Sintomi di ‘post-pecoronismo’

  • La recente nuova eruttazione dell’Etna ha portato disagi sulla città di Catania e non solo. Nello specifico ci sono state problematiche anche sull’aeroporto i cui voli sono stati dirottati a Palermo. In questo senso, vice capogruppo vicario di Fratelli d’Italia alla Camera, Manlio Messina, ha annunciato di voler “interrogare” Matteo Salvini e anche Daniela Santanchè.

Come riportato da Fanpage, Manlio Messina ha spiegato in una nota: “La questione della cenere vulcanica dell’Etna non dovrebbe essere considerata un’emergenza, ma una normalità, e come tale deve essere trattata. Nei prossimi giorni interrogherò il Ministero delle Infrastrutture, l’ENAV e l’ENAC per capire se ci siano carenze nella gestione dello scalo aeroportuale. Mi sembra anomalo che ancora oggi non esistano strumenti adeguati per affrontare questa situazione con maggiore celerità”.

Secondo il deputato di FdI si dovrebbe “disporre di mezzi idonei per rendere l’aeroporto operativo più (velocemente rispetto ai tempi attuali. È necessario anche valutare quanto si stia facendo per potenziare l’aeroporto di Comiso, affinché sia in grado di assorbire i flussi di traffico che vengono regolarmente dirottati da Catania. L’aeroporto di Catania è troppo strategico per permettere che la questione della cenere vulcanica venga trattata con superficialità da parte dei gestori dello scalo”.

Allo stesso tempo, Messina ha spiegato che oltre a Salvini anche la Santanchè finirà nel suo mirino. In questo senso, il politico di FdI ha detto: “Interrogherò la ministra del Turismo per comprendere se intenda sostenere la città di Catania e il suo hinterland con una campagna mediatica che chiarisca come gli eventi legati all’Etna non siano catastrofici, come a volte appare su certi quotidiani, anche esteri. Si tratta di fenomeni sporadici che non arrecano alcun pericolo per la cittadinanza e i turisti”. (da newsmondo)

 

 

  • I Probiviri FdI hanno deciso, a quanto si apprende, l’espulsione dal partito del deputato Andrea De Bertoldi. In conseguenza, analogo provvedimento vale anche quanto al gruppo parlamentare alla Camera, dal quale il politico trentino aveva annunciato poche ore prima le dimissioni, senza preavviso, dopo che un quotidiano aveva addirittura anticipato il verdetto dei Probiviri.

È infatti almeno da aprile, viene riferito, che la Commissione nazionale di garanzia e disciplina FdI aveva avviato nei confronti di De Bertoldi un procedimento “per motivi etici” conclusosi in queste ore e che – sottolineano le stesse fonti – avrebbe portato all’espulsione dal partito, “tra oggi e domani”, del parlamentare.

I rapporti tra De Bertoldi e FdI sono andati deteriorandosi dalla fine del 2023. La prima frattura si è registrata in coincidenza con il Congresso provinciale, quando De Bertoldi sostenne Alessia Ambrosi, ‘sfidando’ il commissario uscente, Alessandro Urzì. Una rivalità che potrebbe anche arrivare in tribunale a proposito di un audio, forse ‘rubato’, in cui, secondo Urzì, De Bertoldi criticava il partito. “Dovremmo essere Fratelli d’Italia, non ‘fratelli-coltelli’, un partito dove l’autorevolezza prevale sull’autorità”, avrebbe detto l’ormai ex FdI.

Il deputato eletto nel collegio uninominale del Trentino-Alto Adige, aveva annunciato di avere “rassegnato con effetto immediato le dimissioni dal gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia” e anticipato che “alla ripresa dei lavori farò assieme alla mia famiglia politica le valutazioni per individuare la mia prossima allocazione, che non potrà che essere improntata ai valori della moderazione, e del cattolicesimo liberale”.

“La mia decisione – spiega – è frutto di un lungo processo di dissenso politico dal partito nata per difendere le ragioni della mia Provincia Autonoma dalla volontà di accentramento decisionista del partito. Ho inoltre più volte chiesto chiarezza su alcuni importanti temi, che da cattolico mi stanno a cuore, ma non sempre ho osservato la risposta che speravo. Mi sono spinto ad aprire un dibattito, che però è caduto nel vuoto”.

“L’unica risposta – segnala ancora De Bertoldi – è arrivata dai Probiviri, con un’indagine strumentale e senza alcun fondamento, su fatti che ho già avuto modo di chiarire ampiamente”. “Oggi arrivo a leggere che ci sarebbe un provvedimento di espulsione. La mia libertà politica e professionale mi hanno consentito una scelta netta che non è più rinviabile. Su questa vicenda sono peraltro pronto ad agire in ogni sede opportuna – avverte – a tutela della mia reputazione e della mia integrità personale e professionale”. (AGI)

 

Non so se questi due fatti costituiscano la prova che nel partito di Fratelli d’Italia qualcosa si sta muovendo: credo e spero di sì. Su entrambi, esplicitamente o in filigrana, si staglia l’imbarazzante figura di Daniela Santanchè (Santa de ché direbbe ancora Dagospia): una ministra inconcludente e una politica ben al di sotto di parecchi sospetti.

