Se, come scrivevo ieri, per il movimento dei democratici progressisti (i protagonisti della scissione) è cominciata la “quaresima” degli equivoci, per il partito democratico è iniziato, in netto anticipo sul calendario liturgico, il periodo di “passione”, un congresso partito nel segno delle tessere comprate e dei colpi bassi tra i candidati.
Durante il periodo della mia militanza nella DC, ormai purtroppo lontano, a significare la mia inesorabile età piuttosto avanzata (sono vecchio insomma!), mi capitò di svolgere la funzione di segretario di una importante sezione periferica di partito: gli avversari interni la chiamavano sezione vietcong, in quanto era gestita da un gruppetto dirigente appartenente alla corrente di sinistra, che dava qualche grattacapo al livello provinciale dominato dalle correnti di centro (li chiamavano dorotei in senso piuttosto spregiativo, anche se in realtà il motivo era dovuto al fatto che quella grossa corrente democristiana si era formata alla fine degli anni cinquanta in antitesi ai fanfaniani, riunendosi a Roma in un convento dedicato a Santa Dorotea).
Le operazioni del tesseramento erano purtroppo condizionate e talvolta inquinate dal gioco correntizio e soprattutto da certi bruttissimi meccanismi clientelari facilmente immaginabili: i gruppi di potere tentavano di contare sempre di più rafforzandosi a suon di tessere. Durante un periodo di tesseramento piuttosto vivace volli procedere ad una verifica molto semplice, in quanto temevo che queste adesioni fossero troppe, ingiustificate e magari fasulle. Presi le nuove domande di ammissione e andai, accompagnato da un altro componente del direttivo sezionale, a far visita a questi aspiranti soci presso le loro abitazioni. Ebbene i dubbi si rivelarono, in parecchi casi, certezze: adesioni di cui gli interessati non sapevano nulla o su cui comunque non erano d’accordo, firme falsificate, etc. etc. Partirono denunce ai probiviri con proposte di espulsione per gli iscritti che avevano avallato queste domande fasulle. I probiviri non si riunirono mai e rimase comunque intatto questo antico costume volto a condizionare irregolarmente gli equilibri interni di partito.
In questi giorni, manco a farlo apposta, non appena si è sentito l’odore di congresso, all’interno del PD, soprattutto in aree meridionali (Campania, ma forse non solo in questa regione), sono scoppiati i casi di tessere comprate, di tessere on line pagate tutte dalla stessa persona, di sospetti boom di tessere in certe zone, di volate finali all’accaparramento di nuovi iscritti. Niente di nuovo sotto il sole. Ricordo come, ai tempi sopra evocati, il tesseramento DC toccasse punte incredibili nei periodo ante-congressi, mentre segnava il passo nei periodi congressualmente morti.
I personaggi più critici verso la gestione renziana del PD agganciavano le loro critiche anche al calo di tesserati in atto da qualche tempo: sembra non sia proprio così. Il tesseramento 2016 conclusosi in questi giorni avrebbe visto una aumento del 5%, passando dai 385.320 del 2015 ai circa 400 mila del 2016. Differenze oltretutto abbastanza omogenee tra nord, centro, sud e isole.
Mi auguro che il recupero non sia avvenuto solo ed esclusivamente sull’impulso dato dalle clientele pre-congressuali: forse esageravano gli anti-renziani, forse ballano nel manico i sostenitori-organizzativi dei tre candidati alla segreteria.
Poi c’è il solito Massimo D’Alema che sparge veleni alla sua maniera: «Le primarie non sono una cosa seria. Sono una specie di Festival di Sanremo. Vedrete che a Salerno voterà più gente che a Genova. Questa volta oltre a Forza Italia andranno a votare Renzi anche i Cinquestelle che mi hanno detto: noi ci stiamo mobilitando perché con Renzi segretario siamo sicuri di vincere le elezioni». Ma i potenziali scissionisti non avevano chiesto a gran voce un congresso di rivincita? e adesso che sono fuori dal partito il congresso è diventato il festival di Sanremo. Le primarie non dovevano servire proprio ad evitare i giochi di corrente e le battaglie di apparato? ed ora le squalificano in partenza, dando per scontate intromissioni spurie e strumentali.
Lasciamo perdere poi i grillini che i congressi li fanno nell’ufficio della Casaleggio e c., che le primarie le tengono sul web con la partecipazione di risibili quantità di simpatizzanti e che bevono (forse sempre meno per la verità) il verbo vaffanculeggiante del Beppe, loro padrone assoluto.
Mentre Berlusconi ha una paura folle delle primarie, dice peste e corna dei suoi tradizionali uomini e si diverte a rompere i coglioni ai potenziali partner di coalizione.
E questi sarebbero i censori del PD, capaci di sventolare cartellini rossi in faccia ai democratici? Ma fatemi il piacere. Lo dice uno che si è allontanato dal PD, rendendosi conto che questo partito rischiava e rischia di avere tutti i difetti della vecchia Democrazia cristiana, senza averne i pregi. Ma a tutto c’è un limite, dettato almeno dal buongusto.
Torniamo ai democratici. Ci sono anche le prime scaramucce tra i candidati, che non lasciano sperare niente di buono. Michele Emiliano, contestato per il suo ormai storico balletto tra magistratura e politica, si difende sposando senza alcun pudore le cause populiste (sarebbe meglio dire qualunquiste) più spinte: niente compenso per i politici, come a Cuba. Andrea Orlando, ministro della giustizia, fa finta di non aver appoggiato Renzi in questi anni e si atteggia a interprete perbenista dello scontento dall’interno, strizzando l’occhio ai fuorusciti. Matteo Renzi, al quale non verranno certo risparmiati colpi bassi (Emiliano ha già cominciato, spifferando ai giornali certi sms compromettenti per gli amici e i parenti di Renzi), e che vedo più a suo agio nei panni di un premier d’assalto che di un segretario di sintesi, avrà vita molto più dura di quanto pensasse e credo affronterà la kermesse all’insegna del motto “la miglior difesa è l’attacco”.
Da ultimo arriva il novantenne Rino Formica, grosso esponente craxiano doc, a fare, con una certa arguzia (bisogna ammetterlo), le pulci a Renzi e al PD. Renzi, a suo dire, sarebbe ostaggio degli ex-democristiani annidati nel partito democratico, non avrebbe cultura politica, sarebbe il prototipo del provinciale che va in città, quello che entra nel negozio di lusso e tocca la merce, l’annusa… Per fortuna aggiunge che Luigi Di Maio avrebbe la dimensione politica del consigliere comunale. Da ultimo confessa di scrivere e leggere, ben sette giornali al giorno. Forse sarebbe ancora in tempo per riflettere seriamente sui disastri del craxismo o almeno per leggere, scrivere e…tacere.