Sono da sempre culturalmente e politicamente a sinistra, la sinistra cattolica, difficilmente e problematicamente collocabile. Negli ultimi tempi mi illudevo di avere trovato finalmente una dimora stabile nel partito democratico, la sintesi dei valori provenienti dal socialismo con quelli di matrice cristiana.
Si poteva prevedere una convivenza ideologicamente difficile: ex comunisti ed ex democristiani, una gara dura renderli compatibili ed assemblarli in una formazione politica. La difficoltà invece non si è verificata in campo ideologico, ma nella prassi politico-programmatica, tra due impostazioni diverse: una schematica al limite del burocratico, legata ad una storia superata, fatta di pansindacalismo, di operaismo, di utopismo fragile e sociologismo datato; l’altra ostentatamente lontana dagli schemi e pragmaticamente puntata sui problemi e sul governo di una società che rimescola i bisogni, le categorie e gli obiettivi intermedi.
A questo confronto si sono sovrapposte le spinte e le resistenze personali: gli ex leader che non intendono mollare l’osso e un nuovo leader che non vuole scendere ad una sorta di compromesso storico a rovescio.
Se sparigliare i giochi e rimescolare le carte può essere pericoloso o quanto meno provocatorio, restare fermi al palo, cullandosi nelle illusioni del passato remoto e prossimo, diventa consolatorio e paralizzante. Niente di grave, spinte e controspinte si possono capire e mediare, la politica è fatta anche di questo. Il problema insormontabile qual è? L’impostazione più aperta e liberal è maggioritaria nelle sedi statutarie Pd (primarie, congresso, assemblea, direzione, etc), ma si scontra con una confusa, articolata e nostalgica verve frenante (minoranza Pd, fuorusciti dal Pd, cespugli vari ed eventuali) che pretende di fermare la macchina, cambiare il guidatore, per poi impostare un non ben definito nuovo viaggio di centro-sinistra plurale.
In mezzo a questo casino non mi ci trovo. Faccio nomi e cognomi. Dico francamente che se vedo i difetti e i limiti di Matteo Renzi troppo incline a sorvolare sulle peculiarità sociali e territoriali, non vedo proprio una leadership alternativa se non quella fegatosa dei D’Alema, quella settaria dei Bersani, quella astiosa dei Letta, quella patetica dei Prodi e dei Veltroni, quella ingenua e lunare dei Pisapia, quella velleitaria e infantile degli Speranza, quella chiccosa dei Cuperlo, quella improvvisata degli Orlando, quella politichese dei Franceschini.
Siamo alle piazze contrapposte, ai dibattiti paralleli, agli scontri per corrispondenza, alle schermaglie continue, alle censure reciproche. L’elettore medio di sinistra, mi ci metto in mezzo, come potrà reagire ad un simile gioco al massacro? Male, malissimo!
Non c’è spazio per due o più sinistre in conflitto fra di loro, le quali dovrebbero poi mettersi d’accordo su come governare. Non c’è futuro per un partito democratico costretto ad una leadership messa continuamente in discussione e diretto sul ring di una perpetua resa dei conti politica e programmatica. Qualcuno dice che così si fa il gioco della destra o di Beppe Grillo. Sarebbe il meno. Temo che così si faccia tornare indietro la storia di cento anni: poi venne il fascismo, poi la guerra, poi la resistenza, poi la costituzione. Ricominciamo daccapo? Finì bene, pagando prezzi enormi. Non so come finirebbe questa volta: per fortuna non ci sarò per motivi anagrafici.