Le erbacce del vicino sono meno verdi

Se allarghiamo lo sguardo sul mondo e i suoi drammi, le nostre polemiche politiche a livello nazionale prendono senza dubbio una bella ridimensionata.È ben piccola cosa la telenovela capitolina di Virginia Raggi rispetto alla telenovela appena cominciata di Donald Trump: cosa volete che siano le cazzate che ha fatto la sindaca di Roma nella scelta di collaboratori ed assessori a confronto con le delinquenziali trattative portate avanti dal presidente statunitense eletto per scegliere i suoi ministri ed i suoi consiglieri. La Raggi ha messo come assessore all’ambiente una indagata per reati ambientali…Trump consegna gli accordi mondiali sulla salvaguardia ambientale e naturale (da cui dipende il futuro del pianeta) ad un grande petroliere…Lo sfogo sacrosanto di Roberto Giachetti, contro i penosi minoritari padreterni dem, scompare a fronte dell’arroganza putiniana (esser puoi sanguinario e feroce nessun nato di donna ti nuoce), che troverà motivo di esplodere appieno dopo l’attentato contro l’ambasciatore russo in Turchia, potendo contare sulla insensata sponda trumpiana e sulla progressiva debolezza europea consacrata dai ripetuti fiaschi dei summit dell’Unione.La mancanza di laurea della ministra dell’istruzione, Valeria Fedeli, assume il carattere di stupido diversivo (lo era già di per sé) di fronte alla laurea in terrorismo islamico honoris causa per gli attentatori che insanguinano l’occidente (attentato al mercatino di Berlino).La presunta gaffe del ministro Poletti sui cervelli in fuga dall’Italia, che strumentalmente viene sbandierata come una stecca che meriterebbe l’uscita di scena di questo ministro preso di mira dalla falsa intellighenzia referendaria e post-referendaria, è un’assurda quisquiglia rispetto alla fuga di milioni di persone dalla guerra, dalla fame, dalla miseria, dalla violenza, alla cui morte in mare abbiamo fatto l’abitudine.Il dibattito sulla legge elettorale italiana, che sembra il problema dei problemi, la madre di tutte le battaglie politiche possibili e immaginabili, una questione di vita o di morte del nostro Paese, diventa un preziosismo parlamentare, se guardiamo al disastro elettorale statunitense dove una legge canaglia consente ad un pazzo, con quasi tre milioni di voti in meno della sua competitor, di insediarsi alla Casa Bianca e di insidiare la storia del mondo intero.Voglio riflettere per un attimo sull’ultimo atto dell’elezione di Trump. I grandi elettori si sono rivelati piccoli e hanno pedissequamente ribaltato sul tycoon i voti dei loro Stati. Perché non è possibile rivedere il voto alla luce delle novità intervenute? Una campagna elettorale falsata da intromissioni straniere, una catena interminabile di contraddizioni rispetto alle promesse elettorali e al senso comune istituzionale, l’insorgenza clamorosa e sfrontata di enormi conflitti di interesse, la chiara evidenziazione di un imbroglio politico-culturale ai danni dell’elettorato: non avrebbero potuto essere motivi sufficienti per rimettere in discussione il voto dei grandi elettori? Ha vinto il notaio. Un grande Paese democratico si sta trasformando nell’anticamera di un manicomio internazionale.Se l’indagine per avere retrodatato la data sull’atto di nomina della commissione aggiudicatrice di un appalto è bastata al sindaco di Milano per fare un passo indietro e rimettersi in discussione, il responso della Cia in merito alle intromissioni russe atte a danneggiare Hillary Clinton nella corsa alla Casa Bianca non avrebbe dovuto comportare un passo indietro di Donald Trump, almeno una sospensione della sua nomina in attesa di ulteriori indagini o almeno un ripensamento provvisorio da parte dei grandi elettori americani? Non ci resta che sperare in una commissione d’inchiesta del senato americano che possa costringere Trump a farsi da parte: c’era ben meno nel famoso scandalo Water gate che mise fuori gioco Richard Nixon.E gli Usa sarebbero una democrazia solida, mentre l’Italia sarebbe una democrazia fragile?Mi tengo strette le nostre istituzioni, le nostre leggi elettorali, i nostri magistrati, i nostri giornalisti, i nostri burocrati. Massimo Severo Giannini, ministro per la riforma burocratica, abbandonò l’incarico dichiarando di voler emigrare negli Usa. Mi dispiace, ma io preferisco rimanere, nonostante tutto, in Italia. Il problema però sta nel fatto che Trump, gli americani ce lo hanno messo sul groppone anche a noi.Grazie!

Le facce e i culi

Con pannelliana schiettezza Roberto Giachetti ha apostrofato il galletto irrequieto del pollaio della sinistra dem, dicendo a Roberto Speranza ed ai suoi amici ciò che molti pensano e nessuno ha il coraggio di dire: «Hai (avete) la faccia come un culo”.Si parlava, all’assemblea del Pd, di riforma elettorale, con la proposta di Renzi di ripartire nel dibattito parlamentare dal cosiddetto “Mattarellum”, un virtuoso mix di sistema maggioritario e proporzionale, già sperimentato e che aveva dato risultati non disprezzabili. La sinistra interna si è detta d’accordo, ma Giachetti non si è potuto trattenere e, in modo più colorito che scurrile, ha rammentato l’atteggiamento dell’allora capo-gruppo alla Camera contrario al Mattarellum: alla faccia della coerenza.Penso che Giachetti abbia colto la ghiotta occasione per sciacquarsi la bocca. Il vero affondo politico l’ha fatto però bollando come inaccettabile l’atteggiamento di chi, aderente alla sinistra dem, concede al governo Gentiloni una fiducia con la condizionale, tutta da verificare valutando i singoli provvedimenti: un comportamento che configura di fatto una scissione tra un partito che appoggia Gentiloni e un partito che lo giudicherà strada facendo.Tutto sommato direi che ha fatto bene, anche se ha rischiato di rovinare quel minimo di dialogo avviato all’interno del partito, ma la verità non dovrebbe offendere e quindi…Tornando alla legge elettorale, bisogna ammettere che è, per tutte le parti politiche, la ghiotta occasione per tirare l’acqua al proprio mulino e su di essa quindi si scatenano le più bieche partigianerie ed incoerenze.Proviamo a passarle in rassegna.Cominciamo dallo sfilacciato e divaricato centro-destra: sono gli autori del cosiddetto “Porcellum”, una porcheria cucinata solo ed esclusivamente al fine di rendere impossibile la vittoria dell’avversario, creando i presupposti per l’ingovernabilità e la disarmonia fra i due rami del parlamento. Dovrebbero starsene zitti, invece pontificano: gli uni (forzitalioti) alla ricerca di un proporzionale che li rimetta miracolosamente ed autonomamente in gioco, che li difenda dal comportamento di Salvini ben più ostile di quello di Bollorè; gli altri (leghisti) in corsa verso le elezioni purchessia, convinti di incassare il loro frettoloso dividendo populista con l’esposizione dell’album di famiglia in cui Trump, Putin e Le Pen hanno preso il posto di Bossi, Miglio e Pivetti; gli altri ancora (fratelli d’Italia) tornati nelle loro fogne nazionaliste da cui pensano di avere ancora qualcosa da vomitare; da ultimi abbiamo i riposizionati (Ncd e Udc), Alfano e c., teneramente preoccupati di difendere il loro modesto gruzzolo elettorale a prova di soglia e ancor più a prova di premio di maggioranza.Andiamo al secondo polo: il movimento cinque stelle. Chi ci capisce qualcosa è bravo. Il tanto bistrattato Italicum li avrebbe favoriti, ma loro, pur di dare un senso al no preconcetto e totale, proponevano strumentalmente un ritorno al proporzionale puro. Ora che il proporzionale sta riprendendo quota, sarebbero disposti ad andare alle urne con l’Italicum sia alla Camera che al Senato. Forse hanno capito in ritardo che a loro converrebbe: l’importante comunque, anche per i grillini, è votare al più presto per incassare l’altro sostanzioso dividendo dell’antipolitica (Raggi permettendo).L’extra-sinistra non la prendo in considerazione perché tra diverse sigle, partiti, partitini, gruppi, gruppetti, non riesco a cogliere uno scampolo di strategia e nemmeno di tattica che vadano al di là dell’antirenzismo viscerale.Arriviamo al Pd e al suo sbandamento post-referendario: Renzi, come al solito, accetta il rischio di fare la prima mossa all’interno del suo partito e nei confronti degli altri partiti. Il tatticismo non è il suo mestiere, anche se rischia il tatticismo dell’antitatticismo. Abbandonato l’Italicum, un abito cucito addosso ad un sistema istituzionale uscito straperdente dal referendum, prima di andare dal sarto ha aperto l’armadio e ha notato che c’è un altro abito (il Mattarellum) ancora in discreto stato e che non è totalmente passato di moda: vale la pena provare a renderlo utilizzabile previa qualche piccola modifica, senza aspettare la sartoria della Corte costituzionale da cui si rischia di uscire con gli abiti ridotti a brandelli (vedi consultellum e probabile italichellum).La sinistra dem, contraria all’italicum, dietro cui ha nascosto la mano che tirava il sasso alla riforma costituzionale, dietro cui, a sua volta, si nascondevano le mani che tiravano i sassi a Renzi, dovrebbe accogliere benevolmente il ritorno al mattarellum anche se lo aveva frettolosamente relegato nell’armadio della soffitta: Giachetti lo ha ricordato e loro si sono incazzati, perché sono costretti a togliere le mani dal nascondiglio dopo averle usate a brindare vigliaccamente alla sconfitta del loro partito.Così solo per il momento (ne vedremo delle belle…) si chiude il cerchio della grande discussione sulla legge elettorale, ma non si chiude il discorso delle facce da culo nella politica italiana.Matteo Renzi sul referendum ha messo la propria faccia e forse l’ha persa: meglio perderla che conservarla a forma di culo.A Roberto Giachetti il merito di avercelo ricordato: grazie!Marra, Morra, Murra e…MuraroIn uno spettacolo di rivista periferico di quarant’anni fa il comico di turno racconta la barzelletta sui politici, giocata su alcuni nomi piuttosto imbarazzanti: Piccoli, Storti e Malfatti. Dal fondo della sala si sente un grido di commento: «Sì e Finocchiaro dove lo mettiamo?». Era, se non erro, l’allora esponente socialdemocratico Beniamino Finocchiaro, presidente della Rai, che non c’entrava proprio niente con gli altri tre nomi giocati sul doppio senso irridente, se non per un cognome piuttosto originale che allora, in pieno clima omofono, poteva suonare oltremodo ridicolo.Oggi la politica ha un suo strano tris di nomi scioglilingua provenienti dalle vicende grilline in Campidoglio: Marra, Morra, Murra. Sì e Muraro dove la mettiamo?Raffaele Marra è l’uomo forte di Virginia Raggi, capace di rimanere a galla da un’amministrazione comunale all’altra (Alemanno, Marino, Raggi), difendendo il proprio potere burocratico, ottenendo, almeno sembra, qualche “regalino” di troppo dai palazzinari e costruendo un suo piccolo impero economico le cui propaggini famigliari arriverebbero fino all’isola di Malta (il fratello Renato promosso a responsabile del servizio turistico, l’altro fratello Catello strano faccendiere in quel di La Valletta). Questo signore sarebbe riuscito ad infiltrarsi nella nascente ondata pentastellare capitolina, ad incantare Virginia Raggi nel cui gruppo ristretto sarebbe entrato a pieno titolo, ad abbindolare Luigi di Maio durante le sue omertose peregrinazioni tra Camera dei Deputati e Campidoglio, a resistere agli sconclusionati attacchi del direttorio del movimento, a tenere in scacco Beppe Grillo, a passare con estrema disinvoltura da vice-capo gabinetto del sindaco a capo del personale, a far fuori un capo di gabinetto facendosi blindare dalla sindaca di cui si diceva fosse diventato il braccio destro. C’è voluta un’entrata a gamba tesa della Procura della Repubblica per retrocederlo a comune mortale e ad impiegato semplice, facendolo rientrare nelle truppe dell’esercito comunale dei 23mila dipendenti (la sindaca, autopromossa a novella Cornelia, poteva risparmiare a se stessa, a Marra, ai cittadini di Roma e a tutti, la penosa battuta: “il mio braccio destro è il popolo romano…”).Nicola Morra è un senatore grillino che, dopo l’arresto di Marra, ha onestamente ammesso che il movimento non poteva far finta di niente e che chi rigorosamente esige onestà e pulizia dagli altri, deve dare il buon esempio. Mi piacerebbe risentirlo dopo che la vicenda ha preso una piega da presa in giro nel tira e molla scandaloso del “fatti più in là”, con la sindaca che non molla e reagisce colpo su colpo, con un valzer di poltrone che dura da sei mesi, con Grillo che sta a guardare la sfida tra il comune di Roma e l’azienda Casaleggio (proprio ai funerali di Gianroberto Casaleggio fu coniato il grido “onesta!, onestà!) e si fa dettare l’agenda dal guru-figlio Davide che ha preso il posto del guru padre (Berlusconi sta a Gonfalonieri come Grillo sta a Casaleggio). Cosa ne dice il senatore Morra di questa pantomima?Poi abbiamo Rodolfo Murra, un galantuomo e profondo conoscitore della macchina amministrativa comunale romana quale capo dell’Avvocatura capitolina: la Raggi, come scrive Carlo Bonini su la Repubblica, a difesa del suo cerchio magico decise di rompere con lui, con il più stimato e riconoscibile dei suoi assessori (Minenna al Bilancio) e con un competente e qualificato capo di gabinetto (Carla Raineri). Restano veramente tutti da scoprire i motivi di questo “innamoramento politico” della Raggi verso personaggi piuttosto opachi o addirittura squallidi (Daniele Frongia, Salvatore Romeo, Raffaele Marra, Paola Muraro): solo ingenuità e buona fede? Evidentemente esisteva ed esiste, come minimo, un clima poco pulito all’interno e all’esterno della macchina amministrativa romana, fatto di protezioni, clientele, scambi di piaceri etc. a cui i cinque stelle si sono adeguati senza fiatare. Vedo grandi responsabilità politiche. Per gli aspetti legali mi rimetto alla magistratura anche se la sua azione non finisce di crearmi dubbi e perplessità visti nei giorni passati.“Sì e la Muraro dove la mettiamo?”, chiederebbe quel tale dal fondo della sala. Questa volta la domanda sarebbe pertinente.