Come mai i probiviri di FdI sono stati così solleciti ad espellere De Bertoldi per questioni etiche di lana caprina, mentre sono stati silenziosi o silenziati di fronte alle mastodontiche questioni etiche della Santanché. Come mai nel primo caso si anticipano eventuali provvedimenti della Magistratura e nel secondo i provvedimenti della Magistratura vengono considerati un disturbo bello e buono.

E dietro le interrogazioni di Messina ci vedo anche un attacco al miracolismo salviniano (leggi ponte sullo Stretto), deviante rispetto alla normalità delle problematiche siciliane. Qualcuno comincia a ragionare con la propria testa…

Forse c’è però qualcosa di più in senso squisitamente politico: una chiara insofferenza di alcuni verso l’impostazione monocorde del partito. Spero, per quanto interessar mi possa, che al post-fascismo di Meloni e c. faccia riscontro il post-pecoronismo di Messina, De Bertoldi e c. Sarebbe un bel passettino avanti.

 

Il pallone aerostatico

Al di là dei prezzolati e prezzolanti entusiasmi televisivi, al di là delle pochissime stelle nascenti, (tutte da dimostrare nel tempo) e cadenti (tutte da sopportare con enfasi), al di là delle figuracce italiche, al di là dell’autentica indigestione calcistica a cui mi sono colpevolmente sottoposto, mi sembra che dai recenti campionati europei sia emersa un’inflazione svalutante i calciatori e tutto il loro ambaradan, di cui essi sono peraltro soltanto una parte secondaria: sanno tirare  molto bene il cassetto, ma non sanno tirare in porta; propongono il giropalla come schema basilare di gioco, ma rovinano completamente lo spettacolo; strizzano l’occhio al patriottismo, ma cantano l’inno ai loro compensi da nababbo; ostentano il loro divismo, ma evidenziano limiti tecnico-professionali incredibili.

Al termine di questa sarabanda il mercato calcistico, se la ragione valesse ancora qualcosa, dovrebbe subire un autentico crollo dei costi, dei ricavi e dei bilanci. Invece, siccome la razionalità non è del mondo calcistico, tutto proseguirà come se niente fosse successo.

Prendiamo l’esempio della Rai, che finalmente è riuscita a proporre qualche evento in diretta oltre le solite stucchevoli, noiose e fastidiose chiacchiere. Pensate all’esercito di cronisti e commentatori impiegati, al loro costo direttamente proporzionale alla loro penosa esibizione, allo sciocchezzaio delle polemiche scatenate, alla futilità e ripetitività degli argomenti trattati, ai clamori artificiali inversamente proporzionali ai reali contenuti sportivi.

Come mai in un mondo scetticamente globalizzato e annoiato, il fenomeno calcio resiste e riesce a coinvolgere milioni e milioni di spettatori (compreso il sottoscritto), enormi risorse economiche, tanti interessi e tante attività?

I ladri hanno fatto ancora una volta irruzione nell’appartamento dell’ala della Lazio e della Nazionale Mattia Zaccagni e Chiara Nasti, sua moglie, influencer. Guardando le foto pubblicate online proprio da Nasti, il bottino sembrerebbe importante: su Instagram si vedono diverse scatole vuote di Rolex e di gioielli. Immediata la reazione di sdegno della compagna del calciatore biancoceleste: «Prima che lo scrivano i giornali, questa è l’Italia». Quindi lo sfogo a caratteri cubitali su Instagram: «Pezzi di merda». (dal quotidiano “La Stampa”)

Sì, hanno proprio ragione, questa è l’Italia che consente ad un soggetto capace (?) solo di tirare calci ad un pallone, di guadagnare un sacco di soldi al punto da permettersi una collezione di Rolex, roba da schiaffo in faccia alla povertà. Non so chi siano i pezzi di merda a cui alludono i coniugi Zaccagni: ce ne sono parecchi nel mondo del calcio.

“Se a vundoz muradór igh disson i sold chi dan ai zugadór äd fotbal i vensrisson tutti il partidi anca colli contra i squadrón”, commentava mio padre di fronte alle iniquità calcistiche ed al fanatismo delle folle per i divi superpagati del pallone.

Mio padre era un soggetto che seguiva il calcio in modo distaccato, anche se ne era molto coinvolto, lo amava, lo considerava lo sport più bello del mondo perché semplice, giocabile da tutti, per tutti molto comprensibile, affascinante e trascinante nella sua essenzialità, spettacolare nella sua variabilità ed imprevedibilità, sentiva fortemente l’attaccamento alla squadra del cuore (soprattutto nelle partite stracittadine con la Reggiana soffriva fino in fondo) e non sottovalutava il fenomeno “calcio” (fotball come amava definirlo in una sorta di inglese parmigianizzato).

