Lo scenario internazionale presenta diffuse e risorgenti avvisaglie di guerra: Corea, Estonia, Bielorussia, Siria, Iran, Afghanistan, Yemen, Sud Sudan, Somalia, Centrafrica, Mali, Congo e Burundi. O si guerreggia o ci si prepara alla guerra appostando armi micidiali, trafficandole, fornendole a certi Paesi contro altri. Ogni tanto ci si scandalizza perché muoiono bambini innocenti, perché in qualche caso si supera il livello di guardia e si violano anche le più elementari regole internazionali.
La comparsa sulla scena mondiale di Donald Trump sta comportando gravi tensioni nei rapporti e rischia di cancellare i pur modesti e relativi passi diplomatici effettuati negli ultimi anni.
Per quanto ci riguarda più da vicino dobbiamo registrare pressioni molto esplicite di Trump su Italia e Germania per l’aumento delle spese militari, sintomo della ricerca di equilibri basati sull’incremento delle armi e degli affari che gli stanno dietro. La spesa militare italiana dovrebbe arrivare al 2% del Pil, che significherebbe 100 milioni di euro al giorno alla faccia della Costituzione italiana che all’articolo 11 recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Certo non si può far finta di niente, stare ipocritamente dentro la Nato aspettando passivamente e furbescamente che siano gli altri Stati alleati a farsi carico delle spese: il discorso dovrebbe essere fatto a monte chiedendo magari alla Nato di commutare almeno le ulteriori spese militari in sostegni economici ai Paesi in via di sviluppo, laddove invece funzionano gli sfogatoi militari delle scaramucce fra superpotenze.
A livello europeo sarebbe auspicabile che si esercitasse in tutto e per tutto un’azione diplomatica per contribuire ad allentare le tensioni ed a progettare scenari di pace, rifiutando categoricamente di accendere nuovi focolai di guerra o di alimentare quelli vecchi.
A chi vuole fare guerre non manca la fantasia per trovarne i pretesti. Chi vuole andare in controtendenza deve avere altrettanta fantasia per trovare terreni di impegno a sostegno della distensione ed della pace. “Si vis pacem para bellum” dice una locuzione latina di autore ignoto: uno dei mezzi più efficaci per assicurare la pace sarebbe quello di essere armati e in grado di difendersi. Potrebbe anche significare, in maniera più sottile, che un espediente per tenere unito e concorde un popolo, e quindi poterlo meglio governare, è quello di creare un nemico all’esterno o al suo stesso interno. Il discorso va totalmente capovolto in “se non vuoi la guerra prepara la pace”.
Il missionario Padre Alex Zanotelli, una voce ed una testimonianza profetica in senso autenticamente evangelico, con ammirevole coraggio e stupenda coerenza invita le comunità cristiane a smuoversi accogliendo gli inviti di papa Francesco a bandire le armi nucleari ed a dire basta alla “follia” delle guerre e dell’industria delle armi.
Mai forse come oggi il cattolicesimo ha la possibilità di giocare carte importanti a servizio della pace: non accontentiamoci però di applaudire il papa esaltandone le iniziative. C’è uno spazio di denuncia e di proposta da occupare. Occupiamolo, chiedendo alla politica non tanto il miracolo di trasformare la guerra in pace, ma di invertire le tendenze belliciste con un sussulto di coraggio e di coscienza.
Mio padre ogni volta che sentiva notizie sullo scoppio di qualche focolaio di guerra reagiva auspicando una obiezione di coscienza totalizzante: «Mo s’ pól där ch’a gh’sia ancòrra quälchidón ch’a pärla äd fär dil guèri?».
Diceva con molta gustosa acutezza: «Se du is dan dil plati par rìddor, a n’è basta che vón ca guarda al digga “che patonón” par färia tacagnär dabón». È quanto fanno le grandi potenze: invece di smorzare i bollenti spiriti, soffiano sul fuoco.
Da piccolo non mi piaceva giocare alla guerra, figurarsi se mi diverto oggi a veder “giocare” Russia, America, Cina, Europa e…Italia.