L’unico personaggio sulla scena italiana e mondiale che fa vera notizia e tendenza è papa Francesco. Non manca giorno in cui i suoi pronunciamenti non tocchino nel vivo della carne politica oltre che religiosa, soprattutto sulle tre questioni che dominano la scena, vale a dire la buona politica, la buona accoglienza e il buon lavoro.
Durante i suoi ultimi viaggi a Cesena e Bologna ha fatto affermazioni rilevanti sulla politica che non deve essere asservita alle ambizioni individuali o alla prepotenza di fazioni o centri di interesse e che non deve essere né serva né padrona, ma amica e collaboratrice, non paurosa o avventata, ma responsabile e quindi coraggiosa e prudente allo stesso tempo, che deve far crescere il coinvolgimento delle persone, la loro progressiva inclusione e partecipazione, che non lasci ai margini alcune categorie e non saccheggi e inquini le risorse naturali. Ha tracciato un vero e proprio identikit etico dell’uomo politico: un “martire” del servizio, perché lascia le proprie idee, per metterle al servizio del bene comune.
Sul discorso economico ha chiesto la relativizzazione del profitto ed ha richiamato il “Patto per il Lavoro” sottolineando l’importanza del dialogo e l’indispensabilità del welfare.
Ha insistito poi sulla necessità che un numero maggiore di Paesi, con acuta visione e grande determinazione, adotti programmi di sostegno privato e comunitario all’accoglienza e apra corridoi umanitari per i rifugiati, per i migranti definiti “lottatori di speranza”, che devono aprirsi alla cultura e alle leggi dei Paesi ospitanti.
Sarebbe interessante aprire il dibattito sui contenuti dell’azione pastorale di Francesco, non per fare da cassa di risonanza ai reazionari (cercano la rissa teologica), non per solidarizzare col papa (ha ben altri ed autorevoli avvocati difensori che siedono alla destra del Padre), ma per scendere dalla superficialità dell’applauso facile alla concretezza dell’adesione difficile. Non mi interessa più di tanto cosa scrive Avvenire, arrivo a sottovalutare persino le pur importanti posizioni episcopali, sarei curioso invece di capire cosa ne pensa la periferia cristiana. Non so nelle altre diocesi, ma a Parma, come al solito, tutto tace. Vige un regime di piatto e silenzioso conformismo. A cosa? Non sarà il momento, prima che sia troppo tardi, di prendere posizione a parole e soprattutto in opere? Non chiedo un referendum con un sì o un no a papa Francesco. Peraltro mi sembra sbagliato far dipendere la Chiesa dalle labbra del pontefice. Tuttavia i suoi pressanti inviti non possono lasciare indifferenti, così come non si possono passare sotto silenzio certe cazzate teologiche a lui ostili, non si possono tenere atteggiamenti ambigui del tipo “il papa ha ragione, ma gli immigrati…” e nemmeno applaudire asetticamente con adesioni teoriche che lasciano il tempo che trovano.
Lasciamo stare un attimo le questioni sessuali che oltretutto da sempre fanno da paravento alla conservazione sociale: oggi è il turno degli immigrati. Il papa li difende troppo e dà fastidio. Lo ius soli sta diventando un banco di prova anche per il Vaticano e sta finalmente scoprendo gli altarini di certe strumentali vicinanze politiche. Credo che la popolarità di Francesco sia a rischio in tutti i sensi, ma lui non deve mollare. Va benissimo pregare per lui, ma aiutiamolo anche con i fatti: della serie “aiutati che papa Francesco ti aiuta”.