Cosa farebbe e direbbe oggi? Del calcio, così come viene impostato e propinato oggi, si sarebbe stufato! Si sarebbe consolato con le Olimpiadi (per quello che ha trasmesso la Rai al netto di sigle, chiacchiere e pubblicità), che viveva con tanta partecipazione al punto da augurarsi ciclicamente di poter essere ancora in vita alla futura edizione.

Noi, invece, non ci siamo ancora stancati di farci prendere in giro. Aveva forse ragione un mio simpatico zio che, intendendo dissacrare la passione calcistica, affermava ironicamente e paradossalmente che avrebbe frequentato uno stadio solo a condizione che ci fossero undici palloni che rincorrevano un uomo.

Troppi interessi in gioco, troppi affari, troppa gente che ci gioca dentro, troppi mangiapane a tradimento. Il troppo generalmente guasta, invece…

Il calcio è come la guerra, non finirà mai. E pensare che lo sport dovrebbe essere un antidoto alla cattiveria umana, invece ne è diventato lo sfogatoio. Arrivederci al prossimo campionato! Ormai ci siamo!

 

 

Le sassate migratorie differenziate

Forza Italia è determinata a sostenere lo ius scholae malgrado gli attacchi della Lega. Ma la nota del Carroccio postata ieri sui social ha scatenato l’ennesimo braccio di ferro tra i due partiti di maggioranza. Per il leader azzurro Antonio Tajani è troppo.

«La legge sulla cittadinanza va benissimo così – recita il post leghista – e i numeri di concessioni (Italia prima in Europa con oltre 230mila cittadinanze rilasciate, davanti a Spagna e Germania) lo dimostrano. Non c’è nessun bisogno di ius soli o scorciatoie», scrive il partito di Matteo Salvini. Ma la goccia che fa traboccare il vaso è la foto che correda la nota: un fotomontaggio con i volti di Tajani e della segretaria del Pd Elly Schlein con la scritta “il Pd rilancia lo ius soli, FI apre un varco a destra”. (dal quotidiano “Avvenire”)

Mio padre sosteneva con molta gustosa acutezza: «Se du i s’ dan dil plati par rìddor, a n’è basta che vón ch’a guarda al digga “che patonón” par färia tacagnär dabón».

Mi sembra che l’aforisma paterno di cui sopra si attagli abbastanza ai finti cortocircuiti del centro-destra, che tutti da tempo chiamano destra e che invece i coalizzati cercano disperatamente di riportare ad una combinazione più aperta e articolata.

Forza Italia non perde occasione per distinguersi dagli alleati e quella della cittadinanza è indubbiamente una questione calda, riportata d’attualità dalle recenti Olimpiadi. Mi sembra tuttavia una pantomima continua e quasi programmata: far finta di non essere d’accordo, marciare divisi per catturare consensi fra gli elettori titubanti salvo poi colpire uniti quando veramente si fa sul serio.

C’è in atto una sorta di sfogatoio nella politica di destra, che rischia di essere uno sfigatoio per gli italiani che votano a destra. Se devo essere sincero, il volto buono di Tajani mi piace ancor meno di quello cattivo di Salvini. I perbenisti post-berlusconiani mi fanno rabbiosa tenerezza più degli anticonformisti post-bossiani. Tutto sommato preferisco le vannacciane pernacchie cattiviste ai forzitalioti sorrisetti buonisti.

Se gli stranieri in predicato di diventare cittadini italiani aspettano di risolvere il problema della loro integrazione con la stucchevole querelle Salvini-Tajani-Meloni, si devono mettere il cuore in pace e rimanere vita natural durante nel limbo degli apolidi. Per la verità finora non è che abbiano trovato grande accoglienza a sinistra: anche lì le preoccupazioni elettorali la fanno da padrone. Lo sfogatoio sempre in agguato nella politica di sinistra rischia di rappresentare uno sfigatoio per gli immigrati in cerca di patria.

Andando nel merito al problema degli immigrati e alla vera linea politica del governo di destra (sintetizzabile nell’accoglienza differenziata), mi fa sinceramente pena la diatriba sull’accertamento dei motivi che spingono i rifugiandi alla fuga dai loro paesi di origine. Ci sarebbero i rifugiandi di comodo? Pensate un po’, gente che scappa disperatamente e mette a repentaglio la propria vita, abbandona tutto, paga cifre pazzesche a scafisti senza scrupoli, si sottopone ad un viaggio in condizioni disastrose senza alcuna garanzia di arrivare a destinazione, rischia di morire annegata. E tra questi ci potrebbe essere un disperato di comodo? Ma fatemi il piacere. Arrivano e nessuno li vuole accogliere. Tutti li scansano e li sballottano di qua e di là, come se fossero dei rifiuti da far sparire: “cme i rosp al sasädi”. Poi c’è qualcuno che dopo aver lanciato il sasso nasconde la mano, anzi addirittura finge di porgerla in soccorso. Ma come è buono lei…

 

 

 

 

Ferragosto, serenità mia non ti conosco

Mi sento (quasi) in dovere di fare una triste riflessione sul ferragosto, la più insulsa e penosa delle rituali festività laiche: la potremmo considerare la pasqua pagana a cui fortunatamente la religione pone il freno mariano.

