe mai in tasca tessere di partito: da quanto diceva al riguardo ho dedotto che non fosse assolutamente una scelta qualunquistica, ma al contrario un modo per mantenere intatto il suo incontenibile spirito critico e per dare sfogo al suo libero pensare. Non era fatto per il gioco di squadra, non accettava schemi precostruiti, non era un militante. Temeva (aveva quasi un complesso al riguardo) i fanatismi, forse perché ne aveva visti troppi, e quindi riteneva di non rischiare non aderendo ad alcun partito politico. Questo non gli impediva di elaborare le proprie scelte, di esprimere le proprie idee e di partecipare al voto (cosa che aveva fatto con coraggio anche con gli addomesticati referendum del regime fascista, votando regolarmente “no”). Critico sempre, ma non disfattista, anzi. Forse a chi fa tante storie sulle candidature calate dall’alto e sulla tendenza all’astensione dal voto, risponderebbe alla sua maniera: “ As fäva prima ai temp dal fascio e in Russia, it devon la scheda dal sì e basta! “.