La politica per gioco

Ricordo la maliziosa reazione di Indro Montanelli alla liberazione di una donna (di cui non ho presente né il nome né il profilo umano e professionale), vittima di un sequestro di persona su cui aleggiavano seri dubbi di connivenza e/o di complicità tra sequestrata e sequestratori: «Guardatela, non sembra reduce da un sequestro di persona, ma tutt’al più da una vacanza alla Bermude…».Mi viene spontaneo parafrasare il grande giornalista a proposito dei “drammi politici” in cui è coinvolta la sindaca di Roma Virginia Raggi: «Guardatela, non sembra preoccupata e sofferente per il casino pazzesco in cui vive Roma, ma pare che si stia divertendo in mezzo al clamore mediatico in cui può atteggiarsi a diva, a stella dei cinque stelle…».I bambini, nella loro ingenuità ma anche nella loro smania di crescere, sono soliti giocare a fare i grandi: perdono così tutta la loro carica di infantile credibilità e di simpatica spontaneità e possono fare autentici disastri se pretendono di usare gli stessi attrezzi degli adulti.I grillini assomigliano molto ai bambini, sono un po’ i bambini della politica, giocano a fare i politici, perdono così tutta la loro credibilità e simpatia e diventano pericolosi nella loro clamorosa irresponsabilità.Guardateli bene e ve ne convincerete.Cominciamo dall’alto: Beppe Grillo gioca a fare il leader, se ne compiace vanitosamente, cerca l’incidente a tutti i costi, spara le battute con la consumata abilità di un mestierante del palcoscenico, si sente importante, tende a comandare facendo il simpaticone, arringa la folla strappandole la risata con la quale tutti pensano di seppellire il potere.Davide Casaleggio gioca a fare lo stratega finendo con l’accreditarsi come burattinaio da sagra di paese.I Di Maio, i Di Battista, i Fico giocano a fare i candidati premier: si sono scopertamente montati la testa, non si tengono più, vivono il loro momento di gloria senza ritegno.Gli esponenti più in vista del movimento giocano a fare le correnti: scimmiottano gli altri partiti nei loro peggiori difetti, si contendono il proscenio, vivono sui social il loro finto parlamentarismo e pretendono di replicarlo nelle vere Camere di cui dovrebbero far parte.Virginia Raggi gioca a fare la sindaca, si sente al centro dell’attenzione, si diverte con il marchingegno delle porte girevoli, si rassegna a governare per interposta persona, si accontenta di ricoprire il ruolo affidandosi a strutture parallele, prima sottostando agli ordini di personaggi di infima categoria morale ma di indubbia capacità manovriera (quelli che giocano sporco, gli ingombranti suggeritori provenienti dall’ambiente neofascista romano sempre più padroni del gioco), poi lasciandosi commissariare dai maggiorenti del movimento, i quali a loro volta giocano a comandare, con improbabile virata dal gioco sporco a quello legalizzato (eliminando o ridimensionando alcuni bari ancora seduti al tavolo).In mezzo ci sono quelli che non sono stati al gioco, scelti forse solo per arricchire bocconianamente l’immagine piuttosto squallida della compagine o per dare ad essa una certa autorevolezza tecnica: sono stati immediatamente considerati corpi estranei, isolati e messi in condizione di abbandonare il campo di gioco a difesa del loro onore e della loro storia. Non l’hanno però bevuta da botte, creando non piccoli fastidi alla cricca.Gli aderenti al movimento cinque stelle giocano nelle piazze e sui social illudendosi di decidere o quanto meno di sfogarsi. Marco Pannella, a suo modo un profeta, aveva tanti anni fa aperto i microfoni di Radio Radicale a chiunque volesse dare aria ai propri denti: ne uscì una litania di robaccia che, a giudizio del leader radicale, era sempre meglio venisse alla luce del sole piuttosto che covasse odio sotto la cenere. Grillo ha istituzionalizzato e politicizzato questo metodo e tutti si sentono protagonisti del gioco in un crescendo di ingiurie urlate a piena gola o scritte a pieno computer.In questa sarabanda ludico-goliardica trovano spiegazione tutte le contraddizioni e i controsensi grillini. Grillo sa benissimo che la Raggi non vale un accidente, ma non può rimuoverla, perché interromperebbe irrimediabilmente il gioco che si è spinto troppo avanti, cerca di ridimensionarla e di metterla a cuccia, ma rischia di peggiorare la situazione innescando un gioco nuovo, quello del tiro alla fune con la forte probabilità di finire tutti a culo per terra. Le nuove elezioni potrebbero trasferire la commedia dalla sala giochi al salone delle cerimonie.La Raggi non può dimettersi perché, sempre più compresa nella sua parte, perderebbe la faccia e comprometterebbe la recita, almeno fin che non sarà disperatamente scovato uno straccio di sostituto: non è tipo da rassegnarsi facilmente ad abbandonare la roulette del casinò di lusso per tornare alle macchinette mangiasoldi nelle anonime bettole di periferia. Tutti si sostengono a vicenda: se cade qualcuno, rischiano di cadere tutti. Federico Pizzarotti da Parma ha fatto la fine dell’unico vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro.È inutile quindi dedicare attenzione politica ai comportamenti dei cinque stelle: sarebbe come voler capire l’aria che tira in una problematica convivenza famigliare partendo dalla stanzetta dei giochi dei bimbi: al massimo capiremmo se ci sono dei figli piccoli e se sono più o meno (mal)educati.Questo gioco potrebbe essere quasi innocuo se riguardasse una scorporabile e marginale parte della società, diventa devastante se sovrapposto alla capitale d’Italia per i cui drammatici problemi rischia di rappresentare un macabro diversivo. Con la conquista di Roma il movimento cinque stelle infatti è passato dalla folcloristica velleità alla triste pantomima: il filo del passaggio è la politica ridotta a gioco, non per sdrammatizzare ma per comicizzare.Infine c’è chi gioca a guardare i giocatori. Molti sono rimasti ammirati se non coinvolti. Dal momento che il gioco si sta facendo duro cominciano però a storcere il naso. Qualcuno non vuole restare spiazzato e rivendica di avere visto e riconosciuto per tempo la rovinosa deriva ludica grillina, aggiungendo una punta di maschilismo e di antifemminismo alle già gravissime carenze di Virginia Raggi. Bisogna riconoscerlo, nella squalifica di questa sindaca c’è un pizzico di cattiveria che guasta ancor più perché, sotto sotto, si gode nel parlar male di una donna impegnata in politica. Non è il mio caso: a volte corro addirittura il rischio contrario.Poi arriva Mario Calabresi, che gioca a fare il direttore de la Repubblica stretto in una poco dignitosa morsa da parte degli ex-direttori e della schiera di editorialisti che gli fanno corona (di spine), vuole fare l’originale, il fenomeno e traccia uno stiracchiato e assurdo parallelo tra Virginia Raggi e Maria Elena Boschi. La ritrosia di entrambe all’autocritica ed al passo indietro sarebbe, a suo giudizio, un segno dei tempi. Marco Damilano, vicedirettore de L’Espresso, altro fenomenale commentatore politico, fa risalire l’inizio della fine di Renzi (per ora solo un suo desiderio) al pretestuoso e inconsistente impeachment della Boschi in merito alle vicende di Banca Etruria. Quanta cattiveria verso questa giovane donna, che viene tirata in ballo a sproposito. Forse è troppo bella e molto brava e finisce col dare fastidio: un tempo avrebbe innervosito le donne, oggi è presa di mira dagli uomini. È proprio vero che gli uomini capiscono poco… Infatti certi commentatori (per la verità tutto è partito dalla crociata del bigotto Adinolfi) se la prendono con un’altra donna, Valeria Fedeli: nuova ministra senza diploma di laurea e di maturità, una semplice maestra d’infanzia con buona esperienza sindacale. Apriti cielo! Uno schiaffo al mondo della scuola e dell’università. Un controsenso: chi non è fornito del titolo minimo per accedere all’insegnamento dovrebbe disciplinarlo e governarlo, definirne regole e prospettive. Un grave danno alla credibilità delle istituzioni. Un affronto ai cervelli italiani e stranieri che dovrebbero essere attratti dal nostro Paese. Una grave contraddizione per l’Italia che vanta un patrimonio artistico e culturale di primissimo ordine. Alla fine di questo lungo articolo di Roberto Esposito mi sono chiesto se si trattasse di ironiche e paradossali considerazioni. Ho riletto con calma. No, si diceva sul serio. Preferisco continuare a credere che si trattasse di uno scherzo, di un gioco…anche se i giocatori cominciano a essere un po’ troppi.Buon divertimento a tutti e…auguri di cuore a Valeria Fedeli che non avrà certo tempo e voglia di giocare.

