Il 15 maggio 2014 Papa Francesco ai diplomatici di tutto il mondo, ricevuti in udienza, disse: «Sarebbe un’assurda contraddizione parlare di pace, negoziare la pace e, al tempo stesso, promuovere o permettere il commercio delle armi».
Lo hanno preso in parola, al contrario di quanto volesse auspicare, e infatti chi parla più di pace? E coerentemente le spese militari sono cresciute di oltre l’otto per cento in cinque anni. Alcuni Stati, India, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Cina e Algeria, comprano il 34 per cento di tutte le armi presenti sul mercato. Usa e Russia vendono il 56 per cento del totale delle armi trafficate, ma anche Cina, Francia e Germania non scherzano col loro 18 per cento. Le cosiddette grandi potenze insomma infestano letteralmente di armi il mondo intero. L’Italia vende il 2,7 per cento del totale ed è ottava in classifica (niente male…), mentre è al 25esimo posto nella classifica degli importatori (da Usa, Germania, Israele). Tutti dati pubblicati di recente.
La cifra sconvolgente però è quella della spesa globale in armamenti che ha raggiunto 1.676 miliardi di dollari equivalenti al 2,3 per cento del prodotto interno lordo mondiale. In parole povere significa che su cento di beni e servizi prodotti nel mondo, 2,3 se ne vanno in armamenti. Non ho idea quante persone si potrebbero sfamare con questa cifra astronomica, ma non voglio fare demagogia sulla pelle di chi muore di fame e di sete.
Dicevo sopra che nessuno parla più di pace, ma di riarmo, di rafforzare le proprie difese (?), di aumentare la spesa militare: è un macabro botta e risposta innescato ultimamente dalla pazzia del nuovo presidente Usa a cui hanno risposto per le rime la Russia, la Cina etc. etc. Tira aria di corsa agli armamenti, convenzionali e nucleari. I destini nel mondo sono, come non mai, nella mani di personaggi incredibilmente inaffidabili, che oltretutto stanno facendo proseliti a livello di stati e di popoli. Mettete virtualmente intorno a un tavolo l’americano Donal Trump, il russo Vladimir Putin, il cinese Xi Jinping, il nord-coreano Kim Jong-un e magari aggiungete un posto per il turco Recep Tayyip Erdogan e provate a pensare cosa ne potrà sortire.
Si è creato un clima competitivo ed antagonistico tale da spingere la “Casa Nera” di Trump a dispiegare forze speciali per liberare Raqqa, la capitale siriana dello Stato islamico: in realtà solo la scriteriata voglia di invertire la tendenza obamiana del non-intervento e per creare i presupposti del sedersi a pieni titolo ai tavoli di guerra; la Corea del Nord si diverte a lancia a titolo sperimentale ordigni nucleari e gli Usa rispondono dispiegando nella Corea del Sud lo scudo anti-missile, che però non entusiasma gli ospitanti (?) di questo sistema protettivo e dà fastidio, e non poco, alla Cina. Detto fra i denti, l’atteggiamento della Cina sembra il più equilibrato e sensato: è tutto dire. Schermaglie atomiche, fiammiferi accesi che si aggirano intorno a un barile pieno di benzina.
Contemporaneamente si legge che (dati Onu) 100mila persone stanno morendo in Sud Sudan per la carestia. Secondo l’Unicef sono 10,2 milioni gli Etiopi che hanno urgente bisogno di aiuti alimentari. E purtroppo non sono i soli nel mondo.
Da una parte ci sono gli equilibri internazionali ricercati e basati da sempre sulla carne da cannone, dall’altra il pietismo internazionale fatto (spesso) business, in mezzo milioni di uomini che soffrono e muoiono di guerra, fame e sete.
E noi, che ci siamo fatti crescere un bel po’ di pelo sullo stomaco, facciamo finta di niente. Viviamo e speculiamo sulle miserie altrui e, se, per caso, qualcuno (ormai cominciano ad essere molti) ci viene ad interpellare, ci chiediamo e gli chiediamo come si permette di romperci le scatole e lo mettiamo alla porta.
Qualche pseudo-religione fa della fine catastrofica del mondo il proprio leitmotiv. Ma, se alziamo lo sguardo, quella che abbiamo sotto gli occhi non è già potenzialmente la fine del mondo? Cosa ci vuole di più?
Il dubbio atroce riguarda il cosa fare. Dobbiamo rimetterci al volere dei grandi sulla terra, scaricando su di loro le responsabilità, come se fossero degli alieni capitati per caso in mezzo a noi e non i rappresentanti di un (dis)ordine mondiale che ci coinvolge tutti?
Non voglio battere sempre sullo stesso chiodo, ma se andiamo dietro ai Trump collocati nel mondo, cosa pensiamo di ricavarne? Mi si dirà che anche gli Obama non hanno fatto granché. È vero, ma se diamo persa la partita, sarà arduo riuscire a vincerla o almeno a giocarla dignitosamente.
Sono partito dal Papa e passo a mio papà. Nella sua semplicità, quando osservava l’enorme quantità di armi prodotta, rimaneva sconfortato e concludeva per un inevitabile inasprirsi dei conflitti al fine di poter smaltire queste scorte diversamente invendute ed inutilizzate. «S’in fan miga dil guéri, cò nin fani ‘d tùtti chìli ärmi lì?» si chiedeva desolatamente.
Aveva ragione, ma non basta. Quando infatti ci presenteremo al trono dell’Altissimo non ce la potremo cavare al basso prezzo di scaricare sul sistema la responsabilità delle tragedie umane. Non sarà così facile saltarci fuori. Perché chi ci ha collocato su questa terra, affidandoci, fra l’altro, la mission di trattarla come un giardino, chiederà automaticamente: «E tu?». Io mi schifavo, scrivevo, parlavo, gridavo. «E poi?». Criticavo, condannavo, protestavo, mi agitavo. «Meglio di niente…e poi?». Urlavo che era tutto ingiusto e sbagliato. «Ascolta…ho capito non hai fatto niente» concluderà minacciosamente il Giudice dei vivi e dei morti.
Il Padre Eterno mi scuserà ma mi sovviene un gustoso episodio, che serve anche a sdrammatizzare la situazione, senza peraltro minimizzarla o sottovalutarla.
Nel periodo immediatamente successivo alla mia andata in pensione incontrai un arguto e simpatico conoscente, che mi chiese cosa stessi facendo dopo la svolta pensionistica della mia esistenza. Mi affannai a spiegargli come fossi impegnato a scrivere, a leggere, a dialogare, a mettere la mia esperienza a disposizione di Tizio e Caio, etc. Mi guardò e, tra il serio e il faceto mi gelò dicendomi: «Ho capito…non fai un cazzo!». Presi, incartai e portai a casa.