Mi ha sinceramente colpito una dichiarazione del sindaco uscente di Genova, Marco Doria, raccolta da la Repubblica: «Un consigliere regionale o un parlamentare non lo cerca nessuno e prendono stipendi molto alti. Un sindaco è al centro di tutto, carico di responsabilità. Un peso che può spaventare tanti». Di rimando il cronista si è posto la piccante domanda: un mestiere usurante per 3 mila euro al mese, ne vale la pena?
Ho già espresso in un precedente commento cosa penso del trattamento economico da riservare ai politici, ma qui viene introdotto il delicato e difficile discorso delle responsabilità.
In effetti si nota, in giro per l’Italia, una crescente riluttanza alla ricandidatura a sindaco per gli uscenti logorati da cinque anni di problemi, contrasti e polemiche, ma anche una certa confusione nelle candidature ex novo e soprattutto una progressiva loro caduta di livello qualitativo.
Croce e delizia della carica di sindaco è quella di essere a contatto piuttosto immediato con i cittadini e i loro bisogni. Viene spontanea al singolo o ai gruppi, in concomitanza con l’insorgenza di piccole e gravi questioni, l’idea di rivolgersi al sindaco: è il primo autorevole referente, che, a volte, rischia di essere anche l’unico. Pur volendo non riesce a nascondersi dietro qualcun altro; l’unica arma di difesa in suo possesso è la scarsità dei fondi, quella vale sempre e comunque, date le ristrettezze della finanza pubblica, ma non interessa ai cittadini con l’acqua alla gola.
Capisco la solitudine dei sindaci: trovano nella prefettura un interlocutore freddamente burocratico; nella Regione un’entità intermedia restia ad assumersi responsabilità, pronta a rivendicare i meriti ed a scaricare le colpe; nei parlamentari di collegio le primule rosse in tutt’altre faccende affaccendate, introvabili nei momenti top della discussione romana; nel governo centrale un’autorità lontana, impegnata sempre in questioni di più alto respiro. Mestiere difficile e ingrato quello del sindaco. Chi vuol fare politica lo sta capendo e opta per altri incarichi.
La riforma elettorale a livello comunale, da tempo varata e che, a detta di quasi tutti, funziona (personalmente ho non poche perplessità), concede al sindaco l’investitura popolare assieme a parecchi poteri, ma con il rovescio della medaglia di enormi responsabilità e rischi. Sì, perché è un attimo finire sotto inchiesta e sotto processo per abuso d’ufficio o altre simili reati in cui ci si può infilare senza accorgersene. Emblematico il caso del sindaco di Bologna sotto inchiesta per non aver interrotto l’erogazione dell’acqua ai poveracci, occupanti abusivi di case popolari fatiscenti. I giudici si dice fanno il loro mestiere: forse, a volte, farebbero meglio a cambiare mestiere.
A Genova i candidati sindaco dell’era post-Doria non si trovano. Ma Genova è perfettamente in media. A sinistra la bagarre è grande e un candidato sindaco prima che dei problemi del potenziale suo comune deve preoccuparsi degli equilibri di partito e di coalizione. I pentastellati fanno fatica a trovare candidature serie, non hanno classe dirigente, quella poca se la giocano nelle polemiche interne pro o contro Grillo, e ripiegano su personaggi usciti da comunarie burletta con numeri da cabina telefonica (purché strettamente fedeli al padrone del vapore grillino). Il centro-destra o trova il leghista di turno, che cavalca i ben noti discorsi del populismo a dimensione comunale, oppure si assenta in attesa di risolvere i tira e molla berlusconiani. Restano i funghi del civismo: molto spesso coprono operazioni di riciclaggio delle forze politiche a corto di uomini e di argomenti credibili.
Un panorama tendente allo squallido. Credo non sia prevalentemente una questione di portafoglio, anche quella ha indubbiamente la sua importanza, ma di equilibri politici e istituzionali. A parziale incoraggiamento è vero che una sindacatura in una città importante può essere il lancio per una carriera politica di più alto livello, meno probabile il contrario: la storia recente dimostra l’uno e l’altro caso scuola.
Credo che, tutto sommato, i sindaci siano gli ultimi Mohicani, i capitani coraggiosi della nave sbattuta dalle onde nel mare tempestoso della frattura tra elettorato attivo e passivo, in poche parole le vittime della politica politicante e assente dai bisogni della gente. Non è un caso se tra di loro riescono a trovare intese che vanno oltre i partiti di appartenenza, solidarietà tra colleghi su problemi comuni, meccanismi virtuosi di rappresentanza comune verso regioni e governi.
Se i partiti non si sforzeranno di qualificare e fortificare la loro presenza sul territorio – i sindaci ne sono i facitori istituzionali – avranno una classe dirigente sempre più inadeguata da collocare in Regioni – coi governatori megalomani – che giocano a fare gli staterelli, in un Parlamento di fantasmi, in un Governo costretto a preferire i tecnici. Il tutto davanti ad un elettorato sempre più vacanziero. Poi magari alla fine tutti daranno la colpa all’Europa, che ha le spalle buone, fino ad un certo punto.