Un bambino, quando ha paura, cosa fa? Se non è cambiata anche la psicologia infantile, si nasconde dietro la gonna della mamma perché lì si sente sicuro e protetto. Non capisce infatti che si tratta di un nascondiglio precario e illusorio, gli basta restare attaccato alle proprie origini e rifiuta i pericoli del futuro. Ci vorranno tempo e pianti per affrancarsi da questa comoda ed egoistica sudditanza.
Questo percorso vale anche a livello sociale: l’apertura di mercati, frontiere, confini, scambi, viaggi e sistemi ci sbatte in faccia una realtà che tendiamo a rifiutare. Ci difendiamo dalle provocazioni della globalizzazione chiudendoci a riccio nel nostro particolare, si chiami razza, nazione, regione, rione, casa, fabbrica; alle drammatiche e provocatorie sfide dell’egoismo globalizzato rispondiamo con l’egoismo parcellizzato; alle ingiustizie del mondo preferiamo quelle di casa nostra.
Pretendiamo di risolvere l’enorme problema dell’immigrazione accogliendo le persone, alla disperata ricerca di uno spazio vitale, intimando loro un assurdo prima che ingiusto “fatti più in là”. Ma che ospitalità è quella di aprire la propria porta di casa a patto di rispondere ai bisogni dell’altro in modo rigorosamente secondario rispetto ai nostri?
Nelle comunità religiose, quando arriva un ospite inatteso, non si dà la minestra agli stanziali e poi, se ce ne rimane, ai nuovi arrivati. Non si sottopone l’ospite alla gogna dell’essere un indesiderato elemento d’ingombro e di peso, si allunga il brodo e tutti mangiano un po’ meno bene, ma mangiano.
Se le cose non vanno bene all’interno di un gruppo o di una comunità, è comodo fare gruppo nel gruppo per strappare qualche beneficio a danno della generalità dei componenti. Dividersi è facile, ma non risolve i problemi, li sposta, li avvicina, ma li ingigantisce.
Sto parlando indirettamente di chiusura e separatismo quali risposte sbagliate all’immigrazione e alla crisi economica. La tanto chiacchierata Brexit altre non è che la sbagliata e malaugurata sintesi metodologica ai problemi della nostra epoca. Il “tu non entri in casa mia” o il “non mi sento a casa mia e me ne vado” sono le due facce della medaglia divisiva e violenta con cui vogliamo pagare li dazio della nostra storia.
Viviamo purtroppo un periodo di grave carenza valoriale e ideale, la nostra è probabilmente l’epoca del pragmatismo politico e sociale: non è facile affrontare i problemi a prescindere dalla spinta etica che dovrebbe guidarci. Sformiamoci almeno di essere razionalmente impegnati in una convivenza aperta e di vivere guardandoci intorno, non accontentandoci di difendere il nostro misero orticello.
Quando sento persone in buona fede fare il ragionamento del prima pensiamo alle nostre povertà, oppure quando vedo acide battaglie indipendentiste a livello regionale, penso a mia madre, che mi spiegava come nella casa della mia famiglia (io non ero ancora nato) trionfasse la povertà e alla porta bussassero continuamente parenti e amici in cerca di aiuto ed a tutti si riusciva a rispondere positivamente. Miracolo? No. Eroismo? No. Solo buona volontà, quella che fa i miracoli ed è capace persino di gesti (quasi) eroici.
Un mio simpatico e indimenticabile zio, al momento dei saluti, rivolto all’amico di turno, dopo avergli dato una pacca sulla spalla e/o avergli stretto calorosamente la mano, diceva: «Veh, arcòrdot bén, quand at me vól gnir a catär…sta a ca tòvva». Lui scherzava, noi facciamo sul serio.