Mio padre di fronte a certi compensi da nababbo ai calciatori professionisti diceva che li avrebbe voluti vedere ad affrontare una squadra di muratori remunerati allo stesso livello?
Ciò significa che non sopportava le ingiustizie in genere, ma nemmeno le storture del pianeta calcio, gioco di cui ammirava l’essenzialità e la semplicità abbinate alla spettacolarità.
Questo dubbio atroce aleggiava sulla partita di Coppa Italia fra Inter (squadra blasonata e candidata alla vittoria del campionato) e Pordenone (squadra militante in serie C), fra Golia e Davide del pallone italico: ha prevalso (?) Golia con una vittoria risicata e persino immeritata ai calci di rigore.
Si dirà che questo è proprio il bello del calcio, vale a dire la sua imprevedibilità. Si potrebbe però fare anche un altro ragionamento. Sono poi così bravi e ammirevoli i divi superpagati delle squadre calcistiche, che vanno in crisi di fronte all’orgoglio di modesti pedatori di una squadretta di provincia? È così bravo il giovane portierone del Milan, il Donnarumma nazionale, che sostiene di essere stato violentato moralmente quando ha firmato un contratto milionario che lo lega ai rossoneri per alcuni anni o non sarà piuttosto che, furbescamente, vista la prevedibile mala parata della squadra, se ne vorrebbe andare in un altro club che gli garantirebbe onori e, forse, maggiori compensi?
Ricordo quanto mi diceva, già parecchi anni or sono, un ex giocatore del Parma: i divi del calcio si impegnano fino ad un certo punto, non hanno un forte legame sentimentale con la squadra in cui militano; infatti, se va male, trovano comunque da accasarsi e quindi…Ecco perché ha fatto tanto scalpore il matrimonio indissolubile tra Francesco Totti e la Roma: una unione che, al di là dell’indubbio e notevole interesse materiale del giocatore, ha evidenziato un raro senso di appartenenza alla maglia.
Nonostante l’Inter sia sempre stata la mia squadra del cuore – anche se gli affari calcistici hanno ben poco da spartire con gli affari di cuore – ho tifato Pordenone, forse anche perché, nello scorso campionato di serie C, questa squadra è stata penalizzata nella semifinale dei play off per accedere alla serie B proprio contro il Parma e quindi avevo nel mio subconscio pallonaro qualcosa da farmi perdonare. Non è bastato al Pordenone mettercela tutta, non è stato sufficiente superare brillantemente l’handicap del fattore campo, giocando senza timore reverenziale alla Scala del calcio (il meccanismo selettivo della Coppa Italia favorisce infatti le squadre più forti consentendo loro, nei primi turni, di giocare in casa): alla fine la lotteria dei calci di rigore gli è stata fatale, aveva proprio tutto contro.
Penso si tratti comunque di una di quelle sconfitte che lasciano un segno così forte da diventare proverbiali: forse un giorno si parlerà di quella volta che il Pordenone mise a repentaglio il blasone dell’aristocratica Inter, l’unica squadra, se non erro, a non avere mai sopportato l’onta di militare in una serie minore, precipitandola, almeno per 120 minuti, in serie C.
E pensare che da tempo mi ero ripromesso di ignorare le vicende calcistiche, ritenendole un pericoloso legame con il sistema di potere: il Pordenone mi ha riconsegnato quel calcio dal volto umano che tanto mi affascinava da ragazzo. Ed allora eccomi tornare con la mente ai pre-partita del Parma A.S (un tempo si chiamava così), che, grazie a Dio, non erano fatti delle odierne chiacchiere assurde di schiere di commentatori prezzolati o dei rituali tafferugli tra gruppi di tifosi, ma era costituito dall’osservare da vicino il riscaldamento degli atleti di “casa”, i miei beniamini (mi accontentavo di poco rispetto alle star superpagate di oggi), negli spiazzi intorno alle gradinate dello stadio Tardini prima maniera. Mio padre accondiscendeva a costo di perdere qualche buona posizione sulle gradinate di curva e sopportando un piccolo quanto innocuo divismo: non ricordo con precisione, ma credo che qualche volta, per conferire una punta di umanità alla scena, mi abbia supportato nello stringere la mano a quelli che lui sapeva essere i miei “preferiti” (ricordo con tanta nostalgia Beppe Calzolari fra tutti). Allora tutto aveva una dimensione umana ben lontana dall’anonimo, industriale, artificioso, violento divismo calcistico di oggi.