Il sangue degli innocenti lavi gli equivoci religiosi

L’escalation del terrorismo islamico, alla cui origine si pongono motivazioni di ordine storico, economico, sociale, politico, mi induce sempre più a valutare anche le ragioni di carattere religioso. Il discorso vale, a maggior ragione, quando l’attentato è opera di kamikaze, i quali devono per forza avere motivazioni molto forti, che, direttamente o indirettamente, sono riconducibili a una qualsivoglia ispirazione religiosa portata all’ennesima potenza fanatica.

Non sono un conoscitore dell’Islam: so però che è una religione del libro, il Corano, e questo libro evidentemente si presta a non pochi equivoci sui quali si può basare il fanatismo omicida. A questo discorso si controbatte giustamente ricordando come anche i cristiani nella storia ne hanno combinate di tutti i colori in nome della religione, basti pensare alle Crociate e all’Inquisizione.

C’è però una differenza abissale: mentre nel Corano ci possono essere appigli tali da giustificare la follia contro gli infedeli, nel Vangelo, come ricorda autorevolmente il vaticanista Aldo Maria Valli, non possono sussistere equivoci. Chi uccide in nome di Gesù Cristo è completamente e inesorabilmente fuori strada, perché il protagonista del Vangelo è morto in croce per insegnarci anche e soprattutto la non violenza. E l’antico testamento della Bibbia? Purtroppo presenta anch’esso non pochi margini di equivoco, che vengono però spazzati via dalla vita di Gesù: se le scritture fossero state esaurienti non sarebbe stata necessaria l’Incarnazione. Non a caso il Cristianesimo è una religione della persona e non del libro; non a caso Gesù non ha scritto nulla e ci ha lasciato esempi di vita, concreti, precisi ed inequivocabili; non a caso Gesù ha più volte affermato che veniva non a cambiare, ma a superare e dare compimento alle antiche leggi (che vuol dire ben più di cambiare).

Con tutto ciò non voglio dire che il discorso verso l’Islam sia troppo accondiscendente e comprensivo, per come ad esempio si comporta papa Francesco, ma proprio questo dialogo aperto e leale, questa incondizionata ed evangelica apertura di credito, deve mettere coloro che hanno il ruolo di interpretare il Corano davanti alle loro responsabilità per farli uscire da ogni e qualsiasi omertosa tolleranza. Si continua a leggere di imam inquisiti ed espulsi, di moschee chiuse per istigazione al terrorismo, di plagi effettuati all’interno delle carceri, di possibili contiguità tra i “preti” islamici e le fasce di soggetti più esposti alla cosiddetta “radicalizzazione”.

Di pari passo occorre che gli islamici rispettino rigorosamente le leggi dei Paesi che li ospitano soprattutto in materia di diritti irrinunciabili e collegabili al rispetto della persona umana. In questo senso non c’è Corano che tenga: le donne hanno parità di diritti, i bambini pure, la vita è sacra e non si tocca, etc. etc. Non basta l’indignazione contingente, ci vuole una quotidianità che sappia prendere le distanze ed isolare ogni e qualsiasi fanatismo.

L’Isis spera di mettere i musulmani e i cristiani in guerra fra loro. I cristiani non devono cadere nel tranello della comoda generalizzazione e tanto meno rifugiarsi nella strategia del muro contro muro. I musulmani però devono uscire totalmente dall’equivoco, dalle riserve mentali, dalle vendette ataviche, dalle zone d’ombra. Solo nella estrema chiarezza si può convivere, dialogare, collaborare, volersi bene.

Ce lo chiedono le vittime innocenti delle stragi a sfondo religioso: Gesù è scampato ad una di queste per poi autoconsegnarsi ai suoi carnefici al momento giusto, al fine di azzerare la religione che osa uccidere.

 

P.S. Chi fosse interessato ad approfondire questa materia, può fare riferimento alle riflessioni sul terrorismo islamico di cui al saggio “Il paradosso: l’amore ci divide…la violenza ci accomuna”, contenuto nella sezione libri di questo sito.