Mi sono chiesto più volte quale e quanta influenza abbia avuto il fattore religioso nella elezione di Donald Trump. Sicuramente i cristiani americani sono caduti nella trappola che la politica generalmente tende alla religione: scambiare il consenso e l’appoggio con la difesa formale dei principi etico-religiosi a copertura sostanziale delle posizioni e degli assetti di potere. Ma Trump, come vedremo sotto, è andato oltre nelle sue avance.
La religione ha la tendenza a mercanteggiare la possibilità e gli spazi del proselitismo scambiandoli con l’indifferenza alle politiche sociali: chiudiamo un occhio, forse anche due, sulle ingiustizie, purché ci lascino tranquilli a coltivare ed allargare il nostro campo.
Trump ha sventolato sotto il naso dei cristiani d’America l’intenzione di ridimensionare il diritto all’aborto: bene, bravo. Per il resto fai quel che vuoi (ho semplificato o addirittura banalizzato il discorso per rendere l’idea).
È il motivo par cui abbiamo sempre trovato le Chiese più o meno a fianco dei vari regimi a livello di istituzione, con l’effetto trascinamento verso i seguaci più obbedienti, meno dotati di capacità critica e meno coraggiosi nella testimonianza di vita. In fin dei conti Gesù è stato condannato e ucciso perché non ha voluto navigare a vista tra potere religioso e potere politico, ha tracciato una linea invalicabile tra queste due alte sfere, attestandosi inequivocabilmente sulla condivisione dei problemi e sulla solidarietà alle persone che dovrebbero essere oggetto di attenzione. È questo che dà enorme fastidio ai potenti: se la religione si mette in mischia viene travolta dal compromesso, se resta al suo posto gioca il vero e unico ruolo rivoluzionario.
Su questa problematica ha scritto uno splendido articolo Marco Ronconi, teologo e insegnante di religione, curatore su Jesus, rivista mensile della “Catena periodici San Paolo”, di una rubrica simpaticamente intitolata “Teologiadabar”. Ne riprendo di seguito il senso e le argomentazioni molto interessanti e totalmente condivisibili: si tratta di un esame dell’atteggiamento dei cristiani davanti al test di Trump.
L’attenzione viene giustamente posta sull’inasprimento delle misure di controllo verso i cittadini provenienti dagli Stati, colpevoli di essere a maggioranza musulmana e teatri di guerra o di fervore fondamentalista. Ronconi giudica questi provvedimenti come un atto culturalmente devastante, poiché si regge su una serie di equivalenze deflagranti: musulmano=sospetto; migrante=terrorista; povero=pericoloso.
Non bastasse, l’amministrazione Trump ha manifestato l’intenzione di allestire un corridoio preferenziale per i fuggiaschi di fede cristiana. È la stessa logica del mafioso che obbliga ad accettare un regalo non richiesto colui al quale chiederà poi complicità e omertà di fronte a un reato.
Differenziate e variegate sono state le reazioni del mondo religioso. Si è andati dal favore per l’interessamento verso la persecuzione dei cristiani al timore che i cristiani diventino, negli Stati a maggioranza musulmana, corpi estranei, soggetti da emarginare o eliminare; si è passati dalla soddisfazione per una difesa pelosa e pericolosa alla rivendicazione della cultura dell’apertura, dal silenzio assenso alla condanna della confusione tra carnefici e vittime. La religione in buona sostanza si è fatta trovare piuttosto impreparata e ondeggiante.
L’articolo, a cui mi sto ispirando e che sto citando a piene mani, mette il dito su due questioni cruciali. La prima è l’idea di Chiesa attorno alla quale si stanno scontrando due posizioni molto diverse: da una parte chi pensa che la Chiesa esista per i cristiani; dall’altra, chi pensa che esista per il mondo e – se proprio deve fare una distinzione – è chiamata a stare dalla parte degli ultimi, indipendentemente da ogni etichetta ulteriore.
La seconda questione spinosa è legata alla reazione di fronte a una persecuzione. Il cristianesimo è la religione dei martiri e non delle vittime, figuriamoci dei vittimismi. Papa Francesco non chiede favori per i suoi, reclama diritti per tutti i figli di Dio. Alcuni porporati che, lontano dai luoghi in cui il sangue è versato, strizzano l’occhio a Trump, sembrano aver dimenticato il motivo per cui il loro abito è rosso: non per contrattare spazi di benessere, ma per essere disposti a dare il proprio, di sangue, e per tutti. Chiedano al loro confratello monsignor Zenari, il nunzio apostolico di Siria rimasto accanto ai perseguitati di ogni religione, nominato non a caso cardinale nell’ultimo concistoro.
Le trappole trumpiane sono molto accattivanti per il popolo in genere e quindi anche per il popolo cristiano. Se il popolo degli “smarriti”, fuorviato da nostalgie e insoddisfazioni, non ha facili riferimenti su cui fare forza, il popolo dei cristiani ha il Vangelo. Pilato chiese a Gesù: «Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gesù si limitò a richiamarlo alle sue responsabilità e non patteggiò, se la sarebbe cavata con poco.