Come al solito vivo in controtendenza, un po’ per necessità, un po’ per virtù. Cosa faccio a ferragosto? Niente! Auguro a tutti voi di viverlo in serenità, quella serenità che, giorno dopo giorno, mi sta abbandonando e che nessuno è in grado di donarmi. Forse non sono stato e non sono capace di costruirmela. Forse la sua mancanza è una condanna con la quale sconto i miei irrimediabili errori esistenziali. Forse è anche il portato di un clima generale angoscioso e angosciante.

Buone vacanze per chi riesce a farle. Io non ci provo neanche, perché solo il pensiero delle vacanze mi intristisce ancor più. Non voglio però assolutamente rovinare quelle altrui, anzi, parafrasando don Andrea Gallo, mi sento di fare questa riflessione.

«Le vacanze sono anche un piacere. Fisico, intendo. E non c’è da vergognarsene. Personalmente non riesco a praticarle, ma immaginarle almeno un po’ praticate da altri, mi rende l’animo più gaudente e allegro».

 

 

 

 

Non si vive di nostalgia, ma i ricordi possono aiutare

Dc senza eredi 80 anni dopo: storici a consulto sull’«anomalia italiana». Pienone al teatro Quirino per l’evento promosso dal comitato presieduto da Zecchino, con Della Loggia, Giovagnoli, Melloni, Schiavone e Bonini. Paolo Mieli: «Perché accade solo da noi?» (dal quotidiano “Avvenire”)

Ho letto, non so se con più sentito interesse o stucchevole nostalgia, il resoconto della rivisitazione storica sul ruolo fondamentale svolto dalla Democrazia Cristiana nella vita politica del Paese. I partecipanti si sono chiesti il perché di questa anomala e impietosa fine di un’esperienza grandiosa, che ha segnato per alcuni decenni la politica italiana. Il perché, a mio modesto giudizio, è racchiuso nel rapimento e nell’uccisione di Aldo Moro: si era aperta, dopo il periodo della storica contrapposizione tra democristiani e comunisti, una difficile fase collaborativa, forse impropriamente chiamata compromesso storico, atta a sdoganare definitivamente il Pci in senso democratico ed occidentale e a portare la Dc in una dimensione politicamente e socialmente evolutiva.

Chi ha rapito e ucciso Aldo Moro ha voluto mettere in crisi, per delinquenziale paura dei comunisti (vedi Usa) o per fanatica allergia alla conversione democratica dei comunisti (vedi Br), la storia del Paese, ricacciando la Dc verso il suicidio assistito dal craxismo dilagante ed il Pci verso la subordinazione alle smanie dell’onnicomprensivo potere socialista. In quel momento storico è finita la Dc ed è finito il Pci, lasciando il posto ad un imprecisato accordo di potere altalenante fra il Caf centralista (Craxi, Andreotti e Forlani) e il frontismo periferico (Pci-Psi) riveduto e scorretto.

Ne è scaturita una deriva dorotea cha ha preso il posto di quella che, nella visione morotea, doveva essere la terza fase, vale a dire un bipartitismo, che, partendo dalle omogenee fedeltà democratiche e aperture sociali, avrebbe portato il Pci e la Dc ha confrontarsi sui programmi e a presentarsi agli elettori in base ai programmi stessi. Una politica seria, come serie erano le tradizioni e le culture di riferimento.

Più volte mi sono detto che Bettino Craxi, se fosse vissuto Aldo Moro, avrebbe avuto vita politica breve e marginale. Invece… Tutto il resto viene di conseguenza. Anche il colpo di reni tentato dai democristiani autentici di ripartire daccapo, vale a dire dal partito popolare non sortì effetti interessanti: la storia non può tornare indietro.

Il berlusconismo intese ripristinare in chiave affaristico-mediatica la democrazia cristiana riveduta e scorretta: moliti ci cascarono per interesse, per arrivismo, per convenienza, magari anche per ingenuità. L’anticomunismo di pura facciata riprese a funzionare. Di converso a sinistra si pensò di poter contrastare e vincere il berlusconismo con formule e aggregazioni larghe ma sostanzialmente inconcludenti.

Fino ad arrivare a riprendere in modo frettoloso e superficiale una sorta di compromesso storico messo alla base del Partito democratico: siamo ancora impiccati a questo albero che non riesce a produrre frutti decisamente buoni, basti pensare a dove è finita la politica italiana.

Non è questione di nostalgia. È solo doveroso omaggio alla memoria storica da cui abbiamo ancora tanto da imparare. Voglio fare quindi un tuffo del tutto personale in questi ricordi, chiamandoli anche per nome e cognome.

