Banche e referendum

Ma cosa c’azzeccano le banche col referendum sulla riforma costituzionale? Il solo collegamento che riesco a vedere e capire è quello della speculazione: la sicura incertezza politica del prima e quella quasi certa del dopo costituiscono un perfetto assist agli speculatori sui titoli bancari.L’esposizione bancaria sui crediti inesigibili risale alla crisi economica ed ai suoi andamenti; la scarsa capitalizzazione degli istituti di credito è un dato che viene da lontano; la cattiva gestione delle banche è un altro fattore che si nutre del clientelismo, della mancanza di controlli efficaci, dei legami impropri con la politica. Tutti elementi assai consolidati nel tempo, a cui la sinistra politica non è estranea (mi riferisco in particolare a Monte Paschi Siena e ai comunisti o ex-comunisti che oggi si stracciano le vesti di fronte a Matteo Renzi) ed a cui deve essere aggiunto l’inspiegabile orgoglio dei precedenti governi italiani (anche e soprattutto dei governi tecnici che sono diventati immediatamente auspicabili solo perché i loro passati esponenti si stanno sgolando per il No) sbandierato nel non voler intervenire a sostegno delle banche, cosa peraltro fatta in passato dai partner europei rigoristi a scoppio selezionato e ritardato. In vista e dopo ogni evento politico importante si riapre il discorso delle banche: dopo Brexit, dopo Trump, dopo il referendum italiano.Non mi convince neanche la motivazione addotta dagli specialisti (?), in base alla quale siccome le banche detengono nei loro portafogli molti titoli del debito pubblico, l’instabilità politica porterebbe ad una loro svalutazione con conseguenze sulle situazioni patrimoniali bancarie già peraltro deboli e compromesse.Certo che le banche non sono un’isola e risentono come tutte le istituzioni economiche del clima politico, ma credo si stia facendo del terrorismo.Non riesco a capire se ciò possa influenzare le intenzioni di voto degli italiani: in teoria dovrebbe indurli a votare Sì per garantire stabilità e continuità al processo riformatore che renderebbe credibile lo Stato italiano agli occhi dei cosiddetti poteri forti.In pratica può darsi che invece le colpe, che in modo confuso e non convincente vengono scaricate sul governo attuale, in materia di politica bancaria si riflettano sul referendum a favore del No: è ipocrita continuare a chiedere la spersonalizzazione mentre tutti vogliono mandare a casa Renzi e pretenderebbero che lui non si difendesse.I poteri fortiPoi spunta l’Economist che auspica un governo tecnico per il dopo-referendum. E allora tutti gabbati coloro che per indurre al No vendevano le riforme come un desiderata opportunistico dell’establishment europeo o addirittura mondiale.Come si sarà sentito Beppe Grillo di fronte a questo inopinato endorsement proveniente dai diabolici detentori del potere finanziario.Che l’alta finanza abbia sempre cercato di influenzare la politica non è certo una novità, chissà perché questa ovvia caratteristica del nostro sistema viene sbandierata quando si cerca di cambiare qualcosa squalificando ogni intento rinnovatore spacciandolo per subordinazione ai piani alti dell’economia e della finanza.I governi tecnici, le urla degli ex-re, i birilli della sinistraChe differenza c’è fra un governo tecnico e un governo politico? Il secondo dovrebbe essere espressione di una precisa e ben delineata maggioranza politica con un altrettanto preciso programma politico, mentre il primo prescindendo da maggioranze parlamentari precostituite dovrebbe rispondere a situazioni di emergenza e raccogliere la fiducia in base alle proprie capacità tecniche di affrontare gravi problematiche contingenti. Il problema non è però di valutare astrattamente e teoricamente le due possibilità, ma di applicarle eventualmente alla realtà considerando che il governo tecnico dovrebbe essere l’eccezione, mentre quello politico