Non appena ho appreso dell’attentato al cuore politico della Gran Bretagna, attacco al Parlamento britannico col preludio del massacro sul ponte di Westminster, mi è venuto spontaneo connettere questo evento terroristico con l’inizio ufficiale del percorso brexit e con la celebrazione dei sessant’anni dal Trattato di Roma, il sessantesimo sostanziale compleanno della UE.
Per approfondimenti sugli aspetti politici, religiosi, sociali e psicologici del terrorismo islamico mi permetto di rimandare il lettore, che abbia interesse e tempo, agli studi sull’argomento contenuti in questo mio sito, soprattutto nella sezione libri.
Vorrei invece affrontare l’argomento con il taglio spontaneo immediatamente suggeritomi dalla concomitanza di certi eventi e dall’aria che si muove intorno ad essi. C’è un drammatico nesso fra questo attentato e la sciagurata decisione inglese (uso l’aggettivo inglese in senso riduttivo, perché la decisione non è della Gran Bretagna, ma dell’Inghilterra, visti al riguardo i dissensi gallesi, scozzesi e irlandesi) di uscire dall’Unione europea?
Il primo pensiero a caldo mi ha portato ad ipotizzare una sorta di tragico e sadico avvertimento della storia al presuntuoso passo anti-storico della brexit. Come se il terrorista o i terroristi protagonisti del fattaccio volessero significare di essere i messaggeri di questo macabro telegramma, intendessero dire di aver preso di mira questo Paese perché è più debole, perché si è isolato, perché sta prendendo posizioni troppo filo-trumpiane, perché sta facendo marcia indietro rispetto al suo storico multiculturalismo, alla sua disponibilità all’accoglienza degli immigrati, perché il vento isolazionista rischia di interrompere il processo di integrazione degli immigrati stessi se non di preludere ad una loro espulsione, perché in Gran Bretagna è aumentata la possibilità che attecchisca il virus della lotta senza quartiere all’infedele ed è cresciuta la probabilità di una sollevazione consistente da parte dei musulmani moderati.
Non so se i terroristi in questo specifico caso siano così raffinati nella loro strategia e così abili nella loro tattica, ma qualcosa sotto ci deve essere, quasi un subconscio storico che li ha indirizzati verso Londra in questo particolare momento ed in vista di un certo futuro.
La reazione inglese all’attentato, pur contenuta nei modi, ha subito mostrato di aver accusato il colpo politico. Tutti hanno affermato che trattasi di un attacco simbolico al cuore del sistema parlamentare e politico occidentale, nessuno ha osato dire che possa essere direttamente o indirettamente anche un portato di brexit. Per come è scaduto lo scontro politico in Italia, se trasferissimo virtualmente in Gran Bretagna il modo italiano di fare politica, l’opposizione laburista strumentalmente, riscattandosi da precedenti tiepidezze europeiste, darebbe tout court le colpe dei morti alla brexit chiedendo un dietrofront immediato, mentre gli antieuropeisti, cavalcando la paura, troverebbero il modo di chiedere una ulteriore, auspicabile e veloce concretizzazione della brexit stessa.
Gli Inglesi preferiranno, come fanno di solito, far finta di niente e proseguire imperterriti sulla loro strada, sdrammatizzando e nascondendosi dietro il loro tradizionale senso di superiorità. Basti dire che la Scozia ha rinviato sine die il ventilato referendum indipendentista. Tutte dimostrazioni di senso dello Stato, ma anche di smisurata e incrollabile supponenza in merito alla bontà dei loro riferimenti storici e politici.
Anche i commentatori si sono tenuti lontani dal taglio spietato da me adottato: forse sto esagerando o forse sto dicendo quella triste verità che nessuno ha il coraggio di dire per carità di mondo. Solo Ellekappa, nella sua vignetta su la Repubblica, sfiora il discorso. «Ci sono sentimenti che nessuna brexit può cancellare» dice uno. E l’altro risponde: «L’Europa è saldamente unita almeno nella paura».