Così è se vi pare

Sono diverse e talora opposte le reazioni dei commentatori politici alle plurime iniziative giudiziarie del dopo-referendum. Cosa c’entra il referendum? C’entra a detta un po’ di tutti, ma in particolare di chi teme che, nella difficile situazione di quasi-vuoto politico venutasi a creare, si possa profilare “la repubblica dei Pm”, roba successa in concomitanza della valanga della prima tangentopoli degli anni novanta (finì col favorire l’avvento del berlusconismo), e di chi auspica che l’iniziativa giudiziaria possa spazzare via i rimasugli del renzismo, fare piazza pulita degli illegittimi occupanti delle istituzioni e costringere gli elettori a votare scegliendo non tra destra e sinistra, tra centro-destra e centro-sinistra, ma tra giustizialisti e garantisti, tra populisti e parlamentarismi, tra buoni e cattivi, tra onesti e corrotti.Oggi, non capisco se con soddisfazione o con sconcerto, qualcuno sostiene che il sistema Italia non funzioni più e che questa triste realtà sia stata evidenziata se non accelerata dall’esito del referendum a cui viene ormai ascritto tutto e il contrario di tutto: crisi governativa, disorientamento del Pd, la Capitale morale schizzata di fango, la Capitale vera senza capo, ma in compenso alle prese con una triste coda di malaffare.Ebbene sono convinto che la vittoria del No, oltre che scoperchiare pentole già in ebollizione, abbia svuotato queste pentole da ogni barlume di valida cottura, buttando fuori dalla cucina il cuoco e le sue ricette, gettando nella spazzatura tutto ciò che poteva essere commestibile, ripiegando su cibi preconfezionati senza sapore e senza valore nutritivo.Ma lasciamo perdere il referendum e facciamo un passo indietro di millenni. La Bibbia racconta come il popolo di Israele, quando era caduto nel gorgo della corruzione e dell’illegalità, si sia affidato ai Giudici: qualcuno sta facendo appunto il tifo per i giudici affinché, direttamente o indirettamente, possano influenzare beneficamente la politica. Questo qualcuno magari ha votato e fatto votare No al referendum sulle riforme costituzionali (e dalli…) per difendere l’assetto istituzionale della Carta da fantomatici attacchi autoritari ed ora la Carta se la mette sotto i piedi (o ancor peggio…), auspicando una intromissione della Magistratura nel campo altrui alla faccia dell’indipendenza dei diversi poteri. Una delle tante contraddizioni del fronte del No, che, strada facendo sta sempre più dimostrandosi un’accozzaglia inaffidabile (Renzi non lo doveva dire per rispetto del galateo elettorale, ma adesso si può dire, anzi si deve dire…), arrivando ad ipotizzare, forse per farsi perdonare il casino provocato, una perdurante azione di stimolo (direi ricatto) sulle istituzioni e sull’elettorato.Resto fortemente convinto dell’assoluta necessità che la magistratura stia rigorosamente al suo posto ed eviti accuratamente ogni e qualsiasi intromissione diretta o indiretta nella politica. Dico di più, dovrebbe essere preoccupazione dei giudici usare tempi e modi che non possano minimamente influenzare il dibattito politico e i giudizi dell’opinione pubblica.In questo momento storico, a differenza di un passato non troppo lontano, non vedo la necessità di fare quadrato intorno alla magistratura e men che meno di supportare sue azioni offensive/difensive nei confronti del potere legislativo ed esecutivo a tutti i livelli territoriali.Di fronte alle iniziative giudiziarie di Roma e Milano (riapertura dell’indagine sul maxi-appalto Expo già precedentemente archiviata, riguardante anche e non solo Giuseppe Sala oggi sindaco di Milano; indagine sull’assessora romana all’Ambiente, Paola Muraro, sequestro di documenti riguardanti le procedure di certe nomine in Campidoglio, arresto di un alto funzionario capitolino), le reazioni dei politici direttamente o indirettamente coinvolti sono state diverse.Il sindaco di Milano si è autosospeso dalla carica intendendo rimettersi fin d’ora alle decisioni della Magistratura, nel massimo rispetto delle sue indagini e dando alla pubblica opinione un segnale di assoluto distacco dalla poltrona in attesa degli sviluppi dell’inchiesta a suo carico, peraltro assai confusa ed in balia dei tira e molla dei padreterni della procura milanese (non ho capito, dopo aver letto con molta attenzione i giornali, se Sala sia indagato per avere sbrigativamente gestito una gara d’appalto ed assegnato i lavori oppure per aver tentato di favorire qualche potenziale concorrente alla gara stessa oppure per aver meramente retrodatato un atto al fine di snellire le procedure condizionate dai tempi stretti di realizzo delle opere).La sindaca di Roma non ha ritenuto di fare alcun passo indietro, considerandosi non coinvolta nei provvedimenti da cui è oggettivamente accerchiata, ammettendo errori però non tali da portarla alle dimissioni.Le opposizioni nei due casi, per la verità politicamente assai diversi, hanno tenuto atteggiamenti critici ma opposti: a Milano il centro-destra vorrebbe che Sala rimanesse al suo posto senza indulgere a scelte filo-giustizialiste e istituzionalmente sui generis; a Roma il Pd e tutti gli altri gruppi di opposizione chiedono a gran voce le dimissioni di Virginia Raggi, che in questi mesi ne avrebbe combinate di tutti i colori senza affrontare minimamente gli enormi problemi della capitale.Se devo essere sincero ritengo che entrambi i sindaci debbano rimanere in questo momento al loro posto, perché c’è in ballo innanzitutto l’autonomia della politica, che non deve fare da cassa di risonanza alle inchieste giudiziarie, ma prendere atto solo dei provvedimenti conseguenti e/o delle relative sentenze.Condivido pienamente quanto afferma Piero Bassetti, imprenditore, ex politico di grande livello, che, al di là del giustificare la scelta di Beppe Sala (io la comprendo, la apprezzo, ma non avrei ceduto anche perché un gesto di notevole spessore etico rischia di essere considerato un atto di irresponsabilità verso gli obblighi amministrativi milanesi), indica con estrema lucidità la patologia nei rapporti tra politica e magistratura: «Una classe politica non può governare se è subordinata a un potere come quello giudiziario, che qualche volta è discrezionale. Non ci deve essere un livello di giudizio politico affidato all’ordine giudiziario, se il potere giudiziario vuole sovrapporsi deve accettare di avere la stessa tempestività dell’azione di governo».Resto invece molto perplesso di fronte all’analisi parziale, semplicistica e moralisteggiante al limite della pedanteria, di Stefano Rodotà, il quale, partendo dallo sviscerato amore che avrebbero dimostrato i cittadini verso la Costituzione con il loro No in massa (ma mi faccia il piacere…), considera e sopravvaluta demagogicamente l’obbligo, previsto dalla Carta all’articolo 54, di svolgere con onore le funzioni pubbliche, giustificando così manicheisticamente le clamorose intromissioni politiche della magistratura: sarebbero dovute alla sua solitudine rispetto al degrado politico incalzante e dilagante, all’inerzia degli altri soggetti deputati al controllo, alla conseguente necessità quasi automatica di costituire un vero e proprio “tribunale della politica”. Tutta colpa della politica essere arrivati a questo punto di squilibrio democratico. Mi permetto di aggiungere che la politica ha certamente enormi responsabilità, ma non mi sento di dividere la lavagna fra buoni e cattivi, iscrivendo i politici fra i cattivi e i giudici fra i buoni. Anche la magistratura ha le sue grosse responsabilità, le sue colpe, le sue inefficienze, i suoi enormi ritardi, i suoi ingiusti privilegi, i suoi condizionamenti corporativi, il suo conservatorismo, le sue paure.Diverso è il discorso squisitamente politico: Milano sembra decentemente amministrata, mentre Roma naviga nel caos amministrativo. Non credo tuttavia a Milano capitale italiana del buongoverno contrapposta a Roma cloaca del malgoverno: i discorsi e i giudizi devono essere più approfonditi (non dimentichiamo che craxismo e berlusconismo, nella loro portata degenerativa sulle istituzioni centrali e periferiche, ebbero culla in quel di Milano, laddove si spartivano tangenti anche sui loculi cimiteriali).Concedo a Virginia Raggi tutte le attenuanti del caso (le malefatte delle amministrazioni precedenti, gli errori pregressi, etc. etc.). Vedo tuttavia una impreparazione ed una inesperienza inquietanti, considerato il fatto che il movimento cinque stelle sapeva di essere il candidato quasi naturale a governare la capitale e si è fatto trovare con le dita nella marmellata dei giochi di potere provenienti da un lungo passato con cui avrebbe dovuto recidere ogni e qualsiasi legame. Resta tutto da verificare se sia soltanto questione di inesperienza o se ci sia anche una presuntuosa e frettolosa smania di navigare nei meandri della politica. All’interno del movimento cinque stelle è aperta una forte polemica su questo fronte, ma Virginia Raggi resiste agli assalti dei nemici e degli amici (Grillo compreso). Forse i suoi legami col passato dovevano servire a renderla impermeabile al durissimo vaglio grillino? Non capisco l’arrendevolezza di Grillo, la sua infinita sopportazione messa a confronto con la durezza usata verso altri esponenti del movimento (Federico Pizzarotti, ma non solo lui), rei di aver commesso peccati ben più veniali rispetto a quelli accumulati dalla sindaca capitolina in così poco tempo. Probabilmente è una questione d’immagine da salvare. Opportunismo bello e buono.Prescindendo da discorsi di merito sulla complessiva credibilità della linea di antipolitica pentastellare (sulla cui totale inaffidabilità non ho mai avuto dubbi di sorta), trascurando i richiami grilloparlanteschi di parecchi ammiratori bruscamente pentiti (si sta sgretolando il fronte filo-grillino più per le picconate giudiziarie, che per un ragionato recupero di spirito critico), se da una parte capisco possa essere duro ammettere enormi limiti politico-amministrativi ormai sotto gli occhi di tutti, dall’altra credo sia estremamente pericoloso vivacchiare a Roma per bellamente candidarsi a governare il Paese. Rischiando persino di dover ingoiare brutti rospi e di non poter più gridare a squarciagola “onestà! onestà!”. Non è un caso che in concomitanza con l’arresto di Raffaele Marra sia stata frettolosamente annullata la dimostrazione di fronte alla sede del Monte Paschi di Siena e rinviata sine die la manifestazione d’appoggio ai no-tav: la credibilità comincia a scricchiolare? Non ci godo, ma ne prendo atto.