dovrebbe rappresentare la regola. Matteo Renzi ha espresso il parere che in questo momento storico dell’Italia il ripiegamento su un governo tecnico post-referendario sarebbe un escamotage più di fuga dalla realtà che di garanzia di continuità. Apriti cielo! È insorto Lamberto Dini, schierato per il No alla riforma costituzionale, a difendere la competenza e lo spirito di servizio del suo governo e degli altri governi tecnici (Ciampi, Monti etc.) che si sono succeduti negli anni passati, attaccando Renzi e la sua mancanza di credito elettorale, lasciando capire di considerarlo un personaggio né carne né pesce, troppo politico per essere definito tecnico e troppo poco votato per essere definito politico. Ragionamenti francamente penosi. La riforma costituzionale avrà certamente parecchi difetti, ma se non altro ha il pregio di “avere denudato tutti i re” della politica italiana, i quali, indipendentemente dal pronunciarsi per il Sì o per il No, mostrano di essere, tra voltafaccia, giri di parole e contorsioni dialettiche, vittime della sindrome rancorosa del mancato riformatore che vuole cancellare o comunque sminuire chi, bene o male, è riuscito a produrre uno “straccio” di riforma costituzionale. Come scrive Corrado Augias, “gridano oggi il loro dissenso, dimenticando di non aver fatto nulla quando avrebbero potuto, disposti a confondersi in un gruppo che non sarà un’accozzaglia, ma che certamente continuerebbe a non poter fare nulla, diviso in tutto salvo che nell’avversione per il comune nemico, continuando per quarant’anni a dire che bisognerebbe aggiornare la Costituzione”. Di questo folto gruppo di contestatori globali a difesa della Costituzione, Michele Serra salva solo “i pochi e tenaci custodi della sacralità della Carta che saranno immediatamente rispediti ad occuparsi dei loro libri”, mentre gli altri li considera “figure politiche alle quali, della Carta, non importa un fico secco: la vecchia destra, convinta da sempre che la Costituzione antifascista sia roba da comunisti; la nuova destra populista, che nelle regole vede solo un noioso impiccio, una inutile mediazione tra Capo e Popolo; e i cinquestelle, che ai vecchi papiri sostituiranno, non appena ne avranno l’occasione, le loro nuove misure del mondo e che avrà qualcosa da ridire è perché è della Casta”. E i contestatori della sinistra? A mio giudizio trattasi dei soliti, inconcludenti, confusionari ed anacronistici benaltristi. Hanno fatto fuori Prodi, vogliono far fuori Renzi, si accontentano di abbattere i birilli senza capire che i veri birilli sono loro stessi.Ue: dai sorrisetti agli endorsementPuò darsi che l’atteggiamento dell’establishment europeo verso la riforma costituzionale italiana e verso il governo Renzi pecchi di strumentalità ed opportunismo, io comunque preferisco una considerazione interessata ad una irrisione conclamata (mi riferisco ai tempi di Berlusconi…).Rigoletto, il Duca di Mantova e le vestali della CostituzioneAl fine di scuotere l’elettorato e di indurlo alla responsabile scelta di partecipare al voto referendario, l’insigne editorialista Michele Ainis scomoda il “Questa o quella per me pari sono” applicandolo all’indifferenza verso la riforma costituzionale. Clamoroso è lo scivolone culturale del mettere in bocca a Rigoletto una frase che è del Duca di Mantova. Il pressappochismo dei commentatori politici si vede dal mattino! Rigoletto ha ben altro atteggiamento, quello di difendere al limite dell’ossessione l’integrità della figlia: se proprio vogliamo tirarlo in ballo vediamo semmai di assimilare la sua “tremenda vendetta” alla smania dei tenaci custodi della sacralità della Carta che, come scrive Michele Serra, l’indomani del referendum saranno immediatamente rispediti ad occuparsi dei loro libri. E la loro vendetta forse farà la fine di quella di Rigoletto: uccidere la figlia (la Carta costituzionale) per eccesso di zelo.

