Non sono certo tenero con la corruzione ed il malaffare annidati in politica e quindi sono portato a considerare il qualunquismo più come un effetto che come una concausa del deterioramento etico della classe dirigente politica e non solo politica.
Però, se la gente ha il diritto di puntare l’indice contro chi la malgoverna, ha anche il dovere di autopuntare l’indice contro se stessa. Mi riferisco alle troppe persone che non fanno il loro dovere, vale a dire che non lavorano, lavorano male o, peggio ancora, commettono veri e propri atti delinquenziali nello svolgimento della loro professione.
Non voglio considerare i comportamenti che vanno contro le casse dello Stato (evasione fiscale) o contro le pubbliche istituzioni (bustarelle, raccomandazioni, etc. etc.), altrimenti la lavagna dei cattivi si farebbe veramente zeppa e tale da sminuire e riscattare quella degli amministratori balordi.
Mi limito a chi col proprio lavoro danneggia direttamente altre persone: gli operatori sociali che maltrattano gli anziani nelle case di riposo, le maestre d’asilo che picchiano i bambini, gli infermieri che se ne fregano dei malati, i medici che non ascoltano e non curano i loro pazienti, i poliziotti che torturano i soggetti indagati, i giornalisti che raccontano balle, i giudici che decidono le cause senza leggere gli atti del processo, etc. etc. C’è persino chi, anziché darsi da fare per tempo, ride sulle disgrazie comuni con un cinismo più unico che raro. Si dirà che non si deve generalizzare. Certo, ma la generalizzazione non deve essere fatta anche per i politici e gli amministratori pubblici.
E allora? Questi illustri signori (e signore) sputtanano tutti e accreditano il corpo sociale come una massa di opportunisti, scansafatiche e privi di valori. Valga al riguardo un episodio, raccontato da mio padre, che la dice lunga sull’etica del lavoro. In un cantiere edile egli assistette alle continue, reiterate, pesanti rimostranze di due operai nei confronti del loro datore di lavoro, assente dalla scena ma non per questo meno osteggiato. Tra un improperio e l’altro i due lavoratori cercavano di preparare una tavola di legno da utilizzare non so come. Dopo un paio d’ore si accorsero di avere sbagliato tutto e che la tavola era inutilizzabile. Mio padre, che aveva una linguaccia irrequieta e importuna, li rimproverò di brutto dicendo: “Al vostor padrón al sarà gram, mo sarà dificcil ch’al s’ faga di gran sòld cól vostor lavór”. Questa, a casa mia, si chiama onestà intellettuale. Era solito dire:“Primma äd tutt fa bén al to’ lavor e po’ a t’ pól fär tutti il batalj sindacäli ch’a t’ vól”.
Vale anche nei rapporti fra cittadini e governanti. Come può una maestra, che alza sistematicamente mani e voce sui bambini affidati a lei, protestare contro la ministra della pubblica istruzione rea di non alzare lo stipendio agli insegnanti. Come può un inserviente che lascia i malati in letti invasi da sporcizia e insetti chiedere che il ministro della salute migliori le strutture ospedaliere. Potrei andare avanti con questo ritornello etico. Mi limito ad aggiungere una frecciata ai sindacati: come possono chiedere un sistema pensionistico migliore, quando hanno favorito assurdi prepensionamenti privilegiati e difeso a tutti i costi chi non lavorava.
Il discorso molto delicato e provocatorio porta ad una domanda conclusiva: meritiamo una classe politica migliore o abbiamo quella che ci meritiamo (forse chi governa è addirittura, in media, migliore di chi è governato)? Domanda da cui non si esce vivi, se non dandosi una regolata. O ricuperiamo un minimo di etica o, come disse Gesù rispondendo ad una pretestuosa domanda sulle vittime dei cataclismi, periremo tutti.