L’autostrada dell’antipolitica e le scorciatoie giudiziarie

Il sindaco di Milano Giuseppe Sala è indagato per il maxi-appalto Expo, risalente al 2012 quando l’attuale primo cittadino milanese era amministratore delegato dell’ente titolare del grande evento fieristico mondiale.Paola Muraro, assessora all’ambiente della giunta capitolina giuidata dalla sindaca Virginia Raggi, dopo un lungo tira e molla si dimette in quanto indagata per reati ambientali nel periodo in cui ricopriva importanti incarichi tecnici a livello del settore rifiuti della capitale; la guardia di finanza entra in Campidoglio per sequestrare documenti relativi alle nomine fatte dalla giunta Raggi, nomine assai chiacchierate e in odore di irregolarità; sul più belloil capo del personale del comune di Roma e già vice-capo di gabinetto, legato alla precedente amministrazione di Alemanno, tuttora uomo forte negli uffici comunali e, si dice, uomo di fiducia della sindaca Raggi, viene arrestato per fatti di corruzione risalenti ad alcuni anni or sono.I pubblici ministeri di Milano addetti al processo “Ruby ter” chiedono al Gup di processare Silvio Berlusconi per “corruzione in atti giudiziari: avrebbe comprato il silenzio delle ragazze partecipanti alle feste di Arcore, chiamate a testimoniare nei due processi sul caso Ruby (la nota vicenda della minorenne amica del cavaliere e protetta dallo stesso con goffe manovre tra il pubblico e il privato).Sembra un burocratico bollettino giudiziario, è invece la sintesi delle imbarazzanti cronache politiche del giorno. Poi ci si chiede perché la gente perde la fiducia nella politica…Pure coincidenze? Bisogna osservare con un certo disincanto come, allorquando il Paese vive difficili e delicate fasi politiche, immancabilmente si verifichino entrate a gamba tesa della magistratura inquirente sulle (presunte) corruzione e illegalità nell’amministrazione della cosa pubblica. Sta succedendo anche in questi ultimi giorni, in un Paese stordito dal referendum e balbettante sul proprio futuro politico, con i diretti e indiretti affondo giudiziari sull’amministrazione capitolina della grillina Virginia Raggi, accompagnati da altra stoccata contro Giuseppe Sala, il sindaco di Milano e la sua passata Expo e contro l’ormai abituale bersaglio Silvio Berlusconi (è tanto indaffarato a difendersi da Vivendi, che forse non si è accorto di rischiare un nuovo processo legato alle sue maniacali scorribande sessuali).Per la verità ci sarebbe da citare anche il caso di Vincenzo De Luca, presidente della regione Campania, sul cui conto è stato aperto un fascicolo per istigazione al voto di scambio: avrebbe invitato i sindaci campani a convincere, anche tramite argomenti non squisitamente politici, i loro elettori a votare Sì al referendum sulla riforma costituzionale. È già ridicolo in sè il capo di imputazione, ma vedremo gli sviluppi.Sono indubbiamente frecce mirate a colpire la nuova e “local” corruzione italiana, oltre a bollare ulteriormente Berlusconi, l’immancabile personaggio emblematico della politica buona per fare i propri comodi in tutti i sensi.I colpi sono diretti ai principali poli amministrativi italiani (Milano che si pavoneggia, Roma che si rotola nel fango) ed ai due veri contendenti della politica italiana (il Pd e il movimento 5 Stelle), che si avvicinano alla resa dei conti.Inchieste a orologeria? Non sono iscritto al giustizialismo e nemmeno al complottismo e quindi non mi butto su ipotesi fantasiose e pericolose, ma…Il punto di Stefano Folli, la stucchevole ed insulsa rubrica giornaliera di commento politico de “la Repubblica”, conteneva, alcuni mesi or sono, una realistica previsione di azioni penali contro la politica da parte di una magistratura inquirente, che si sentirebbe sotto pressione riguardo alle riforme in cantiere su processo penale, uso delle intercettazioni, snellimento dei tempi delle inchieste, etc. L’autorevole commentatore scriveva infatti di “avvio di una fase di ostilità i cui riflessi sono difficili da valutare oggi”. E proseguiva con: “Il problema è: Renzi e il suo governo sono in grado di reggere una ripresa di iniziative giudiziarie ad ampio spettro? L’effetto destabilizzante di una tale offensiva non ha bisogno di essere illustrato ”. Il solo fatto di prevedere vendette inquisitorie ad alzo zero sulla classe politica per mettere in difficoltà governo e parlamento, è un gravissimo giudizio e una dichiarazione di sfiducia rivolti da un giornalista di livello alla magistratura. Ne prendo atto.Se ci si fa caso i magistrati non ammettono mai alcuna colpa, eppure ne combinano delle belle, tanto da essere parecchie volte inquisiti loro stessi e sottoposti alle inchieste del Consiglio Superiore della Magistratura. A Parma sono stati bravissimi: per decenni hanno fatto finta di niente, quando la città era tutta presa dall’incantamento, appena è cambiata l’aria hanno sparato nel mucchio facendo ben poca fatica a colpire. Ricordo di essermi confrontato con un autorevole esponente dell’opposizione durante la fase vignaliana del regime parmigiano. Mi disse: «Non capisco cosa aspetti la magistratura ad intervenire sul malaffare amministrativo comunale? È sotto gli occhi di tutti, non è una novità, ma dal punto di vista giudiziario non si muove nulla…».Siamo sempre lì, prima va tutto bene e poi improvvisamente… Non vorrei che fosse successo così anche su Federico Pizzarotti, sindaco di Parma. Un conto infatti è registrarne il fallimento politico, altro è subissarlo di inconsistenti indagini e procedimenti giudiziari: ne abbiamo contati già tre. Uno, quello sulle nomine al teatro Regio si è chiuso senza alcun strascico (capendone poco di teatro ha ritenuto di accettare i consigli degli addetti ai lavori di sua fiducia); uno, tutt’ora in corso, è partito da qualche tempo a triste coronamento dello straripamento del Baganza (si tratterebbe di inadempienze a livello di allerta, ma mio padre lo avrebbe ironicamente derubricato a mancata installazione “ed j èrzon äd cärta suganta”); uno è spuntato recentemente sulla vendita delle quote di una partecipata del comune, la Stu Pasubio (era stata deliberata dal nientepopodimeno che commissario governativo, vai a pensare che potesse essere irregolare). A questi ne aggiungo uno che sta trovando l’incubazione nell’aria contaminata dalla legionella (cosa poteva fare il sindaco a monte? certamente poteva essere più premuroso e partecipe a valle).Porto un grande rispetto per il ruolo della magistratura inquirente e giudicante. Non nego e non sottovaluto il deprecabile fenomeno della illegale amministrazione della cosa pubblica. Però più passa il tempo e più ho la netta sensazione che le inchieste si aprano e si chiudano con una certa leggerezza, che gli avvisi di garanzia spuntino come funghi e nei momenti caldi e, soprattutto, che il tutto risenta troppo del clima politico generale e locale: si parte per condizionare certi equilibri politici o ci si adegua dopo che gli equilibri politici sono saltati? Faccio alcuni esempi. Ho ascoltato, con pignola attenzione, su radio radicale la testimonianza resa dalla deputata dem Micaela Campana in merito ai suoi rapporti con Salvatore Buzzi (uno degli imputati nel processo “mafia capitale”), durante la quale si percepiva un atteggiamento prevenuto non tanto del procuratore interrogante, ma da parte di chi presiedeva il collegio giudicante : non ho sinceramente riscontrato alcun elemento serio e consistente per una ipotesi di falsa testimonianza o di indagine per reticenza, come sembra stia avvenendo. Noto una sorta di accanimento sui politici, per i quali non si parte dalla presunzione di innocenza, ma da quella di colpevolezza. Forse sta succedendo anche ai grillini in Sicilia e a Bologna, i quali avrebbero falsificato le firme per la presentazione