Sento forte l’obbligo di coscienza di affrontare il tema del carcere, delle pene carcerarie e della rieducazione del condannato. Facendolo voglio dare atto al partito radicale di riuscire ad affrontare queste delicatissime problematiche coniugando legalità e solidarietà alla luce della Costituzione italiana.
La pena consiste nella privazione della libertà e non ha nulla a che vedere con la situazione carceraria fatta di sovraffollamenti, di situazioni invivibili, di lunghe carcerazioni preventive, di incompatibilità tra malattia e carcere, di condizioni inumane di vita che spesso portano a gesti estremi.
Da tempo i radicali portano avanti lotte non violente per ottenere il rispetto dei diritti dei carcerati: non sta scritto da nessuna parte infatti che il carcere debba trasformarsi in una tortura fisica e psicologica.
Tutto rientra o almeno dovrebbe rientrare nel dettato costituzionale, che all’articolo 27 recita: « L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte».
La Costituzione, non solo in questo articolo, viene sistematicamente violata: l’abuso della carcerazione preventiva su persone, che oltre tutto in gran quantità vengono poi addirittura assolte dai reati loro ascritti; le modalità di esecuzione della pena sono spesso inumane, basti pensare alle celle in cui vengono stipati i condannati come fossero polli d’allevamento; la pena di morte esiste indirettamente, se tanti carcerati arrivano a suicidarsi per le condizioni disperate in cui versano al di là dei loro rimorsi di coscienza; la rieducazione del condannato è un obiettivo più teorico che pratico dal momento che i carcerati vengono tenuti in cella ad oziare e non hanno spesso alcuna occasione di lavoro e di impegno interno o esterno.
Non tutte le carceri sono uguali, ma comunque la situazione è sostanzialmente e prevalentemente questa, salvo poi esagerare, a volte, con la concessione di permessi troppo generosi, a volte addirittura ingiustificati: o troppo o niente… Il concetto di rieducazione, ad esempio, è legato più al trascorrere del tempo che all’effettiva e provata volontà del reinserimento: le chance dovrebbero consistere nella possibilità offerta al condannato di accettare un percorso di concreto recupero, una specie di contrappasso che significhi il riscatto progressivo dalla mentalità delinquenziale. Certe facili concessioni servono solo a scatenare le ire della gente e soprattutto quelle dei familiari delle vittime ed a squalificare tutto il sistema delle pene alternative, dei permessi e delle semilibertà.
Sempre e comunque meglio abbondare nel senso del graduale superamento della carcerazione piuttosto che incollare i detenuti a celle fatte apposta per incattivire il loro animo e prepararli alla reiterazione dei reati. La società civile non deve cercare una vendetta, ma la giusta punizione accompagnata dalla possibilità del riscatto: discorsi difficili, ma essenziali in un sistema democratico.
Mi ha favorevolmente impressionato la notizia che i detenuti, aderendo alle lotte non violente dei radicali, scendano in sciopero della fame chiedendo di destinare i loro pasti ai poveri: è gia un bel passo verso la rieducazione.
I media spesso fanno la loro parte nel creare un clima reazionario da “chiudi la cella e butta la chiave”. Molti parlano di carcere senza avere conoscenza del fenomeno e del problema, si fanno fuorviare dall’idea che la vita carceraria sia, tutto sommato, una mezza pacchia. La realtà carceraria va considerata con molta serietà e delicatezza: non si tratta infatti di regalare vacanze premio ai killer, di ripiegare su un buonismo da strapazzo, ma di rispettare la persona umana anche se condannata a una pena detentiva e soprattutto di offrirle la possibilità di riscattarsi e reinserirsi. Sono contrario al carcere a vita, figuriamoci a quello che va contro la vita.