Populismo

Lo scrittore Martin Cruz Smith dice che, con la morte di Fidel Castro, Cuba ha perso il suo dittatore ed ora sono gli Usa ad averne uno: Donald Trump.Non sono d’accordo nel raffronto, la vicenda di Castro è un po’ più complessa, ma il messaggio è chiaro: stiamo attenti al populismo, che la storia ci ripropone in modo riveduto e scorretto.L’Europa, scrive Nicolas Baverez, giornalista di “Le Figaro”, si trova in prima linea nella resistenza al populismo, che si nutre alle mammelle dell’esclusione, dell’insicurezza e della perdita di’identità.E in Europa cosa sta avvenendo?La Germania per resistere al populismo si affida ad Angela Merkel, giunta al suo quarto eventuale mandato elettorale: una conservatrice illuminata, un’europeista di lungo corso, una governante seria. Non è poco, ma non basta.La Francia punta su Fillon: un Trump più sobrio e compassato, un opportunistico tradizionalista in campo etico-religioso, un ammiratore di Putin, un nostalgico della virilità politica e del nazionalismo, un politico capace di rompere le uova nel paniere a Marine Le Pen (Raphaël Glucksmann, scrittore).Sempre a detta di Glucksmannn la sinistra non sa come reagire, è debole, inconsistente, si accontenta di difendere lo status quo e denunciare le derive degli altri.In Italia la sinistra ha tentato e sta tentando la strada di un certo rinnovamento, ma si sta scontrando con tutti coloro che difendono appunto lo status quo, vuoi sotto le bandiere di una sinistra decrepita e passatista (D’Alema, Bersani e c. che difendono i loro fallimenti spacciandoli per trionfi), vuoi scimmiottando i populisti stranieri (la Lega Nord che guarda a Trump e Le Pen tradendo persino la sua identità nordista a favore di un nazionalismo improvvisato), vuoi cavalcando strumentalmente l’antipolitica (la foga grillina che porta alla vecchia deriva del tanto peggio tanto meglio, proponendo amministratori locali incompetenti e pasticcioni. «Se quei pasticci li avesse fatti il Pd, li avremmo massacrati» ammette Grillo nel chiuso del suo movimento a proposito dei tristi biglietti da visita di Virginia Raggi), vuoi facendo il verso a Fillon (Berlusconi che esce dal frigo per rinverdire il suo intramontabile narcisismo e/o difendere, come ha sempre fatto, i suoi interessi personali e aziendali).Probabilmente il socialista francese Manuel Valls sta facendo un pensierino al percorso renziano, ma si scontra da subito col continuismo di Francois Hollande (il nulla seduto all’Eliseo).E allora? Siamo nella cacca. Speriamo di non esserci ancora di più il 05 dicembre 2016.

Trump

Aveva promesso di punire i lobbisti e invece recluta i loro padroni. Nulla di nuovo sotto il sole. Se non che siamo nell’era del populismo, la vittoria di Trump è stata possibile solo perché qualche fascia di classe operaia bianca lo ha votato nel Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, facendo ribaltare di strettissima misura la bilancia del collegio elettorale in quegli Stati chiave. Gli operai si sentivano traditi dall’establishment e ora se lo ritrovano ben rappresentato nelle prime caselle dell’organigramma. Ma in fondo l’elettorato popolare che ha scelto Trump ha deciso di abbracciare anche la sua ricchezza e la promessa che un “imprenditore saprà gestire la nazione molto meglio dei politici e dei burocrati”.(Federico Rampini – la Repubblica del 26 novembre 2016 pag. 17)Commento: Più o meno lo stesso discorso, 25 anni or sono, degli Italiani rispetto alla discesa in campo di Silvio Berlusconi.Referendum CostituzionaleDini, De Mita, D’Alema, Berlusconi e Monti sono per il no con motivazioni false e penose.Per Dini Renzi è un premier “non eletto” e lui cosa era?Poi ha rincarato la dose: «Avete presente cosa ha detto la figlia di Cementano? Non capisco molto, ma voto No perché non mi fido di Renzi? Ecco, quello dovrebbe essere lo slogan del No».Il rottamato che non si rassegna, Massimo D’Alema spara a zero: «Il fronte del Sì è minaccioso, il clima è intimidatorio, se vince il Sì Verdini entra al governo e nasce il partito di Renzi; gli anziani votano la riforma perché non la capiscono…».Mario Monti il tecnico (?) che non capisce un cazzo di politica gioca a fare il furbetto, l’espertone, il benaltrista: tutto come da sgualcito copione.Silvio Berlusconi se ne era stato quasi zitto, ma purtroppo ha dovuto (?) timbrare il cartellino del No e allora ha snocciolato una serie di contraddittorie sciocchezze e