della loro lista: fatto obiettivamente censurabile, ma, pensando con andreottiana malizia, non vorrei che, al di là della effettiva contestazione di una violazione di legge, ci fosse una sorta di “avvertimento” giudiziario, un atto giuridico virtuale, che sta prima dell’avviso di garanzia e va ben oltre lo stesso.A Roma solo l’indomani della nomina del sindaco Virginia Raggi si apprende, in mezzo ad una ridda di ammissioni e smentite, dell’indagine a carico del neo assessore Paola Muraro per suoi presunti “pasticci ecologici”? Si lascia trapelare la notizia, la si tiene a bagno maria per diverso tempo, poi ad un certo momento partono gli interrogatori in procura.Analogo discorso per Raffaele Marra, il potente funzionario capitolino ingaggiato scriteriatamente da Virginia Raggi. Lo si tiene sulla corda per diverso tempo e poi parte addirittura l’arresto.Posso pormi una domanda maliziosa al limite della cattiveria pura: non è che a Virginia Raggi, al di là della sua penosa inconsistenza politico-amministrativa, faranno pagare un conto salato per lo sgarbo personale e istituzionale fatto al magistrato di corte d’appello Carla Raineri, capo di gabinetto della sindaca per l’espace d’un matin, che ha lasciato il suo incarico in rotta di collisione con Virginia Raggi e il suo staff, in primis Raffaele Marra e che probabilmente si è sentita presa in giro e ridotta a mero specchietto legalitario per le allodole romane? Altro mordi e fuggi si è verificato con Raffaele De Dominicis, ex giudice della Corte dei conti, individuato come assessore al bilancio e cacciato dopo appena quattro giorni perché il suo profilo non era rispondente ai principi del M5S. Un secondo specchietto rotto? Come ben si sa, rompere gli specchi(etti) porta sfortuna! Saranno scattate reazioni corporative, che stanno trovando il loro sfogo?Nei rapporti tra politica e giustizia le coincidenze sono molte, le fughe di notizia pure… Oltretutto parecchie indagini appaiono fin dall’inizio inconsistenti e fantasiose (ricordo il presunto abuso d’ufficio del sindaco di Bologna per aver erogato l’acqua ai “disperati poveracci” occupanti abusivi di certi immobili). Clamorose per quantità e qualità sono poi le assoluzioni di politici, messi sul banco degli imputati con una certa facilità dalle Procure (lo ha lasciato intendere persino il vice-presidente del CSM) per poi essere scagionati dai Tribunali, dalle Corti d’appello o dalla Corte di Cassazione. Ultima, con non poche analogie con i carichi pendenti pizzarottiani, l’assoluzione dell’assessore genovese Raffaella Paita in materia di mancata allerta sull’allagamento di Genova a cui ha fatto da contraltare la pesante e sommaria condanna dell’ex sindaco di Genova Marta Vincenti sulla stessa vicenda.Non vorrei che di fronte all’impennata elettorale dei grillini, fosse venuto anche per loro il momento di abbassare la cresta per via giudiziale. Non sono un fan di Grillo e della sua creatura, ma vorrei che tale movimento fosse giudicato politicamente e non preventivamente sputtanato dalle Procure della Repubblica. Per i cinque stelle, esagitati utilizzatori finali del “tutti ladri, tutti a casa”, non sarà facile tirarsi fuori dalle bufere, che cominciano obiettivamente ad essere parecchie, considerate anche le loro scarse occasioni di peccato.Alcune considerazioni finali. La prima risale al berlusconismo prima maniera che scatenò, per motivi di bottega, una vera e propria guerra contro la magistratura, perdendola su quasi tutti i fronti, al punto da dover ricorrere all’affidamento ai servizi sociali, da essere sbattuto fuori dal Parlamento, da fare i conti con una innumerevole serie di inchieste e di procedimenti giudiziari non ancora terminata (l’ultima grana, come detto all’inizio, la stanno arrecando i pm di Milano i quali chiedono che Berlusconi sia processato con l’accusa di “corruzione in atti giudiziari”: avrebbe ammorbidito con circa 10 milioni di euro le testimonianze delle ragazze passate dalle serate hard ad Arcore).Al berlusconistico accanimento spregiativo e sprezzante verso i magistrati fece riscontro un vigoroso e pesante accanimento difensivo da parte della Magistratura. La politica, a testarda difesa degli interessi del nostrano tycoon, inaugurò insensatamente una guerra di cui tutti abbiamo pagato le conseguenze ed a cui tutti abbiamo fatto la triste abitudine: i giudici soprattutto, che da vittime (?) del regime forse si sono fatti giustizieri del sistema.La seconda riflessione riguarda il grillismo, il populismo all’italiana, l’antipolitica in versione comico-teatrale. La politica, nonostante tutto, è una cosa seria, che non può essere ridotta a commedia etica o addirittura a farsa istituzionale. Da una parte si sparano slogan piccanti e accattivanti, dall’altra si buttano sulla scena attori improvvisati che improvvisano un copione che non conoscono o recitano un copione sbagliato con una compagnia raccogliticcia e sconclusionata, se non addirittura infiltrata. A Parma si è scherzato, a Roma casca l’asino. Gli attori poi non vogliono scendere dal palcoscenico, ci provano gusto, resistono.La magistratura sta solo impropriamente scoprendo gli altarini non tanto della corruzione, ma della incapacità a governare. Credo che la vicenda romana per i grillini sarà un brutto boomerang, forse addirittura esagerato e impietoso, ma, tutto sommato, meglio prima che dopo.Una terza considerazione la dedico al Pd: è possibile che negli incidenti agli incroci pericolosi della corruzione e dell’illegalità ci sia coinvolto sempre e sistematicamente qualche esponente centrale o periferico del partito democratico? Sarebbe il caso di affrontare questo nodo al prossimo congresso del Pd, lasciando stare le polemichette su cosa significhi essere di sinistra. Certamente vuol dire smetterla di rubare o quanto meno di esporsi continuamente al rischio di finire sotto processo per comportamenti scorretti. Non è facile nel clima di caccia alle streghe che ci ritroviamo, ma bisogna mettercela tutta.Ultima constatazione. Ho ascoltato le obiettive e abili dichiarazioni di Stefano Parisi sull’autosospensione da sindaco di Giuseppe Sala, suo vittorioso competitor alle ultime elezioni milanesi. È in questi delicati momenti che si rivela il livello umano e politico di una persona: lo promuovo a pieni voti, perché non ha strumentalizzato la vicenda, non ha cercato la rissa, non ha infierito sull’avversario in difficoltà, si è limitato a chiedere chiarezza e coerenza di impegno. Era stato scelto da Berlusconi per rilanciare Forza Italia e il centro-destra sulla via della moderazione e della ragionevolezza: era l’uomo giusto, che, come al solito, Berlusconi ha divorato in pochi giorni. Sul referendum avrebbe potuto assumere una posizione ragionevole, lasciando ai suoi elettori la scelta su come votare, invece la smania di protagonismo ha prevalso su tutto e adesso si trova nel cono d’ombra della Lega a zampettare intorno al governo Gentiloni.Da ultimo gli è capitata addosso la grana di Mediaset insidiata da Vivendi: il governo e lo Stato hanno assunto atteggiamenti seri in base alle regole esistenti ed al rispetto dovuto dai transalpini per gli interessi nazionali, al di là della mera difesa retorica dell’italianità. Renato Brunetta continuerà a sparare a zero contro il governo, come ha sempre fatto, e Berlusconi lo lascerà fare. Il cavaliere non finisce mai di stupire: pensavo avesse un minimo di capacità nell’individuare i pregi e i difetti delle persone e nel collocarle al posto giusto (la dote di un leader), invece mette a tacere gli intelligenti e lascia parlare gli stupidi (la dote di un finto capo che ha solo paura di essere scavalcato). E allora ricominci a dedicarsi alle serate hard, se il cuore, considerato in tutti i sensi, glielo consente.

