«L’Italia oggi è ammirata da tutta l’Europa, salvo che dagli italiani. Non siete abbastanza fieri del vostro Paese. Gli italiani danno sempre l’impressione di essere frustrati, quando in realtà sono dei campioni. (…) L’Italia meriterebbe il Nobel per la pace in considerazione di quello che fa per salvare vite umane nel Mediterraneo». Sono due passaggi di una recente intervista rilasciata dal presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker.
Il forte senso autocritico a livello individuale e collettivo evita certamente di cadere nella presunzione di superiorità molto pericolosa e che a livello nazionale può essere foriera di autentici disastri nei rapporti con gli altri Paesi. La storia passata e presente ce lo insegnano. Al riguardo preferisco l’esagerata e ingiustificata frustrazione italiana all’aria di sufficienza che pervade l’atteggiamento tedesco e del Nord-Europa.
L’eccesso di auto-disistima anziché funzionare da stimolo al miglioramento può però rappresentare un freno all’impegno ed alla partecipazione e comportare il rischio di crogiolarsi e paralizzarsi nei propri difetti.
Non è comunque il caso di psicanalizzare gli italiani, ma di cercare i punti critici delle nostre difficoltà oggettive che non sono generalizzabili in un gap totale rispetto al resto dell’Europa, ma individuabili in alcune questioni peraltro tra loro strettamente collegate: l’inefficienza della macchina burocratica pubblica, l’evasione fiscale, il fenomeno della corruzione, il divario nord-sud. Il pesante filo causa-effetto di collegamento è il debito pubblico, che zavorra la nostra navigazione.
Nonostante i reiterati tentativi di semplificazione e di modernizzazione, l’apparato burocratico rimane pesante, frenante e condizionante, esposto, nella sua macchinosità e impenetrabilità, al vento della corruzione, farraginosa copertura e comodo alibi per tutti i fenomeni di evasione fiscale e contributiva. Il sostegno al meridione non ottiene risultati apprezzabili anche per effetto della piovra mafiosa che divora gli investimenti e assorbe le spinte imprenditoriali. Tutto si ripercuote sul debito pubblico.
Dice ancora il presidente della Commissione Europea: «Mi rattrista vedere che l’Italia perde competitività di giorno in giorno, di anno in anno. Ci sono riforme strutturali importanti che vanno fatte, sia pure con saggezza. L’Italia deve ritrovare un tasso di crescita che oggi è troppo debole. L’Europa le ha dato spazi che occorre saper sfruttare. La flessibilità ha permesso al Paese un margine di manovra senza che la mannaia del patto di stabilità gli cadesse sul collo. I bassi tassi praticati dalla Bce offrono una tregua di cui deve saper approfittare. Abbiamo apprezzato la riforma del mercato del lavoro. Osservo con simpatia la serietà e gli sforzi con cui il governo Gentiloni affronta la crisi delle banche. Noi vogliamo che il sistema bancario italiano esca più forte e robusto da questa fase difficile. Vedo gli sforzi per correggere i conti pubblici. Se prende le iniziative giuste, l’Italia ha tutti gli strumenti per diventare una forza motrice dell’Europa».
Quando Juncker ci chiede riforme strutturali credo faccia riferimento alle piaghe di cui sopra. Nelle sue parole non vedo acredine. Dopo gli aperti elogi, arrivano i sommessi rimproveri. Impariamo ad ascoltare ed a fare tesoro degli uni e degli altri. Impariamo a stare in Europea, senza architettare impossibili e assurde vie di fuga, senza vittimismi e senza velleitarismi, senza furbizie e senza debolezze, con grande dignità e impegno.