In merito alle apparizioni e ai fenomeni straordinari, di fatto influenti sulla religiosità popolare, l’atteggiamento della gerarchia cattolica è sempre stato caratterizzato dalla estrema cautela al limite dell’ostilità. Se la prudenza non è mai troppa, al fine di evitare pericolosi scivolamenti nell’illusione miracolistica nonché facili e devozionistiche scorciatoie di stampo spiritualistico, la storia ha registrato anche una sorta di prevenuto scetticismo, che ho sempre ascritto al timore dell’autorità religiosa di essere scavalcata nel suo ruolo di mediazione tra l’individuo e la divinità. In poche parole il timore di perdere ruolo e potere.
Anche papa Francesco viaggia sul filo del rasoio quando, con la sua pur simpatica e schietta verve, afferma ironicamente in merito a Medjugorje e all’indagine in corso (apro una lunga parentesi: mi scappa da ridere al pensare come la Chiesa, nella sua ufficialità gerarchica, metta sotto inchiesta la Madre di Dio e quanti sostengono di vederla e ascoltarla. Roba che puzza un tantino di Inquisizione. Sarebbe meglio riservare gli intenti chiarificatori alle perduranti prassi curiali vaticane): «Sulle presunte apparizioni attuali, la relazione presenta i suoi dubbi. Io sono più cattivo, preferisco la Madonna Madre alla Madonna capo di ufficio telegrafico che ogni giorno invia un messaggio».
Avrei preferito che il pontefice ironizzasse oltre e più che sulle cronometriche apparizioni mariane, sulle poliziesche, inutili e ostruzionistiche procedure vaticane. Egli stesso infatti ha premesso che “tutte le apparizioni o le presunte apparizioni appartengono alla sfera privata e non sono parte del magistero pubblico ordinario”. E allora perché tanto accanimento istruttorio e tanta intromissione burocratica, salvo tardivamente arrivare in pompa magna ad ammettere l’autenticità di questi fenomeni magari cavalcandoli trionfalisticamente.
È vero che, come dice lo stesso Papa, “c’è il fatto spirituale e pastorale. Gente che si converte e questo fatto non si può negare”. A Fatima, Bergoglio, lo scrive Alberto Melloni, si è comportato in linea “con la sua teologia del popolo, quella che vede nella religiosità popolare un sensus fidei, che va al di là dei tratti a volte arcaici di queste devozioni e punta ad un nucleo di fede”.
Personalmente, nella mia vacillante esperienza di fede, non sono molto interessato alle apparizioni e ancor meno al giudizio “di parte” della gerarchia su di esse. Non accetto tuttavia lo sbrigativo ragionamento che non annette pregiudizialmente alcuna utilità a queste manifestazioni sulla base dell’autosufficienza della rivelazione evangelica. Non c’è dubbio che la fede si fondi sul Vangelo (e non sulla Tradizione: io la penso così), ma perché escludere aprioristicamente l’impronta della ulteriore divina provvidenza nella scelta di eventuali canali diretti di manifestazione soprannaturale. Se non erro Gesù, agli apostoli rigorosamente ostili verso quanti a loro parere abusavano del suo nome e del suo insegnamento, consigliò tolleranza dicendo: «Chi non è contro di noi è con noi».
In fin dei conti, se è vero che sembra improbabile come “la Madonna dica: venite, quel tal giorno alla tal ora darò un messaggio a quel veggente”, perché escludere che la Madonna, in linea con la sua semplicità di fede e di vita terrena, possa servirsi di procedure banalmente mondane per manifestarsi e mandare messaggi. La gerarchia faccia un doveroso atto di umiltà, si astenga da pronunciamenti di qualsiasi tipo e lasci ai cristiani, dotati di Spirito Santo, tanto come papi e cardinali, le loro scelte religiose e devozionali. Tanto più che i messaggi mariani derivanti dalle apparizioni, pur non essendo mai banali, sono perfettamente allineati alla dottrina e molto rispettosi della tradizione. Anche troppo: questo è semmai per me un motivo di dubbio. Ma non esageriamo pretendendo da Maria qualche autorevole stoccata, anche se ce ne sarebbe bisogno.