fesserie che è veramente raro ascoltare, tale da lasciare sbigottita persino la brillante Barbara D’Urso sua imbarazzata damigella mediaset.Questi signori fanno pena! Il pensare che sono stati presidenti del consiglio e hanno determinato la politica per anni mette letteralmente i brividi!Il livello culturale e umano delle persone si rivela pienamente non quando sono nel pieno delle loro attività, ma quando le lasciano e non riescono a voltar pagina in modo dignitoso e si sentono investiti del ruolo di eminenza grigia: lì casca l’asino.Lo scrittore Antonio Pennacchi si tura il naso e vota Sì tra snobismi di basso livello, altri uomini di cultura invece pure, altri voteranno No; Cesare Romiti non si pronuncia, ma gioca a fare il Bartali della classe dirigente, il salvatore della Patria e lascia intendere un certo fastidio per l’idillio fra Renzi e Marchionne, come se non fosse sempre stata la cifra della Fiat quella di andare a braccetto col Governo: al di là del Sì o del No, che stupisce sono gli argomenti. Sembra di essere al bar-cult, una sorta di bar-sport sciacquato in Arno.Dichiarata incostituzionale la riforma della pubblica amministrazioneLa Corte Costituzionale interviene con perfetto tempismo per “sputtanare” una importante riforma promossa dal governo Renzi operando un perfetto assist alla campagna per il No all’insegna del “non sanno fare le riforme, è tutto un gran casino”. In realtà il casino è nell’attuale Costituzione che assegna enormi poteri alle Regioni rendendo ingovernabile lo Stato e la riforma costituzionale tenta proprio di ovviare a questi inconvenienti che oltretutto hanno creato un contenzioso enorme e paralizzante fra Stato e Regioni. Ma il problema sta tutto nei poteri intoccabili: i burocrati di alto bordo. Come del resto i giudici, gli operatori scolastici, gran parte del sindacato, dell’intellighentia e della politica: non vogliono saperne di rinnovamento che inevitabilmente li tocca nel vivo e nel portafoglio. I problemi di Renzi in realtà sono questi: ha contro tutti, non perché stia sbagliando tutto, ma perché sta cercando di cambiare qualcosa.La personalizzazione della campagna referendaria sulla riforma costituzionaleDi fronte alla obiettiva, ma anche deludente, prospettiva di un voto pressappochista e spannometrico, Matteo Renzi deve aver pensato che l’unico modo per orientare la propaganda fosse quello di chiedere un Sì o un No sul rinnovamento da lui avviato con stile fattivo e concreto, pur con tutti i limiti e i difetti. Molti gli hanno detto che era un errore. Non ne sono così sicuro. L’alternativa, dal momento che il “costituzionachese” risulta piuttosto indigesto per un elettorato distratto e arrabbiato, è stata la rissa politica del tutti contro Renzi (con le più assurde e svariate puntate polemiche) e del Renzi contro tutti (con le più ardite divagazioni spettacolistiche). In un clima del genere non può che vincere il No, favorito magari da un alto astensionismo. Dalla personificazione siamo scaduti nella politicizzazione da bar (di vario tipo e livello, ma sempre di bar si tratta, dove tutti danno aria ai denti). Capisco le preoccupazioni di Napolitano e di Mattarella, ma i toni tendono comunque ad alzarsi. Tutto sommato forse era meglio lasciare che Renzi giocasse fino in fondo la partita alla sua maniera. Almeno il risultato avrebbe avuto un senso e avrebbe giustamente segnato una svolta politica in un senso o nell’altro, come tutti i referendum importanti (monarchia-repubblica; divorzio; aborto etc.). Così invece il dopo referendum sarà un esercizio politicante e comunque segnerà un balzo indietro. Basta leggere le ipotesi di scenari che si prospettano: musica per le bocche dei prezzolati commentatori politici, frastuono per le orecchie dei cittadini.Il dopo-referendumSi profila l’eventualità di un governo tecnico che si appiattirà sui desiderata del rigorismo europeo, tranquillizzerà (?) i mercati e soddisferà l’establishment dell’Europa. Non c’è che dire: una escalation tecnicistica, burocratica e rigorista, ottimo risultato per Beppe Grillo. Ma forse è proprio quel che vuole – a suon di espliciti inviti a fidarsi della pancia e non più del cervello e della mente – cioè tendere i rapporti con l’Ue, con tutti, per poi cavalcare ulteriormente e trumpamente il malessere. Bel colpo per la sinistra dem! E Salvini? Farà il verso a Grillo! E Berlusconi? Finalmente andrà a casa! L’unico risultato positivo.