Vivendo con Vivendi

Il salotto buono di Lilly Gruber (otto e mezzo su La 7) mi serve, quando ho il tempo e la pazienza di seguirlo, da autoesame del sangue politico presente nelle mie vene. Nell’ultima occasione si parlava del nuovo governo di Paolo Gentiloni, del futuro congresso del Partito democratico e della scalata di Vivendi a Mediaset. Tre validi test per le mie idee, operati da tre laboratori: il sussiegoso mondo accademico (Massimo Cacciari), il pretenzioso mondo dei talk show di livello (Giovanni Floris), il giornalismo brillante (Nicola Porro).Il piatto forte cucinato da Floris era l’allarmistico e dolente elenco di tutte le massime aziende italiane ormai in mano al capitale straniero: l’ardita intenzione della francese Vivendi di intromettersi nell’italiana e berlusconiana Mediaset veniva inquadrata nel complessivo panorama economico nazionale, colonizzato dalle multinazionali. Roba da “Stato Imperialista Multinazionale” di brigatistica e rossa memoria.Massimo Cacciari, oltre assentire su questa arcaica analisi, auspicava un “vero” congresso chiarificatore del Pd, che ne ascoltasse la base ben individuata (solo gli iscritti al partito o ad un impegnativo albo speciale), che ne facesse il partito democratico e non più il partito di Renzi (questa volta Cacciari era a corto di fantasia), che ne delineasse un gruppo dirigente allargato (oltre lo striminzito cerchio magico). Considerava inoltre una quisquiglia la presenza di Maria Elena Boschi nel nuovo governo, problema piccolo, ma che, tra l’altro, segnava il titolo del dibattito stesso (in filigrana, la solita supponenza cacciariana e forse una punta di maschilismo di ritorno).Sulle tre questioni Nicola Porro si differenziava notevolmente dai suoi interlocutori: sulla questione “Vivendi”, pur parlando da un pulpito di parte (la redazione de “Il giornale”), aveva il coraggio di globalizzare il discorso sostenendo che il capitale straniero, a patto che comporti, come in molti casi, rafforzamento e sviluppo della aziende italiane, non può essere che il benvenuto. Sulla questione del congresso Pd poneva la sibillina e ironica domanda: alla fine è Roberto Speranza il sinistro competitor di Matteo Renzi? E su Maria Elena Boschi non sottovalutava la mossa di Meb (così la chiamano gli amici) e il suo impatto, negativo o positivo sull’opinione pubblica.Mi sono trovato d’accordo, su tutto il fronte degli argomenti trattati, con Nicola Porro, giornalista di libero pensiero, ma certo non di sinistra. Cosa mi sta succedendo? I casi sono due, anzi tre: o invecchiando, come spesso accade, sto annacquando la mia storica ispirazione di sinistra; oppure l’opinione riconducibile alla sinistra marca visita in senso anacronistico, nostalgico e schematico; oppure il mondo sta cambiando al punto da rimescolare culturalmente le menti e da richiedere un riposizionamento su tante questioni.Fatto sta che, tornando agli argomenti di cui sopra, io la penso come sinteticamente di seguito.Il Pd non può prescindere da Renzi, pur con i limiti soggettivi dimostrati (e chi non ne ha) e gli errori oggettivi compiuti (e chi non ne fa). Il dibattito congressuale franco ed approfondito potrà solo servire ad aggiustare il tiro renziano, non certo ad accantonare l’unico leader plausibile.In campo economico non significa nulla la difesa patriottica del capitale italiano: questo può rivelarsi e spesso si rivela ben più speculativo e conservatore di quello straniero. Semmai bisognerebbe puntare a rendere sempre più appetibile il nostro Paese per gli investimenti produttivi stranieri. Siamo in Europa, non vogliamo muri e poi diventiamo protezionisti in economia? La pensiamo come Trump, come Salvini, come Grillo, come i brexit?Maria Elena Boschi è stata un ottimo ministro con una mission difficile e purtroppo non è riuscita a portare a termine felicemente (Sì a livello parlamentare, No a livello popolare) la legge di riforma a cui ha lavorato. Niente di drammatico e di scandaloso quindi che sia rimasta nel governo Gentiloni, con un diverso incarico dal momento che di riforme costituzionali non si parlerà per decenni. Tra l’altro, senza sottovalutare la sua capacità politica e senza indulgere a maschilismo camuffato, un tocco di graziosissima femminilità non guasta mai. Non vorrei che l’ostracismo nei confronti della Boschi non fosse tanto una questione di omogeneità dimissionaria col leader Renzi (a proposito, com’è strano il mondo, si diceva che Meb fosse una ventriloqua del suo capo e poi, quando sceglie di testa sua, sbaglia, perché dovrebbe seguire le orme del capo), ma fosse dovuto ad un ragionamento del tipo: ben vengano le donne, poi però, quando il gioco si fa serio e importante, meglio se vanno a casa.Dalla pancia al … il tratto è breveNon so se la politica sia diventata il pretesto e l’occasione per sfogare le proprie sciocchezze latenti o se addirittura si pretenda di parlamentarizzare lo sciocchezzaio imperante a livello di social network e di media in genere. Anche per un accanito ed appassionato osservatore della politica come il sottoscritto, questa progressiva brutalizzazione del dibattito rischia di avere non tanto un effetto nervosamente coinvolgente, ma quello di provocare una sorta di alienante fuga nel dibattito politico virtuale (come dovrebbe essere), rincorrendo magari il passato (andava molto meglio quando andava peggio…). Ho fatto fatica a leggere le cronache odierne: giravo e rigiravo le pagine su reportage squallidi (non si dovrebbero nemmeno considerare e commentare certi fatti) dal contenuto ancor più squallido (stiamo veramente e pericolosamente raggiungendo l’apice della demenza). Alla fine ha vinto la voglia di reagire e quindi di mettere per iscritto alcune riflessioni.La nuova ministra della Pubblica Istruzione, Valeria Fedeli, viene messa al pubblico ludibrio per avere inserito nel suo sito internet, a livello di curriculum, il “diploma di laurea in Scienze sociali” mentre è in possesso solo di “diploma per assistenti sociali”. Su questo dettaglio insignificante (quante persone più o meno in buona fede si fanno o si lasciano chiamare dottore senza esserlo) è stata costruita una delegittimazione, arrivando a sostenere che non si può fare il ministro dell’istruzione senza essere dotati di laurea (e dove è scritto?) e che non è credibile l’invito all’impegno nello studio rivolto ai giovani se viene da un personaggio istituzionale che non ha studiato granché (fate come ho fatto e non come dico). Siamo alla pura follia polemica che si perde non in un bicchiere d’acqua ma in un vasetto di urina.Un ex-deputato viene insultato, malmenato e quasi-sequestrato in una sorta di finto arresto riconducibile a giustizia sommaria popolare, improvvisata dal movimento dei forconi (ribattezzato per l’occasione Comitato per la legalità). Ma il bello sta nel fatto che a tale movimento aderisce un generale dei carabinieri in pensione (sic!) che si fa portavoce degli autori del blitz: «Sono passati tre anni dalla sentenza della Consulta che ha dichiarato illegittima la legge elettorale e i parlamentari abusivi sono ancora lì. Non dovremmo arrestarli noi, i politici, ma le stesse forze di polizia. La nascita del governo Gentiloni, con la prospettiva di un altro anno di legislatura, ha fatto esasperare gli animi. Devono andare a casa tutti, la gente non ne può più. Sono gli onorevoli abusivi a determinare tutto ciò. Altri “arresti”? Non si possono escludere». Siamo alla pura follia che passa alle vie di fatto: sono convinto che in molti applaudirebbero queste provocatorie dichiarazioni, propedeutiche ad azioni illegali e violente (io comincerei a mettere in galera questo generale in pensione).Beppe Grillo non si è presentato alle consultazioni del Capo dello Stato e tanto meno a quelle del presidente incaricato, ma viene a Roma, bazzica assieme a Davide Casaleggio locali e salette di Senato e Camera, incontra i parlamentari cinque stelle e sputa intenti programmatici al limite dell’eversione: «Bisogna portare il Parlamento tra la gente», dopo avere disertato e disturbato quello istituzionale durante il dibattito sulla fiducia al governo. In compenso nemmeno una parola sulle dimissioni di Paola Muraro, assessora grillina del comune di Roma, indagata dalla Magistratura: «Sono un problema che riguarda il Comune». E la gente vota Grillo…Dentro il Senato ci pensa Mario Monti a dare aria ai denti, oscurando grillini e Lega. L’ex premier parla di Renzi. Lo definisce “totalmente inadeguato alla politica”, ma “bravo motivatore”. Considera l’indirizzo europeo di Renzi “povero di risultati, solo toni alti”, parla di un premier uscente che è stato un danno per il Paese. Si sente vittima di “linciaggi” e conclude dicendo: «Chi parla è stato iscritto addirittura in un nuovo raggruppamento dell’accozzaglia». Mario Monti è un senatore a vita. Se così si esprime un cittadino che ha illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario (art. 59 della Carta costituzionale), un cittadino normale…Concludo con la chicca di Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, che così si prenota sul possibile referendum abrogativo in materia di Jobs act: «Noi voteremo contro il Jobs act assieme alla Cgil, perché Renzi è un politico eversivo e noi stiamo con la democrazia». Se parla così un deputato di lungo corso, coinvolto nelle malefatte del ventennio berlusconiano, un normale elettore… Mi piacerebbe sapere però cosa ne pensa Silvio Berlusconi, alla disperata ricerca di una sponda governativa che lo aiuti a difendere la sue aziende dagli attacchi francesi. La malafede associata alla demenza!

