Mia madre così come era rigorosa ed implacabile con il comportamento degli anziani -affidava loro una grossa responsabilità a livello educativo – era portata a cercare di comprendere i comportamenti delinquenziali, commentando laconicamente: “Jén dil tésti mati”. Qui mio padre, in un simpatico gioco delle parti, ricopriva il ruolo di intransigente accusatore: “J én miga mat, parchè primma äd där ‘na cortläda i guärdon se ‘l cortél al taja. Sät chi è mat? Col che l’ ätor di l’ à magnè dez scatli äd lustor. Col l’ é mat!”.
Mia madre opterebbe per la pazzia dell’autore della strage di Las Vegas (una sessantina di morti e oltre cinquecento feriti tra i partecipanti ad un evento musicale), mentre sono sicuro che mio padre insisterebbe sulla sua teoria del “lucido da scarpe”. La gratuità del gesto e l’epilogo suicida fanno effettivamente propendere per un episodio di pura follia, mentre l’enorme dotazione bellica, la meticolosa organizzazione e la precisione di mira spingono ad ipotizzare un atto di criminalità.
Se è pazzia, gli americani devono fare i conti con la loro follia di consentire a un folle il possesso di un vero e proprio arsenale militare: la storia degli Stati Uniti è ricca di episodi di questo genere anche se questa volta si è battuto ogni macabro record. È vero che il proibizionismo delle armi non garantirebbe la società da questi episodi di violenza, ma consentire un facile accesso alle armi non è comunque il miglior antidoto alla violenza di qualsiasi tipo essa possa essere. Finora, lo sanno tutti, hanno prevalso gli interessi di un’industria fiorente, quella delle armi: è così negli Stati Uniti ed è purtroppo così in tutto il mondo. La fabbricazione, il commercio, l’uso delle armi sono l’indiscutibile presupposto di ogni forma di guerra.
La follia quand’è che diventa vera e propria criminalità? Quando risponde ad un disegno interessato di eliminazione del proprio simile. Il disegno può riguardare il potere, il denaro, il sesso, la vendetta, la politica, la religione, la razza. In questa fase storica siamo portati a ricondurre ogni e qualsiasi violenza al terrorismo e segnatamente al terrorismo islamico. Dopo qualsiasi fatto di sangue a valenza sociale ci poniamo lo stucchevole ed esorcizzante quesito: sarà terrorismo islamico? E anche questo è un risultato a cui punta la strategia dell’Isis e c.
Tornando all’episodio sconvolgente e choccante di Las Vegas, è sicuramente un atto fondato sul terrore: terrorismo psicologico e/o politico-religioso? Forse, tutto sommato, sono le due facce di una stessa medaglia: la violenza fatta sistema che coinvolge tutti gli aspetti della nostra vita.
Alla base di qualsiasi atto delinquenziale c’è sempre qualcosa di folle (aveva pienamente ragione mia madre), ma è altrettanto vero che la violenza è sempre criminale (quindi, in un certo senso, aveva ragione anche mio padre). Da riconoscente figlio tendo a sintetizzare ed attualizzare gli insegnamenti famigliari.
L’unica paradossale risposta è la non-violenza, senza se e senza ma. Difficilissimo attuarla a tutti i livelli. Fin dove può spingersi infatti la legittima difesa a livello individuale e collettivo? Quando la difesa diventa armata tendo a considerarla illegittima. L’uso delle armi anche da parte delle forze di polizia non risolve i conflitti, ma li accende ed oltre tutto espone i poliziotti a rischi enormi.
Di fronte ai continui attacchi tendiamo a pensare che sia risolutivo controllare, schedare, infiltrare, bloccare, sparare, bombardare, etc. etc. Sì, in teoria tutto può fare brodo. Ma non ne usciamo. Gli Usa di Trump ci stanno trascinando in una deriva guerrafondaia spaventosa: non è certo colpa di Trump la carneficina di Las Vegas, ma non è certo con le sue politiche che si combatte la violenza. Vale per Trump e vale per ognuno di noi.