Si continua a parlare di Europa, ad esaminare gli andamenti politici nei principali Paesi europei, a pontificare sull’evoluzione o involuzione della Ue, a commentare le elezioni francesi, a prevedere quelle tedesche, a trarre indicazioni dagli andamenti elettorali, a teorizzare schieramenti politici, senza ammettere che la politica di ogni Paese fa ancora (purtroppo) storia a sé, che i partiti sono diversi indipendentemente dalla loro adesione ai gruppi esistenti nel Parlamento europeo, che i personaggi giocano in proprio al di fuori di auspicabili logiche continentali, che prevale il protagonismo personale, regionale e nazionale sul conformismo confederale.
Mentre i socialisti sono ridotti al lumicino in Francia, schiacciati sul massimalismo e perdenti di lusso in Gran Bretagna, ancora competitivi ma fortemente indeboliti in Germania, in Italia i democratici rimangono l’unico vero partito sulla scena politica. Mentre il populismo impazza sposato da movimenti e partiti di destra estrema e financo nostalgica, in Italia la più corposa forza populista, il movimento cinque stelle, incarna in modo equivocamente originale ed indistinto le pulsioni di base, indirizzandole più sull’antipolitica che sull’antieuropeismo. Mentre nei Paesi europei le forze moderate di destra tendono a spostarsi verso un centro sostanzialmente liberal-conservatore, distinguendosi nettamente dai nazionalisti e dai populisti, in Italia permane una confusa e frammentata situazione tra centristi, berlusconiani, leghisti e sedicenti fratelli d’Italia (questa macedonia si potrebbe trasformare in un frullato sulla spinta delle recenti elezioni amministrative?).
Poche riflessioni su questo ultimo dato. Se da una parte l’ingombrante presenza di Silvio Berlusconi continua a introdurre l’illusionistica ma impossibile sintesi fra le diverse anime antistoriche dell’attuale destra italiana, dall’altra parte blocca pretestuosamente ogni chiarimento sulla base di un carisma da operetta, abbarbicato alla insignificante oltre che improbabile rilegittimazione da parte della Corte europea, dall’altra ancora punta su un movimento giovanile e liquido alla Macron: dopo aver rovinato l’Italia per circa un ventennio, rischia di rovinare la destra annullandone le potenzialità politiche e tenendo il coperchio sulla relativa pentola, di confondere le carte della politica italiana a proprio uso e consumo (come del resto ha sempre fatto). D’altra parte l’unico ed imprescindibile leader rimane lui.
Devo ammettere che di fronte a Matteo Renzi si può essere favorevoli, contrari o perplessi (meglio con argomenti seri piuttosto che con le nostalgie degli improbabili spretati rossi), davanti a Beppe Grillo si può essere sempre più preoccupati del dove potranno finire le sue (non) strategie a corrente alternata, dinanzi a Berlusconi si può amaramente sorridere, ma con Matteo Salvini bisogna solamente chiedersi se si è desti o si sta sognando. La frittata leghista tra nordismo, federalismo, nazionalismo, antieuropeismo, putinismo, trumpismo, populismo, ha dell’incredibile: se ne sta accorgendo Umberto Bossi che di leghismo se ne dovrebbe intendere (solo i suoi disgraziati handicap fisici e le sue incolpevoli vicende famigliari e familistiche hanno dato spazio al nuovo leader).
Mi dispiace perché con Umberto Bossi il leghismo era una cosa seria da combattere, con Salvini è diventato una presa in giro. Sono del parere che in politica, come del resto nella vita in genere, sia molto meno pericoloso un avversario trasparente e portatore di un’idea (Bossi) rispetto a un nemico fumosamente e pervicacemente ridicolo (Salvini). Leggendo le cronache e i commenti all’assemblea congressuale leghista con tanto di ingenerosi fischi e faziose contestazioni nei confronti di Umberto Bossi, ho provato un senso di grave fastidio per la solita ingratitudine umana e ho pensato che andava meglio quando andava peggio.
Durante il dibattito parlamentare per l’insediamento del primo governo berlusconi, un esponente della destra si rivolse provocatoriamente a Massimo D’Alema: «Rimpiangiamo il Partito Comunista!». «E io rimpiango la Democrazia Cristiana…» ribattè D’Alema con la sua impareggiabile vis polemica. Io oggi arrivo a rimpiangere Umberto Bossi. È tutto dire.