Un mio simpatico ed arguto conoscente aveva affibbiato all’amata moglie il soprannome di “Francia”. Sì, quando parlava della moglie diceva proprio “la Francia”. Qualcuno, io per primo, stentava a capire l’allusione, ma poi, svelato l’arcano, si rideva di gusto, capendo l’assimilazione dei rapporti burrascosi tra marito e moglie a quelli tra Italia e Francia.
La storia si ripete. L’allargamento della famiglia all’Europa non è assolutamente bastato a stemperare le tensioni fra i due Paesi cugini. Cambiano i protagonisti, ma rimane la realtà di una convivenza difficile, che riemerge clamorosamente di tanto in tanto.
Le ultime vicende politiche francesi con l’elezione a presidente di Emmanuel Macron sembravano poter dissolvere vecchie e nuove nubi, invece… In pochi giorni su ben tre questioni, non di poco conto, quali immigrazione, rapporti con la Libia e settore cantieristico, si è aperto un vivace contenzioso. Sull’immigrazione la Francia non intende aprire i propri porti e insiste per farsi carico pro-quota solo ed esclusivamente dei rifugiati politici; nei rapporti con la Libia Macron ha voluto bruciare le tappe per riconquistare il centro della scena con accelerazioni discutibili e con risultati ancora tutti da verificare; nel settore cantieristico prevale un ritorno a guardare strettamente i propri interessi senza sottilizzare su accordi precedenti e sul tanto sbandierato principio della libera concorrenza in campo economico.
La storia richiederebbe all’attuale presidenza francese un po’ più di umiltà e di calma: il passato coloniale comporta parecchie macchie difficili da cancellare con un colpo di spugna; la Libia è nella condizione sbracata in cui è, anche e soprattutto, per responsabilità della Francia che nel 2011 volle a tutti i costi una scriteriata guerra contro Gheddafi solo per vantare al proprio interno un’assurda prova di forza; le battaglie economiche si fanno per mascherare la propria debolezza ammantandola di orgoglio nazionale; l’europeismo francese ha avuto i suoi alti e bassi e non può certo giustificare un’improvvisata pagella da primo della classe.
Ammetto onestamente che, se le recenti prese di posizione francesi le avesse adottate Marine Le Pen, penserei e direi che da un presidente nazionalista e pseudo-fascista non ci si poteva aspettare di meglio. Ma il caso vuole che sia stato eletto Macron e quindi una certa qual sorpresa esiste e disturba alquanto (dopo i precipitosi entusiasmi anche da parte mia, lo ammetto). Non solo si intuisce che la Francia non sarà un partner facile, ma si può temere che l’integrazione europea alla Macron non sia quel toccasana che ci si poteva aspettare.
La Gran Bretagna se ne va, i Paesi orientali ballano nel manico, quelli nord-europei si attestano su un concetto di Europa mercantilista, gli Stati mediterranei soffrono individualisticamente la loro debolezza, la Germania vuole spadroneggiare nonostante i sorrisi e le aperture di Angela Merkel, la Francia sembra prima di tutto puntare al rilancio della propria grandeur. Resta l’Italia con il cerino in mano: siamo rimasti solo noi a credere nell’Europa, ad accogliere gli immigrati senza troppi distinguo, a giocare a carte scoperte? Direi proprio di sì. Ci sottovalutiamo, abbiamo tanti problemi, ma come diceva il grande presidente Pertini, non siamo né primi né secondi a nessuno. Il nazionalismo non ci condiziona più di tanto, sappiamo aprirci ai problemi altrui, sul piano democratico non abbiamo tante lezioni da imparare.
Se vuoi essere aiutato non devi rivolgerti ai ricchi, ma ai poveri: è molto più probabile che ti ascoltino e ti diano una mano. La parte dei parenti poveri quindi non mi disturba, anzi. Le pacche sulle spalle invece mi danno fastidio: quasi tutti ci danno ragione. Come si dice in dialetto parmigiano: «La ragión la s’ dà ai cojón». Con una piccola precisazione: gli italiani non sono affatto coglioni. Lo sappiano tutti gli Europei e anche Macron, che sta provando a fare il furbo.