Troppi personaggi si sono svegliati improvvisamente e si sono accorti che il Parlamento ha prodotto poco e rischia di lasciare incompiute diverse leggi in via di gestazione. Ragion per cui bisogna andare avanti per tentare un recupero in extremis della legislatura, tenendola in piedi per salvare almeno il salvabile
Il risveglio, dal coma più che dal sonno, è indotto dalla paventata ipotesi di anticipato scioglimento delle Camere e di ricorso alle elezioni circa sei mesi prima della naturale scadenza. Questo fatto comprometterebbe l’iter di alcuni importanti provvedimenti legislativi e rimetterebbe in discussione parecchi argomenti, anche perché vige la regola (non ne ho mai capito il motivo) che ogni nuova legislatura parta da zero: se un disegno di legge era stato approvato da un ramo del Parlamento ed era in attesa dell’approvazione dell’altra ramo, alla riapertura delle Camere, dopo le elezioni, l’iter dovrà ripartire da capo con evidente perdita di tempo e spreco del dibattito che si era già svolto.
Le leggi in sospeso riguardano temi rilevanti. Non metto assolutamente in discussione l’opportunità di poter sequestrare i beni ai corrotti, di garantire alle persone il diritto a disporre della propria vita rifiutando cure e trattamenti sanitari, di concedere la cittadinanza ai figli di immigrati nati o cresciuti in Italia, di riformare l’istituto della prescrizione nell’ambito della riforma del processo penale, di introdurre il reato di tortura, di legalizzare l’uso personale e terapeutico della cannabis. Non credo sia questo il problema. Mi chiedo infatti: se il Parlamento non è riuscito a legiferare su queste materie completandone l’iter in quattro anni e mezzo, come potrà riuscirci nell’ultimo scorcio della legislatura, cioè “in zona cesarini”, come si direbbe usando una terminologia calcistica.
Vediamo in rapida successione quali possono essere i motivi di questo ritardo, prima di illuderci di colmare le lacune mettendo strumentalmente il fiato sul collo di deputati e senatori. È possibile che i due rami del Parlamento lavorino poco e male? Pochi giorni alla settimana, lunghe interruzioni feriali natalizie ed estive, ostruzionismi vari, lungaggini dibattimentali, inutili maratone verbali, distrazioni eccessive su compiti politici assai lontani da quelli istituzionali. I presidenti di Camera e Senato chiedono di lavorare sodo in questi ultimi mesi della legislatura. Nei quattro anni e mezzo precedenti dove erano? Siamo sicuri che abbiano tenuto sotto battuta le due assemblee legislative in modo da renderle più funzionali, razionali e produttive? Siamo sicuri che abbiano promosso revisioni regolamentari atte a rendere i lavori più agili e snelli. Hanno speso tutta la loro autorità e tutto il loro carisma per indirizzare Camera e Senato verso un proficuo e intenso lavoro?
Non sarà per caso colpa del bicameralismo perfetto che costringe le leggi ad un assurdo e inutile ping-pong? Recentemente il presidente Grasso, di fronte ad uno svarione legislativo, ha sottolineato l’utilità della doppia lettura in modo da poter rimediare almeno agli errori più grossolani. Non ci siamo! Il bicameralismo andava e va superato, è il retaggio di un passato istituzionale che poteva avere senso dopo le scottature del regime fascista, ma che oggi non ha motivo di sussistere. Dove sono finite tutte le vestali costituzionali che hanno fatto la guerra alla riforma fino a perseguirne testardamente la bocciatura nel referendum dello scorso dicembre, ingessando così l’assetto parlamentare per non so quanto tempo ancora? Non possiamo tarare l’impianto parlamentare sulla necessità di evitare errori ed omissioni. Questi inconvenienti si superano con la competenza, l’impegno, l’esperienza, la professionalità, non con i tira e molla tra una Camera e l’altra, che alla fine non riducono ma aumentano la possibilità di commettere errori.
La scarsa produttività dell’attività parlamentare non sarà forse dovuta alla eccessiva radicalizzazione della lotta politica, alla strumentalità con cui vengono affrontati i problemi, alle battaglie di puro schieramento, all’ideologizzazione del dibattito, etc etc.? Se fosse così e credo sia (anche) così, i redivivi e ansiosi difensori d’ufficio della legislatura pensano veramente che questi difetti politici possano essere superati in vista delle elezioni, nell’ultimo breve scorcio di legislatura allorquando tendono comunque a prevalere i motivi di contrapposizione sulla ricerca del compromesso che rappresenta l’inevitabile presupposto per il varo delle leggi? Oppure vogliamo ridurre il Parlamento a votificio (quante volte ho sentito questa critica…) e a farlo funzionare solo a colpi di maggioranza (quante volte ho sentito l’accusa di esercizio della dittatura da parte della maggioranza…) ed a voti di fiducia (quante volte ho sentito parlare di ricorso eccessivo e anti-costituzionale a questo strumento…).
A questo punto ai “tifosi” della difesa oltranzistica della legislatura concedo due alternative: o vengono dalla luna o vogliono farci credere nella luna. Eloquente al riguardo l’opinione espressa dall’ex presidente del Consiglio Enrico Letta, sempre più astioso e sempre meno credibile: «Siamo al termine di una legislatura che non solo ha fallito le riforme istituzionali, ma in cui nemmeno si è tornati al punto di partenza». Lasciamo stare il fatto che pure lui ne sia stato un protagonista non di secondo piano: lui risponderebbe che sgarbatamente non gli è stato consentito di lavorare… Comunque, se è vero il fallimento totale della legislatura, non resta che portare i libri in tribunale. Detto fuor di metafora, non resta altro che chiudere in fretta baracca e burattini, sperando nella prossima legislatura. Allora si alzeranno gli ipercritici della nuova legge elettorale in gestazione e diranno che ne sortirà solo una gran confusione paralizzante. A questo punto la soluzione sarebbe non votare, inchiodare deputati e senatori agli scranni, chiudere a chiave la aule parlamentari e aprirle solo a risultati legislativi soddisfacenti. Scherzi a parte, non capisco dove si voglia parare.