Le dimissioni dei poveri

Erano nell’aria da mesi. Si sono concretizzate quando l’attenzione generale era tutta concentrata sul nuovo governo post-referendario. Mi riferisco alle dimissioni di Paola Muraro da assessore all’ambiente del comune di Roma. In odore di indagine in materia di reati ambientali, in particolare sulla gestione non autorizzata dei rifiuti, in periodo antecedente rispetto all’entrata in funzione della giunta capitolina guidata dal sindaco Virginia Raggi, ha aspettato, contravvenendo ad una regola interna del movimento cinque stelle, la convocazione in procura per un interrogatorio, prima di rassegnare le dimissioni. È una vicenda strana: non si è capito se Paola Muraro fosse stata iscritta nel registro degli indagati, da quando e se questa iscrizione fosse stata ufficializzata.Non essendo un giustizialista non trovo niente di clamoroso nell’atteggiamento attendista dell’interessata. Diverso il discorso a livello del movimento, che sembra applicare due pesi e due misure a seconda dei personaggi inquisiti (vedi Parma e Palermo): una ulteriore prova che non si può fare politica solo gridando “onesta! onesta!”: in questo modo si dà soltanto soddisfazione epidermica alle lamentazioni della gente , ma poi viene il bello della soluzione dei problemi.Ed è qui che restano molte perplessità. I casi sono due: o Virginia Raggi ha operato la scelta di assessori e collaboratori in modo a dir poco opaco o comunque lasciandosi, volontariamente o involontariamente, irretire dall’avvolgente rete di potere capitolina; oppure si è mossa e si sta muovendo alla cieca, senza un disegno e senza una squadra.In entrambi i casi emerge una preoccupante improvvisazione a giustificare la quale non basta l’inesperienza o l’ingenuità dei neofiti: ad un movimento che si candida a guidare il Paese è richiesto molto di più.Tutto sommato la tanto discussa esperienza parmense di Federico Pizzarotti, da tempo misconosciuta dai cinque stelle e ultimamente segnata dalla definitiva presa di distanza del sindaco di Parma dal movimento, il quale si avvia a concludere regolarmente il mandato, pur nella quasi disastrosa inconcludenza amministrativa, ha fatto in oltre quattro anni meno danni in casa grillina che non la giunta Raggi in quattro mesi.Resta, al di là degli insopportabili e vuoti toni protestatari, la forte perplessità rispetto ad una prospettiva di alternativa grillina nel governo del Paese.Due fatti si verificano contemporaneamente in questi giorni: la crisi di governo riconducibile alla crisi del Partito Democratico; la crisi dell’amministrazione capitolina riconducibile al movimento cinque stelle. Penso non sia un caso. Proviamo a rifletterci sopra un attimo.Lasciamo stare l’onda populista, non scomodiamo il discorso dell’antipolitica, stiamo a Grillo ed ai grillini e chiediamoci: è possibile che un elettore italiano su tre dia loro fiducia. Sono convinto che tutto rientri in un sentimento distruttivo, in una rappresentazione della società in cui la tragedia sfocia nella comica e viceversa.I poveri nel primo dopoguerra trovarono sciaguratamente risposte nel fascismo pilotato da ben altri interessi; nel secondo dopoguerra trovarono ospitalità e rappresentanza ideologica nel partito comunista e nella democrazia cristiana, che, partendo dalle “lamentazioni” di un popolo distrutto dalla guerra, seppero ricostruire un Paese democratico facendolo progredire su tutti i piani. Poi arrivarono il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro e si chiuse questa fase, con il Pci e la Dc (messi in gravi difficoltà dal craxismo) alla ricerca di rigenerazione a livello di potere e di revisione ideologica. La macchina dei poveri aveva perso la benzina, i poveri c’erano ancora, ma cambiavano i loro bisogni e soprattutto non c’erano gli interlocutori. La politica si distaccava progressivamente dalla gente e andava per la propria strada senza freni etici: e fu tangentopoli…Arrivò Berlusconi, frutto bacato del craxismo e della modernità mediatica: i poveri (almeno una parte) ci cascarono, ci provarono e fu un disastro. I post-comunisti ed i post-democristiani si ripulirono col digiuno e con la battaglia dell’antiberlusconismo, ma non fu come per l’antifascismo che plasmò una nuova classe dirigente. Le macerie c’erano ma non c’era lo spirito del ricostituente. Tentarono il compromesso storico fuori tempo massimo: l’ulivo e poi il Partito democratico. Le due culture non riuscirono a fondersi e ridiedero vita a due visioni contrapposte di società: quella burocratica e monolitica della sinistra classica (i Bersani e i D’Alema) e quella confusionaria e provvisoria dei cattolici progressisti. Romano Prodi e Matteo Renzi hanno tentato in tempi e modi diversi il miracolo, che non è riuscito. I poveri sono tuttora vedovi di queste due culture e vanno alla disperata ricerca del salvatore. Da qualche anno si illudono di averlo trovato in Beppe Grillo. Quando si è disperati ci si attacca a tutto, ma poi finisce che ci si suicida. Siamo nella fase intermedia fra l’annaspamento sulle scialuppe di un impossibile salvataggio e il definitivo naufragio. Il partito democratico, nonostante tutto rimane l’unica possibilità di salvezza vera: chi vende salvezza finta lo ha capito e ne ha fatto il nemico. I poveri devono avere uno scatto di dignità fatto di pazienza e scegliere tra l’illusione di non affogare e l’attesa di una concreta ciambella di salvataggio. Scelta difficile, ma obbligata. La lamentazione affascina, Grillo diverte, Renzi non piace, Gentiloni traccheggia. Che sia Mattarella il punto d’attacco? E come? E quando? Non lo so.

A chi tocca leva

È stato varato il governo Gentiloni. Non va bene quasi a nessuno, come sempre… Bene le critiche, ma il governo lo vara il Capo dello Stato e la fiducia gliela concede il Parlamento. Fortunatamente il Presidente Mattarella, dopo avere puntualmente e rigorosamente ascoltato tutti, ha deciso: l’Italia ha bisogno di un governo, delle elezioni se ne riparlerà semmai dopo che il Parlamento avrà varato, possibilmente a larga maggioranza, una legge elettorale che risponda al quadro istituzionale ripristinato dal referendum ed alle esigenze di rappresentatività e governabilità del Paese.“Linea al collega che stava parlando”, dicevano un tempo i cronisti di tutto il calcio minuto per minuto, costretti ad interrompersi e a darsi sulla voce. “Linea all’Istituzione a cui tocca di operare”, sembra dire Sergio Mattarella. Molto bene!Il governo Gentiloni da una parte riscontra l’ignorante avversione e contrarietà da parte degli “elezioni continue”, quelli che, ringalluzziti dal risultato referendario, vorrebbero andare subito alle urne (cosa che la Costituzione prevede ogni cinque anni), vorrebbero un governo eletto dal popolo (cosa che la Costituzione non prevede, configurando una repubblica parlamentare), vorrebbero sciogliere le Camere ad ogni piè sospinto (cosa che la Costituzione riserva al Presidente della Repubblica), vorrebbero votare immediatamente (cosa impensabile senza una valida e armonica legge elettorale), vorrebbero aspettare il responso elettorale prima di governare (cosa assurda visti i problemi e gli impegni assillanti che ha il Paese a tutti i livelli).Dall’altra parte si richiedeva comunque al Pd, nonostante il passo indietro di Renzi, di farsi carico di una soluzione governativa ponte per non lasciare il Paese allo sbaraglio in balia delle onde post-referendarie e in attesa delle (de)rive elettorali. Quasi tutte le altre forze politiche si sono dichiarate rigidamente e acidamente indisponibili a qualsiasi forma di governo allargata.Il Presidente Mattarella su questo punto è stato consequenziale e intransigente ed ha preteso un governo che potesse governare perché, prima dei partiti e delle loro mire, vengono i problemi degli Italiani, terremotati in primis.Ma è un governo fotocopia! Così hanno detto in tanti. Gli elettori al referendum hanno chiesto un forte cambio di indirizzo politico. Veramente gli elettori hanno solo bocciato una legge di riforma costituzionale (molti fautori del No, stanno cautamente prendendo le distanze dall’inevitabile disfattismo, anche se è un po’ tardi). Sì, ma c’era in ballo molto di più: la protesta dei giovani e del meridione. Ma questo di più, che andrebbe approfondito e valutato attentamente e non sbrigativamente come sta avvenendo, avrebbe comunque bisogno di conferma a livello di elezioni politiche (“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” e non semplicisticamente a furor di referendum). Si torna da capo.E allora, come avrebbe potuto il Pd, forza di maggioranza, voltare pagina, cestinare o distruggere il proprio operato e la propria classe dirigente in una furia iconoclasta verso i suoi stessi simboli personali e programmatici. Cambio di premier (il precedente si è irrevocabilmente dimesso), qualche ritocco alla compagine governativa e al programma, e poi pedalare…Ecco spiegato il governo Gentiloni. Chi è favorevole, chi è contrario, chi si astiene?