Torno, a metà degli anni sessanta, sui banchi di scuola. Con un mio compagno di classe, Mario Tanzi, l’amicizia andava oltre il sano cameratismo scolastico per allargarsi al dialogo umano, culturale e politico. Io cattolico e democristiano, lui non cattolico e comunista: di fronte alla realtà incandescente di quegli anni riuscivamo, pur partendo da culture e sensibilità diverse, a trovare un fervido terreno d’incontro, un punto di convergenza in base ai valori che ci ispiravano (la giustizia sociale, l’attenzione alle classi popolari, la laicità della politica, etc.). Ci scambiavamo esperienze, idee, ansie, preoccupazioni, dubbi e certezze. Eravamo in anticipo di dieci anni rispetto al compromesso storico. Ci ritrovammo dopo alcuni anni, impegnati entrambi nel movimento cooperativo, lui quello di matrice socialista, io quello di ispirazione cristiana: il dialogo riprendeva con una immediatezza sorprendente e con affascinante fluidità. Poi arrivammo quasi a lavorare insieme a servizio delle cooperative, prescindendo dagli schemi, che, nel nostro piccolo, eravamo stati capaci di superare coraggiosamente e, oserei dire, pionieristicamente. Quando si costituì il partito democratico andai a quelle esperienze di quarant’anni prima e mi dissi: per me e Tanzi la fusione arrivava in ritardo, meglio tardi che mai!

Però purtroppo non ha funzionato e non sta funzionando. Il Pd sta diventando un’altra cosa, che faccio molta fatica a capire e ad accettare. I cattolici sbandano in continuazione alla ricerca del tempo perduto e mi auguro che l’evento da cui ho preso le mosse non sia l’ennesimo tentativo di ridare vita ad un cadavere ambulante, quella Dc, morta e sepolta assieme ad Aldo Moro e di cui l’ultimo dei giusti superstiti è Sergio Mattarella.

 

 

 

Egonu sull’altare olimpico e Vannacci nella polvere razzistica

Ultimo giorno di Parigi 2024.la nazionale femminile di volley vince la medaglia d’oro. I politici italiani si complimentano con le atlete azzurre. Tra questi c’è l’eurodeputato della Lega Roberto Vannacci: “L’Italia e le donne vincono, che bello! Hanno scritto la storia”. Ma, parlando di Paola Egonu, ribadisce il concetto espresso nel suo libro ‘Mondo al contrario’: “Non ho mai messo in dubbio che Paola Egonu sia una bravissima atleta, italiana. Continuo a ribadire che i suoi tratti somatici non rappresentano la maggioranza degli italiani. Ma non ho mai messo in dubbio la sua nazionalità, la sua bravura. Sono orgoglioso che gareggi per noi”, dice Vannacci interpellato dall’Adnkronos. E aggiunge: “Alla prima occasione le chiederò anche un autografo”. (La Repubblica)

“Ci vuole l’innegabile talento di Vannacci per criticare Paola Egonu nel giorno del trionfo olimpico delle nostre atlete di pallavolo. L’ex, per fortuna, generale, si atteggia a De Gobineau ‘de noantri’ (se lo ignora può consultare Wikipedia, fonte di apprendimento alla sua portata) parlando di ‘tratti somatici'”. Così il capogruppo di Forza Italia in Senato, Maurizio Gasparri, commenta all’Adnkronos le esternazioni dell’oggi europarlamentare Roberto Vannacci sulla vittoria dell’Italvolley trascinata dal talento di Paola Egonu. “Lessi su un giornale che” Vannacci “si vantava di fingere di perdere l’equilibrio in metropolitana per toccare le mani, cito, ‘di persone di colore per capire al tatto se la loro pelle fosse più rugosa della nostra’”.

“Io invece ho incontrato un signore che si è qualificato come barbiere di Vannacci, meno noto di quello di Siviglia reso celebre da Rossini (rinvio Vannacci a fonti Internet anche in questo caso), dal quale ho appreso che al momento dello shampoo, con l’inevitabile contatto delle mani con il celebre cranio, ‘a tatto’ il barbiere ebbe il sospetto di un vuoto all’interno della ‘scatola’ – continua – Ma come dicono nella celebre opera ‘la calunnia è un venticello’ e il barbiere avrà mentito. Per Vannacci vale il noto detto: Tanto nomini nullum par elogium. O no?”. (adnKronos)

In questi giorni, seguendo le prestazioni sportive delle atlete della nazionale di volley e vedendo l’essenziale contributo dato da Paola Egonu alle prestazioni stesse, non ho potuto fare a meno di pensare a Roberto Vannacci e alle sue penose e malcelate elucubrazioni razziste. Pensavo che in caso di trionfo di Paola Egonu se ne sarebbe stato zitto, invece ha ribadito il suo assurdo concetto basato sui tratti somatici che naturalmente non sono nel frattempo cambiati.

Due piccole chiose a questa penosa vicenda fortunatamente messa in ombra dal successo sportivo dell’atleta messa e tenuta strumentalmente nel mirino dal leghista preso in prestito da Salvini.

Il primo pensiero riguarda il trionfo pallavolista che non toglie però la sostanza razzista ad una certa mentalità così ben interpretata e rappresentata da Roberto Vannacci, anzi ne sottolinea ulteriormente l’inaccettabile e subdola portata. Lo sport, nonostante tutto, fa parte della cultura e di essa spesso è manifestazione più o meno rigenerante e purificante.

