Di fronte all’eventualità di elezioni politiche, anticipate di circa sei mesi rispetto alla normale scadenza della legislatura, si sta alzando un coro di allarmate proteste, tutte più o meno riconducibili al rischio di compromettere la tenuta economica del Paese, la seppur debole ripresa economica, la credibilità e la stabilità del governo italiano.
Voglio sperare che a tutti quanti stiano veramente a cuore queste ragioni e che tali motivazioni non siano la copertura di meri interessi di bottega partitica o correntizia: le prendo per quel che sono senza indulgere ad alcuna dietrologia. Così come voglio concedere la buona fede a chi ritiene sia meglio chiudere in fretta la legislatura per avviarne più autorevolmente una nuova.
Non riesco tuttavia a capire quale tranquillità ai mercati, quale spinta allo sviluppo, quale autorevolezza al Paese possa dare un governo in scadenza con una maggioranza parlamentare risicata e traballante, con grossi divergenze al suo interno, costretto a ricorrere continuamente a voti di fiducia per rimanere a galla, impossibilitato a riprendere una pregnante azione riformatrice.
È pur vero che non si sa quale Parlamento e quale Governo sortiranno dalle prossime elezioni in un sistema partitico abnorme e contraddittorio quale il nostro. Fra sei mesi però la situazione non sarà diversa, anzi probabilmente tenderà a deteriorarsi ulteriormente, mentre i partiti, a ridosso delle elezioni, non avranno il coraggio di scelte coraggiose e talvolta impopolari o comunque tali da compromettere la già difficile raccolta del consenso.
Quando è necessario affrontare una situazione grave, una prova dura, un passaggio problematico, generalmente siamo tutti portati a stringere i tempi per uscire il prima possibile dall’impasse o quanto meno per chiarire i termini del problema senza girarci intorno. Vale per una diagnosi difficile, per un’operazione chirurgica impegnativa, per un esame fondamentale, per ogni decisione che possa condizionarci la vita futura. È così anche per le Istituzioni e per la vita collettiva.
Non credo che tutto possa dipendere dal fatto che Renzi voglia stringere i tempi per fare ancora il premier, come sostiene velenosamente il tecnico Mario Monti. Non credo nemmeno che dall’altra parte si voglia solo tergiversare per paura dei mercati o per timore del ravvicinato verdetto elettorale. Spero che la discussione sia più seria e oggettiva. Ecco perché mi pongo le domande di cui sopra e non trovo sinceramente motivazioni pesanti per la prosecuzione di una legislatura, nata male, riportata faticosamente nel solco delle riforme che purtroppo non hanno potuto trovare piena approvazione, arrivata male al dunque. Ma questi sono problemi politici che non dipendono dal calendario elettorale e nemmeno dalla legge elettorale.
Molti temono che dalle urne esca un Paese ulteriormente frammentato e ingovernabile. Allora cosa facciamo? Non votiamo più in attesa che il centro-sinistra trovi la quadra, che la destra si liberi dai fantasmi del passato e del presente, che il centro recuperi spazio e ruolo, che il M5S diventi un partito di proposta e smetta i panni di un movimento di protesta?
Mio padre quando finivano le vacanze mi consolava dicendomi: «C’è un tempo per riposarsi e un tempo per studiare o lavorare». Per la democrazia c’è un tempo per votare e un tempo per governare. Non si deve votare a tutti i costi, ma nemmeno governare tanto per governare. Staremo comunque a vedere. Punto tutto sul senso dello Stato di Sergio Mattarella. Di lui mi fido!