Tempi “politici” per Francesco. Il francescanesimo politico di Beppe Grillo è durato poco: la sua ostilità allo Ius soli lo ha immediatamente scoperto nel giochetto strumentale di accreditarsi come il giullare di Dio dei tempi moderni. Atteggiamenti più antifrancescani di così non ne poteva inventare: probabilmente scherzava quando si è proclamato seguace del santo o scherza quando pontifica su immigrazione e cittadinanza. Fatto sta che lo scherzo può durare poco e diventa una penosa esibizione da avanspettacolo.
Papa Francesco invece fa sul serio: lascia intravedere l’ipotesi di un decreto di scomunica per corrotti e mafiosi. Sarebbe un gesto di notevole impatto etico-politico. Sono pregiudizialmente contrario alle scomuniche. Storicamente oltre che teologicamente, si sono rivelate uno strumento pericoloso ed ambivalente: usate spesso per tacitare o addirittura perseguitare i nemici della Chiesa, strumentalizzate per bloccare sul nascere i venti di critica verso la gerarchia, adottate per interpretare la parte di un dio vendicativo e punitivo che sprofonda negli inferi gli uomini che trasgrediscono i suoi comandi, utilizzate per esercitare, in senso conservatore e reazionario, il potere sulle coscienze incutendo timore e paura.
Non so se lo strumento sia quindi il più adatto per il governo pastorale della Chiesa: non vorrei che i mafiosi ed i corrotti aprissero una serie di altri soggetti da escludere a seconda dei momenti storici e degli interessi contingenti. Di papa Francesco ci si può fidare, ma, riabilitato istituzionalmente, lo strumento potrebbe diventare pericoloso in un futuro, in un contesto diversi e, soprattutto, in altre mani.
In questa drastica presa di distanza dalla corruzione fatta sistema voglio vedere però il bicchiere mezzo pieno, vale a dire il taglio netto di ogni e qualsiasi connivenza, omertà e tentazione nei confronti delle varie forme di ingiustizia istituzionalizzata. Certamente avrebbe un forte significato e potrebbe segnare la volontà di trasformare in prassi ecclesiale l’eroismo profetico dei martiri di tutte le mafie del mondo.
Il premio nobel della letteratura, Mario Vargas Llosa ha detto del papa: «Francesco è simpatico, dice le cose giuste che da tempo avremmo voluto sentire da un papa, ma non si sono ancora trasformate in realtà. Queste riforme annunciate nella Chiesa non sono state fatte perché la struttura del Vaticano è molto conservatrice o perché questo papa parla più di quel che fa?».
Si tratta, a mio giudizio, di una forte e pertinente provocazione: il pericolo, per il papato francescano e per la Chiesa che ne sta seguendo le indicazioni, è certamente quello di innescare un’avvolgente ma superficiale infatuazione, troppo legata alla sensibilità ed alla popolarità di papa Francesco, destinata a sciogliersi o quanto meno a diluirsi nel tempo. Probabilmente l’intenzione di decretare la scomunica per corrotti e mafiosi va nella direzione di riformare definitivamente la Chiesa, sganciandola da ogni e qualsiasi tentazione di potere e di profitto. Mi piace leggerla in tal senso, quasi che Francesco volesse cominciare a mettere i puntini sulle i, passando dalle parole e/o dai gesti ai cambiamenti nelle strutture, nelle regole e nelle norme di comportamento, correndo il rischio calcolato di ricadere nel dogmatismo, pur di portare a casa risultati irreversibili.
Un po’ così la legge, ben più autorevolmente di me, lo studioso Alberto Melloni, che scrive al riguardo: «La scomunica ha senso se è la prima riga di una teologia della liberazione dalla corruzione mafiosa che insegni alla Chiesa e allo Stato che il moralismo, la retorica e l’antipolitica non solo non bastano, ma che senza un orizzonte di redenzione (quello che nel linguaggio politico si chiama giustizia) possono diventare lubrificante del male».