La seconda notazione riguarda l’ironia che un autorevole esponente di Forza Italia riserva ad un autorevole esponente di una forza politica partner di governo e di coalizione politico-parlamentare. È comodo per Gasparri buttarla in ridere: per lui, come per tutti, non c’è niente da ridere. Non so se sia più squallido ciò che va vomitando in giro Vannacci o il fatto che riesca a spuntare tanti consensi a livello elettorale e che venga sopportato dai colleghi che in fin dei conti, stringi-stringi, ai limiti dell’umana decenza, gli riservano una simpatica ed ininfluente malevolenza.

Non ho mai riso delle battute al fulmicotone di Giulio Andreotti, figuriamoci se posso ridere delle cazzate di Vannacci pur rivisitate in senso critico da Gasparri.  A pena si aggiunge pena.

 

 

L’optional governativo dell’intelligenza

Avrebbe dovuto essere un annuncio per celebrare Napoli e, perché no, per mettere in luce come il governo si stesse spendendo per la città partenopea. Ma l’uscita – su Instagram – di Gennaro Sangiuliano è stata l’ultima gaffe di un ministro che, in due anni, inanella passi falsi senza soluzione di continuità. Cosa ha detto (meglio, scritto) questa volta? “Il Consiglio dei ministri vara il comitato per celebrare due secoli e mezzo di Napoli”. Ebbene sì, detto da chi a Napoli è nato e cresciuto. Città, peraltro, fondata col nome di Partenope e celebre per essere diventata uno dei centri principali della Magna Grecia.

“Genny, Genny sarai ricordato per le tue figuracce in giro per l’Italia. Dal premio Strega a Dante Alighieri, potevamo soprassedere anche alla gaffe internazionale su Londra e Times Square ma questa su Napoli è imperdonabile”, ha scritto Sandro Ruotolo del Pd. “Merita di finire nel girone di dannati. Ma come il consiglio dei ministri vara il comitato per celebrare due secoli e mezzo di Napoli? Sono due millenni e mezzo e non due secoli e mezzo. Ministro, questa volta l’ha fatta davvero grossa”.

In serata Sangiuliano ha pubblicato un tweet per dire che “l’errore sul profilo Instagram relativo alla nascita del Comitato nazionale ‘Neapolis 2500’ evidentemente è del mio social media manager. Per questo ho accettato le sue dimissioni”. (da “Il Fatto Quotidiano”)

Tutto sommato questo ministro mi sta diventando simpatico: alcune sue gaffe sono quisquiglie, altre lasciano intendere l’incapacità di coniugare politica e cultura. Le prime sono perdonabili, le seconde sono più gravi. Tutto comunque è niente rispetto al vuoto pneumatico di questo governo. C’è chi non sa un cazzo, ma lo dice bene, c’è chi non sa un cazzo e lo dice male. Gennaro Sangiuliano fa da parafulmini alla compagine governativa di cui rischia di essere il buffone di corte.

Di governi penosi, nella mia ormai lunga vita, ne ho visti parecchi, ma, prescindendo dall’orientamento politico, quello presieduto da Giorgia Meloni mi sembra il più scassato di tutti. Come mai? Probabilmente è dovuto al fatto che la destra soffre di uno spiccato senso di inferiorità a livello culturale e tenta disperatamente di risalire la china basandosi su personaggi comodi come Sangiuliano o scomodi come Vittorio Sgarbi.

Il grave però non sono tanto i ministri più o meno ignoranti, ma la pervicace volontà di omologare gli italiani alla non cultura propinata dalla Rai ridotta a gazzettino governativo e dai media amici ridotti a insopportabili fiancheggiatori.

Il discorso risale a Silvio Berlusconi, che però sapeva farlo con una certa classe e intelligenza, anche se con ancor maggiore pericolo per le istituzioni.

Mia sorella aveva un debole per le persone intelligenti. Diceva che, quando una persona è intelligente lo è sempre indipendentemente dal ruolo che è stata chiamata a ricoprire. Riteneva convintamente che quando una persona è intelligente è più che alla metà dell’opera, perché questa sua qualità, cascasse il mondo, non viene mai meno. Forse, mescolando qualità mentali ed etiche, preferiva avere a che fare con un cattivo intelligente piuttosto che con un buono stupido. L’attuale governo è zeppo di buoni-stupidi, ma anche di cattivi-stupidi. Gli intelligenti, buoni o cattivi che possano essere, bisogna cercarli col lanternino.

 

 

La fuffa farisaica non aiuta i moribondi

Ma davvero la Chiesa ha cambiato idea sul fine vita, come si legge, si vede e si ascolta su numerosi media? L’ipotesi lanciata da Repubblica.it e poi circolata anche altrove con le medesime parole è che ci sarebbe un’imprevista «apertura» su «alimentazione e idratazione» che «si possono sospendere». Tutto nasce dal rilancio dei contenuti di un recente volumetto della Pontificia Accademia per la Vita, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, Piccolo lessico del fine-vita, del quale Avvenire pubblicò l’introduzione a firma del presidente monsignor Vincenzo Paglia il 27 giugno sulla pagina “è vita”. 