Bianchi, rossi e…Verdini

Solo i verdiniani sarebbero impresentabili e il PD si dovrebbe vergognare di averne talora l’appoggio? E Berlusconi quando fece il pieno elettorale in Sicilia pensiamo che non avesse cavalcato certi legami con la mafia? Poi con lui si fece la grande coalizione, prima per sostenere Monti e poi per appoggiare Letta. Salvo avere da ridire sul coinvolgimento di Forza Italia proprio sulla riforma costituzionale da parte di Renzi (cosa tentata in passato e clamorosamente fallita da D’Alema): era il giusto approccio non tanto per sdoganare o riabilitare un Berlusconi messo fuori gioco per motivi giudiziari, ma per dare alla riforma un respiro parlamentare oltre il recinto della maggioranza di governo. Questo passaggio, fu improvvisamente e pretestuosamente interrotto nel 2015 da parte berlusconiana per l’elezione di un Presidente della Repubblica non troppo gradito e per la solita paura di alienarsi le simpatie leghiste e filo-leghiste, dopo che Forza Italia aveva ripetutamente votato a favore della riforma in base all’accordo del Nazareno. Ebbene tutto ciò viene bellamente dimenticato dai protagonisti forzitalioti di oggi presentatisi alle consultazioni di Paolo Gentiloni suonando due spartiti con due diversi musicisti (Brunetta e Romani): il primo ha fatto il duro attaccando Renzi, il secondo ha cucito aprendo spiragli collaborativi verso Gentiloni in nome di una fantomatica discontinuità. Berlusconi non c’era: quando c’è da fare la figura del pirla preferisce stare in disparte. Ma la cosa più curiosa è stato affermare che Renzi ha gestito la riforma costituzionale e quella elettorale a livello di governo, mentre in realtà esisteva un patto collaborativo proprio con questi signori, che prima se ne sono vergognosamente sganciati e oggi addirittura lo misconoscono. E nessun giornalista che assiste ai riti ha il buongusto di farglielo rilevare in diretta. Ormai la politica, come sta dimostrando la vicenda Trump, è preda della post-verità. Si sparano balle a tutti i livelli e in tutti i modi al punto che diventa quasi impossibile controbattere, le balle diventano verità, la società muore.Dopo questa breve divagazione punto alla sinistra dem ed alla sua mancanza di strategia.È arrivato il referendum sulla riforma costituzionale: il piatto forte per la sinistra dem, che ha giocato tatticamente su questo tavolo tutte le sue residue carte politiche, non facendosi scrupolo di allearsi almeno indirettamente con cani e porci (altro che Verdini…), pur di sfrattare l’ingombrante Renzi. Risultato ottenuto, ma a quale prezzo? A prezzo di una assurda debacle politica. L’area della maggioranza politica si è addirittura ancor più chiusa a sinistra; il programma governativo è lo stesso; il governo è presieduto da un renziano convinto. Non solo ma Gentiloni fa parte del gruppo (per la verità non entusiasmante) dei pulcini della chioccia Rutelli, i quali non hanno mai sopportato la Ditta, cioè la nomenclatura post-comunista che per anni ha avuto il controllo del Pd. Gentiloni così ricorda il momento in cui Renzi diventò segretario del Pd: «Il giorno più bello è stato quando Renzi ha vinto le primarie: lì abbiamo battuto il Moloch comunista»; Matteo Renzi rimane saldamente segretario e si dedicherà ancor più al partito convocando a tambur battente il congresso, puntando decisamente alla riconferma dopo aver rinsaldato attorno a sé la stragrande maggioranza negli organi di partito e rinverdito il feeling con la base del partito (iscritti ed elettori).Al contrario, la sinistra dem risulta divisa al suo interno, intenta solo a guadagnare tempo, senza candidature consistenti per la segreteria, con il rischio di isolamento rispetto alla base elettorale del partito (non a caso chiede le primarie limitate agli iscritti: evviva la partecipazione e il collegamento con la società!) che le contesta la macchia indelebile di aver tramato contro il partito stesso (i grillini fanno l’antipolitica, la sinistra dem fa l’antipartito, il proprio), scavalcata da una parte dall’extra-sinistra ragionevole avviata a proporre un patto al Pd, dall’altra dalla extra-sinistra dura e pura vocata alla minoranza perpetua.Giovanna Casadio scrive: «La sinistra interna potrebbe sfilarsi da un congresso-referendum su Renzi. Lasciano trapelare la disobbedienza, che sarebbe l’anticamera della scissione, quella che hanno sempre escluso anche nei giorni del No al referendum costituzionale e degli aspri botta e risposta con i renziani». Sembrano addirittura non fidarsi e chiedere che sia un comitato a gestire il congreso garantendo imparzialità. Siamo a questo punto. Non resta loro che continuare scopertamente a fare i guastatori, gioco che diventerà scopertamente difficile a livello parlamentare, vista l’esigua maggioranza al Senato (Verdini infatti ha preso le distanze con la sua pattuglia).Siamo ben oltre una vittoria di Pirro, questa è la brutta e ingiusta fine dell’eredità post-comunista: Togliatti e Berlinguer si rovesceranno nella tomba (il secondo in compenso ha la figlia che continua imperterrita a corteggiare televisivamente Massimo D’Alema).

Le gentilone risposte al fronte del No

Non posso credere che la sarabanda promossa col No alla riforma costituzionale fosse prevalentemente (o esclusivamente) volta a colpire il prestigio, la figura e il ruolo di Matteo Renzi. Se invece fosse stato così, il risultato, almeno momentaneamente, sarebbe stato raggiunto: Renzi è tornato formalmente a casa.Ma penso che il discorso politico precedente e successivo alla vittoria del No fosse assai più complesso: sovvertire l’equilibrio politico-governativo per poi, nel segno della totale discontinuità, andare precipitosamente alle urne. Obiettivi completamente mancati, complice la freddezza istituzionale di Sergio Mattarella e le preoccupazioni europee.Mattarella ha stoppato inequivocabilmente le smanie elettorali imponendo un percorso, che, al di là degli attesi e imminenti pronunciamenti della Corte costituzionale sulla legge elettorale recentemente varata (il cosiddetto Italicum), garantisca una omogeneità di regole tra Camera e Senato, una corretta rappresentatività dei cittadini, una razionale funzionalità delle Camere e una stabilità e continuità di governo.Poi dal contesto europeo e mondiale è venuta direttamente e indirettamente una pressante richiesta di poter contare su un governo autorevole che operi nel segno della continuità e senza sbandamenti nei delicati rapporti esistenti a livello internazionale.Quindi, nonostante la penosa, insistente e velleitaria litania per una svolta immediata e per il ricorso frettoloso alle urne, ci troviamo con un governo nei pieni poteri, senza limiti di tempo, nel segno della continuità e della stabilità di governo, nel perimetro della precedente rinsaldata maggioranza. Un governo che qualcuno ha definito ironicamente un “Renzi bis senza Renzi” e che ha scatenato la rabbia di quanti pensavano che valessero i loro calcoli in cui due + due fa quattro, mentre in politica le cose sono (fortunatamente) più complicate e non basta urlare nelle piazze o sul web per cambiare le situazioni. In passato qualcuno aveva ipotizzato come spesso alle piazze piene corrispondano urne vuote: questa volta addirittura si può dire che a urne piene corrispondono spazi istituzionali vuoti e regole costituzionali nette.Scrive Michele Serra: «Ora che la Costituzione, restituita alla sua collocazione originale, come la Gioconda scampata a un viaggio tempestoso e indesiderato, può essere contemplata con calma, tutti possono verificare che non c’è neanche una riga che assegni al Popolo e non al parlamento il diritto di eleggersi un nuovo governo, come tutti vorremmo domattina, massimo domani pomeriggio. E neanche una riga che levi ai Quirinale il dovere di spremere da ogni legislatura quello che gli riesce, anche fossero le poche gocce del governo Gentiloni o affini. Del resto, tecnicamente, il No questo era: tutto azzerato, dunque tutto come prima di Renzi e anche prima di prima di Renzi».Sul piano politico al centro della scena rimane il Pd, forza di maggioranza, nonostante i protagonismi da strada dei Cinque stelle e della Lega, al punto che tutto il quadro rischia di essere condizionato dal congresso del Partito democratico: probabilmente lo si celebrerà in tempi ravvicinati e dovrà delineare la strategia del partito, la sua classe dirigente, i tempi e i modi di governo, nonché prefigurare i percorsi politici futuri.Gli autori della precedente legge elettorale (il cosiddetto Porcellum) riconducibili al centro-destra (artefice principale del capolavoro: Roberto Calderoli della Lega), in base alla quale sono state elette le attuali Camere, l’avevano pensata e varata solo ed esclusivamente per mettere i bastoni fra le ruote di un incombente vittoria del centro-sinistra. Ebbene, dal momento che anche in politica il diavolo insegna a fare le pentole e non i coperchi, questa legge ha finito per dare e garantire una centralità, persino esagerata, al Pd, complice anche lo sfarinamento progressivo di Forza Italia.Gran parte del discorso politico ruota quindi attorno al Pd e non a caso al suo interno si sono da tempo scatenate rivalità correntizie, personalismi storici, visioni alternative: per anni fu la Democrazia Cristiana il perno della politica italiana e al suo interno si giocavano le questioni fondamentali del Paese. C’era un fortissimo partito di opposizione, il Pci, che sapeva fortunatamente stare al suo posto, aveva una notevole maturità istituzionale, un forte ancoramento costituzionale e riusciva a condizionare gli andamenti, funzionando come “governo ombra”, partito di lotta e di governo, dotato di personaggi altamente carismatici e rappresentativi delle istanze popolari (senza essere populista).Tornando ai giorni nostri non so se il Pd avrà il senso dello Stato della Dc, mentre sono certo che grillismo e leghismo non hanno sfortunatamente nulla da spartire con l’eredità comunista: sono impiccati infatti all’albero dell’antipolitica, sono chiusi nel magazzino del loro populismo d’importazione, hanno merce spendibile al mercatino, ma le loro bancarelle non entrano nel vero e proprio mercato. Sono convinto che l’elettorato italiano li voti e li voterà fino al momento in cui i giochi si faranno pesanti; allora i Grillo e i Salvini diventeranno figure meramente folkloristiche e continueranno, non so per quanto tempo, a giocare solo nei cortili recintati dell’antipolitica politicante.Sulla portata velleitaria del cambiamento con le cambiali firmate a questi personaggi inaffidabili, che vogliono uscire dall’Europa, scrive Eugenio Scalfari: «In fondo anche i No referendari volevano un cambiamento. Con Grillo e Salvini? Per l’Italia purtroppo è avvenuto, spesso ci scordiamo delle pessime esperienze vissute. La storia dovrebbe insegnarlo, soprattutto ai giovani: essi hanno votato il No in massa. Ora dovrebbero rileggersi alcuni classici della nostra storia politica e sociale fino in fondo. Il No vuole un vero cambiamento in avanti o all’indietro?».E il Pd? Dovrà fare i conti non tanto con le dispute tra Renzi e Bersani, ma dopo aver evitato di incartarsi nello storico ma nominalistico contrasto tra social-democrazia e social-liberismo, dovrà puntare ad una sinistra umanista, ambientalista, pragmatica, di governo, europeista, mondialista, che sappia tuttavia mettere regole e limiti al rigorismo europeo e alla globalizzazione e che sappia affrontare, in modo aperto ma razionale, il discorso dell’immigrazione.E il gruppo dirigente? Non vedo alternative serie a Matteo Renzi se saprà aprire qualche ponte e abbattere qualche muro. Se le alternative provenienti dalla cosiddetta sinistra dem si riducono alle infantili velleità di Roberto Speranza, ai tronfi proclami periferici di Michele Emiliano, ai nostalgici richiami di Enrico Rossi o addirittura ripiegano sul maligno ritorno del “molochiano” Pier Luigi Bersani, penso che Renzi farà il segretario dem per molto tempo, forse persino troppo.Messaggio in codice al fronte del No, interno ed esterno al Pd: tanto tuonò che non piovve.