Nel farraginoso panorama italiano della sinistra politica da qualche tempo si aggira un personaggio relativamente nuovo, che ha bazzicato culturalmente gli ambienti più radical chic, un giurista di alto livello, un alto borghese prestato al proletariato, un sindaco di saldatura di un’area che va dal ceto medio al sottoproletariato, un uomo moderato nei toni ma di forte ispirazione laico-progressista. Si tratta di Giuliano Pisapia.
Si aggira come un fantasma nelle attuali stanze della sinistra, tenendosi in disparte da tutti, ma dialogando con tutti e dando l’illusione di essere con loro; tiene aperto un canale di collegamento con i fuoriusciti dal PD (non mi sono ancora abituati a chiamarli Movimento dei Democratici Progressisti), ha agganciato i frazionisti di Sel e Si, piace un po’ a tutti (Landini compreso, la Camusso non si sa perché è troppo indaffarata a disfare quanto ha fatto il governo negli ultimi anni), non si pone in conflitto col PD, anzi lo ritiene un interlocutore obbligato e di questo partito coinvolge, a livello di dialogo, parecchi personaggi di primo piano oltre ai candidati alla segreteria in opposizione a Renzi, ha l’appoggio dei camali di porto, degli studenti arrabbiati, dei giovani disperati, dei borghesi illuminati, del terzo settore, degli intellettuali sfaccendati, degli artisti interessati, dei cattolici (non solo di sinistra) e dei laici. In molti guardano a lui (un po’ troppi, secondo me). Ha, seppure con altro stile e spunto, e con tendenza a segnare nettamente il territorio sulla destra, qualcosa in comune col maanchismo veltroniano.
Ha il suo brand e il suo movimento, “Campo progressista”: lo ha pensato con calma olimpica, dopo il gran rifiuto a ricandidarsi sindaco di Milano, e intendendo riproporre a livello nazionale l’ampia ed articolata esperienza milanese. Tutti i senza casa di sinistra guardano a lui con speranza e sollievo, perché in teoria riesce a coniugare identità, storia, lotta, governo, uguaglianza, modernità.
Nella sua strategia, peraltro ancora piuttosto vaga e (quasi) tutta da costruire, in pratica, si intravedono, assieme a prospettive interessanti, alcune latenti contraddizioni politiche e anche sociali. Giuliano Pisapia non è indenne dalla sindrome autoreferenziale e purista della sinistra: ha (im)posto infatti al PD un confine a destra verso quelle forze che si autodefiniscono di centro moderato, un vespaio di ex berlusconiani che hanno sostenuto in questi anni il governo (prima assieme a Berlusconi, poi senza) e che potrebbero essere ancora disponibili, soprattutto qualora il sistema elettorale ci consegnasse un Italia frammentata e ingovernabile. Qui Pisapia è in una certa controtendenza rispetto alla “sua”operazione milanese. Pisapia ha vinto le elezioni amministrative milanesi del 2011 saldando la sinistra tradizionale con gli ambienti della borghesia e financo con ambienti cattolici vicini a Comunione e Liberazione, senza farsi giustamente scrupolo di imbarcare uomini provenienti da esperienze politiche diverse dalla sua, come ad esempio Bruno Tabacci. Non capisco perciò questa conversione puritana. Probabilmente ritiene di recuperare socialmente certe fasce moderate di elettorato senza bisogno di blandirne i target partitici. Non vorrei fosse il condizionamento psicologico della sinistra anti-renziana a tutti i costi. Probabilmente paga un prezzo, che però potrebbe rivelarsi pericoloso e controproducente.
Una seconda difficoltà la sta incontrando con i progressisti ex PD: rischia di ascoltarli troppo e di essere risucchiato dai D’Alema e dai Bersani, che strumentalmente gli stanno dando corda, ma hanno in testa ben altre idee. In effetti Giuliano Pisapia è stato preso in contropiede dalla scissione PD, di cui voleva essere l’esorcista esterno, e quindi la sua manovra ha preso ancora più indeterminatezza e confusione rispetto alle intenzioni iniziali.
Su tutto poi, a breve termine, grava l’incertezza del sistema elettorale, che potrebbe aiutare, ma anche mettere in seria difficoltà il “federalismo” di sinistra, o consacrandone la deriva frazionista spinta dal sistema proporzionale o soffrendo la forzata necessità di un aggregazione nel sistema maggioritario senza coalizione.
Da ultimo Pisapia ignora il movimento cinque stelle: punta a recuperare la sfiducia “di sinistra” albergata provvisoriamente in esso. Grillo, ai tempi dell’operazione Milano, lo chiamava “Pisapippa”. Oggi, per il momento tace, perché di “pippe” ne ha già abbastanza tra le sue file.
Se ho ben capito, Giuliano Pisapia, tra un dubbio amletico e l’altro, punta alla riaggregazione dell’area a sinistra del PD, senza conflittualità ma addirittura con attenzione collaborativa verso il PD. Auguri!