Nel capitolo su “Nutrizione e idratazione artificiali (Nia)” si ricorda che la loro sospensione a richiesta del paziente rientra tra i suoi diritti, che «il medico è tenuto a rispettare» quando «la volontà del paziente» è «consapevole e informata». L’Accademia nota che «nelle malattie in cui si protrae uno stato di incoscienza prolungato con possibilità praticamente nulle di recupero – come nel caso dello stato vegetativo permanente –, si potrebbe sostenere che, in caso di sospensione delle Nia, la morte non sia causata dalla malattia che prosegue il suo corso, ma piuttosto dall’azione di chi le sospende». Occorre però considerare che «le singole funzioni dell’organismo, nutrizione inclusa – soprattutto se colpita in modo stabile e irreversibile –, vanno considerate nel quadro complessivo della persona e della sua dimensione corporea». Dunque sospendere la nutrizione in caso di malattia «stabile e irreversibile» e «con possibilità praticamente nulle di recupero» può essere il modo in cui si evita quel che il Papa ha definito «la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona», dunque astenendosi da forme di accanimento. Un’affermazione che conferma quanto scrisse l’allora Congregazione per la Dottrina della fede quando, rispondendo nel 2007 a un quesito dei vescovi americani, considerò la somministrazione della Nia «moralmente obbligatoria in linea di principio […] nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente». Criterio chiaro, confermato oggi. (dal quotidiano “Avvenire” – Francesco Ognibene)

Non ci ho capito quasi niente e non mi voglio minimamente addentrare in queste “azzeccagarbugliose” disquisizioni etico-religiose effettuate sulla pelle di chi soffre. Provo soltanto a immaginare cosa direbbe Gesù di questi moderni fariseismi. Ripeterebbe con ogni probabilità le stesse durissime parole di biasimo indirizzate ai farisei del suo tempo, che non erano stupidi e potevano essere persino in buona fede, ma avevano la presunzione di regolamentare cavillosamente i rapporti fra l’amore di Dio e la coscienza degli uomini: una contraddizione in termini, dal momento che l’amore non ammette regole e la coscienza le detta spontaneamente alla luce dell’amore.

Cosa volete che interessi al Padre Eterno della Nia, dell’Accademia per la vita, della Corte Costituzionale, del lessico del fine vita, del ministro Roccella e delle posizioni del Magistero: ci compatirà tutti perché ci ostiniamo a privilegiare la Legge pensando che ci possa salvare, mentre trascuriamo la Grazia che ci illumina e ci fa creature capaci di amare.

Sono perfettamente consapevole di essere un cattolico borderline: non mi faccio ingabbiare e cerco di pormi, a coscienza e cuore aperto, di fronte ai problemi, soprattutto a quelli riguardanti chi soffre. Mi sforzo di comprendere, rispettare e alleviare la sofferenza altrui: purtroppo non ci riesco, non tanto per lassismo verso i principi, ma per mancanza di impegno concreto. Il resto è fuffa farisaica riveduta e scorretta. Chi è inchiodato in un letto d’ospedale ad aspettare la morte ha diritto di avere risposte di carità e non magisteriali e rigidi pronunciamenti.

Infatti, come sosteneva don Andrea Gallo, «sulla base di una scelta chiara e consapevole della persona interessata, bisogna rispettare il suo diritto alla non sofferenza, a un minimo di dignità in ciò che rimane della vita. Ogni caso ha una sua trama e una valutazione diversa».

Il caro e indimenticabile amico e maestro don Luciano Scaccaglia, nelle sue ultime omelie, mettendo in contrasto la misericordia di Gesù con il moralismo della Chiesa, diceva: «Una cosa è certa: con Gesù è la fine della contrapposizione netta tra buoni e cattivi, è la fine “delle evidenze morali e dei concetti chiari e ferrei”, è la fine dei pregiudizi, a causa dei quali noi sappiamo sempre cosa occorre fare, però nella vita degli altri. Una cosa è certa: la severità della Chiesa, le sue rigide leggi non aiutano né testimoniano la misericordia di Gesù; non fanno maturare, ma umiliano».

 

Guerra, avanti tutta

La «provocazione» di Kiev continua: siamo al terzo giorno dell’incursione nella regione di Kursk, la prima di un esercito regolare sul territorio russo dalla Seconda guerra mondiale. «La Russia ha portato la guerra sulla nostra terra, e ne deve sentire» le conseguenze, afferma con tono di sfida il presidente Zelensky, rivendicando l’iniziativa. Una operazione a sorpresa che incassa il pieno appoggio dell’Ue, dopo mesi di dibattito a Bruxelles sulla possibilità di usare le armi oltre il confine russo: «L’Ucraina – ha detto il portavoce della Commissione Peter Stano – è vittima di un’aggressione illegale e sulla base di diritto internazionale ha il diritto di difendersi e di colpire il nemico anche sul suo territorio». (dal quotidiano “Avvenire”)

Se si resta in una logica bellica, il discorso di Zelensky non fa una piega, così come il parere espresso dalla Ue. Se, al contrario, ci si sforza di uscire da questo perverso meccanismo, bisogna ragionare. A livello pragmatico occorre ammettere che allargare il conflitto al territorio russo rende ancor più inagibile un’eventuale azione diplomatica: non credo infatti che alla causa della pace serva toccare il fondo della guerra. Sul piano dei rapporti internazionali la posizione sempre più radicale della Ue non favorisce il dialogo, che dovrebbe essere il suo compito costituzionale. Per quanto concerne i principi, questi sviluppi non fanno che avvalorare l’idea di un mondo avente la guerra come suo caposaldo equilibratore e come suo irrinunciabile presupposto involutivo.

Di questo passo dove andiamo a finire? Chiediamocelo, senza nasconderci dietro il fantomatico diritto internazionale che nessuno rispetta e tutti invocano, senza timore di essere idealisti in un mondo che va verso la catastrofe nichilista, senza pudore di essere pacifisti in un contesto in cui i conflitti (non) si risolvono concettualmente e concretamente con le armi belliche della distruzione reciproca piuttosto che lavorare alacremente e pazientemente con le armi pacifiche della costruzione comune.

L’Organizzazione dei Becchi di ferro Uniti

In Iran le manovre preparatorie seguono il filo della retorica, mentre i Pasdaran guadagnano giorni prima di decidere come intervenire. A Teheran assicurano che i piani sono chiari. In realtà c’è ancora tempo prima di combattere. La diplomazia internazionale non è mai stata così attiva come nelle ultime ore. Nel Paese che ha giurato di vendicare l’umiliazione subita con l’uccisione in casa del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, è stato segnalato (e non smentito) anche un volo segreto di emissari americani giunti a negoziare una rappresaglia misurata. Gli Usa non potranno abbandonare Israele alla minaccia degli ayatollah, sarebbe stato spiegato, lasciando aperta la porta di un rilancio nelle trattative interrotte per il nucleare “Made in Teheran”. Perfino il presidente russo Vladimir Putin ha chiesto all’ayatollah Ali Khamenei di tenere i civili fuori dal mirino. Il messaggio è stato consegnato lunedì da Sergei Shoigu, l’ex ministro della Difesa russo, accusato di crimini contro l’umanità per gli attacchi indiscriminati sui civili in Ucraina. Mentre la Repubblica islamica valuta la sua risposta all’assassinio di Ismail Haniyeh, la Russia che ha fatto incetta di droni iraniani scagliati sul fronte di Kiev avrebbe inviato missili Iskander a Teheran oltre a sistemi di contraerea S-300 che all’occorrenza possono essere usati come mezzi offensivi. Teheran ha anche fatto pressione su Mosca per la consegna di jet da combattimento “Su-35” di fabbricazione russa. (dal quotidiano “Avvenire” – Nello Scavo)

Strana e incredibile diplomazia in cui tutto è paradossalmente possibile. In dialetto parmigiano, quando una persona assume atteggiamenti sfrontatamente in contraddizione col suo normale comportamento,  viene immediatamente apostrofata con una espressione colorita: “avérgh un bècch äd fér”. Gilberto Govi, in dialetto genovese, li chiamava “marionéti”.

Se non ci fosse da piangere ci sarebbe da ridere di fronte a Putin che chiede agli iraniani di tenere i civili fuori dal mirino: proprio lui che di civili in Ucraina (e non solo) ha fatto stragi a più non posso. Iran e Russia si scambiano armi e vanno d’accordo: non era così in passato, ma si può cambiare posizione a fin di male.

Anche gli americani tengono aperto un canale diplomatico con l’Iran, consigliano una rappresaglia misurata contro Israele. Un po’ come in una simpatica barzelletta. Su un calesse trainato da un asino viaggia un gruppo di suore con tanto di madre superiora. Ad un certo punto l’asino si blocca e non vuol più saperne di proseguire. Il “cocchiere” le prova tutte, ma sconsolato si rivolge alla badessa: «In questi casi l’esperienza mi dice che l’unico modo per sbloccare la situazione, costringendo l’asino a proseguire, è la bestemmia. Mi spiace, ma non c’è altra soluzione…». La suora dopo qualche ovvio tentennamento pronuncia la sua sentenza: «Se è davvero così, non resta altro da fare, ma mi raccomando la bestemmia gliela dica piano in un orecchio…».

Ormai non c’è più alcuna parvenza di dignità nel fare la guerra, se mai fosse possibile almeno salvare la faccia…: uno spietato e delinquenziale gioco delle parti. Un macellaio, Putin, che detta ai suoi clienti una dieta vegana. I vendicatori delle “Torri gemelle” che modulano le vendette trattando con gli ayatollah iraniani. In mezzo ci siamo noi che ci affanniamo a parlare del diritto di Israele e dei palestinesi ad esistere, del diritto dell’Ucraina a resistere, etc. etc.

Davanti alla proditoria rassegna dei becchi di ferro resto a becco asciutto, mi sento becco e bastonato.