Ius culturae et simulatio publica

Sono due le foglie di fico che i più moderati, ma pericolosi, esponenti politici, tentennanti sul discorso dello ius soli e dello ius culturae, pongono a copertura della loro posizione vergognosa e strumentale: questa legge non deve essere tema elettorale e quindi va rinviata ad un momento più adatto al confronto pacato, che oltre tutto in questo momento storico si fa tanta fatica a creare; il problema della cittadinanza, pur essendo di competenza nazionale, richiederebbe regole omogenee a livello europeo.

I politicanti non si smentiscono mai. Perché il discorso non può essere affrontato nell’imminenza di una competizione elettorale? Molto semplice. Perché non si vogliono perdere consensi nel caso di un voto favorevole e ancor peggio si vogliono conquistare consensi cavalcando furbescamente le assurde paure che una cittadinanza accogliente possa essere scambiata per una spinta all’immigrazione. Come se un povero disgraziato, che pensa disperatamente di scappare dal suo Paese, stesse a guardare cosa fa il Parlamento italiano in materia di cittadinanza, roba che riguarderà semmai fra diversi anni i suoi figli, mentre lui ha letteralmente l’acqua alla gola e rischia di non sopravvivere oggi. Chi è gia in Italia, alle condizioni previste dal progetto di legge, regolarizzerà la sua posizione e aggiungerà doveri ai diritti di una civile convivenza democratica. Tutto qui con buona pace di chi vuole rincorrere l’opinione pubblica sfruttandone le paure e fingendo di voler legiferare al meglio, che in questo caso è nemico del bene.

Perché dovremmo aspettare una preventiva armonizzazione delle legislazioni vigenti in materia a livello europeo, tra l’altro ben più aperturiste di quella in discussione da anni al Parlamento italiano? Come mai questa improvvisa conversione europeista, quando dell’Europa non frega niente a nessuno? Serve solo a prendere tempo, a rinviare l’assunzione di responsabilità, a sciogliere nel brodo europeo un problema facile-facile, ma evidentemente scomodo-scomodo, se è vero, stando ai sondaggi che la maggioranza degli italiani sarebbe contraria a questo provvedimento (sono sicuro che come al solito si esprime un giudizio senza aver capito la sostanza del problema e quindi si va a lume di naso, fuorviati da chi grida più forte). Si tratta di mero populismo ossia di dare ragione al popolo senza spiegargli di cosa si sta parlando.

A queste capziose e felpate argomentazioni, tutto sommato, preferisco le triviali espressioni di chi non nasconde la propria contrarietà di principio all’immigrazione ed a tutto quanto sia ad essa comunque riconducibile (almeno ha il coraggio di dire fino in fondo come la pensa e fa il gioco strumentale allo scoperto).

Ma c’è un’altra chicca in questo dibattito e purtroppo viene da sinistra: così come a destra si cavalca lo ius soli per farne un punto fermo contro l’immigrazione, a sinistra si ideologizza lo ius soli per mettere in difficoltà il governo e il Pd. Cosa deve fare il Pd se si accorge di non avere la maggioranza sufficiente per varare questo provvedimento? Deve andare a sbattere per mettere in crisi il governo e a repentaglio l’ultimo delicato scorcio di legislatura, che doveva proprio servire a varare alcuni provvedimenti fra cui lo ius soli? Strano modo di fare politica, anche in questo caso solo per rubare a sinistra qualche voto a Renzi. Poveri stranieri in attesa di diventare cittadini italiani! Mi permetto una battuta finale: forse sono ancora in tempo per scappare dall’Italia e tornarsene a casa loro. Sarà questo, sotto-sotto, quello a cui puntano i razzisti dichiarati e quelli camuffati? Donald Trump ha proprio l’intenzione di spegnere il sogno degli stranieri che si considerano americani, ma che lo sono precariamente. L’aria che tira è questa.

 

 

Il volto indecente della povertà

“E non dimenticatevi di pregare per me!”. È il ritornello finale degli interventi di papa Francesco. Da parecchio tempo mi sono convinto che questa insistente richiesta di preghiera su di sé sia dovuta alle crescenti difficoltà della sua azione pastorale. Probabilmente si sta accorgendo che quando si tratta di passare dalle parole (accolte sempre con applausi) ai fatti (accolti con mugugni e scetticismi), la situazione si fa difficile.

Tutte le occasioni possono essere buone per ridimensionare la forza dirompente del suo messaggio. I modo sono tanti. Qualcuno sostiene che non stia dicendo e facendo nulla di nuovo, solo una difesa populista delle tesi tradizionali. Altri temono che stia svendendo i valori cristiani facendo demagogia in giro per il mondo. Altri ancora non perdono occasione per mettergli i bastoni fra le ruote per dimostrare che vive nel mondo dei sogni. Altri si stanno preparando alle rivincite, convinti che prima o poi arriverà l’occasione per tentarle.

Papa Francesco non deve mollare. Sul piano della Chiesa istituzionale deve cercare di tradurre le sue tesi innovative in riforme strutturali e procedurali. Dal punto di vista pastorale deve esigere rispetto per le sue indicazioni. Altrimenti finisce come quando Amintore Fanfani segretario della democrazia cristiana faceva coraggiosamente, in Sicilia, discorsi infuocati contro la mafia e in prima fila c’erano i mafiosi che lo applaudivano freneticamente.

La recente ripulitura di piazza San Pietro, dalla presenza dei poveracci per motivi di decoro e di sicurezza, papa Francesco non la doveva accettare. C’è sempre un motivo valido (?) per sloggiare gli accattoni. Lui li aveva aiutati, li aveva invitati alla sua mensa, ne aveva fatto una questione di accoglienza evangelica. Poi, improvvisamente, con la scusa di evitare infiltrazioni terroristiche e di restituire allo sfarzo artistico il colonnato del Bernini, gli straccioni se ne devono andare. Gli sporcaccioni in materia di affari e di sesso sono stati sopportati per anni e anni e forse lo sono ancora (il papa proprio negli stessi giorni lo ha pubblicamente ammesso), i senza dimora invece non possono restare in Vaticano o vicino al Vaticano. Strane misure…

Caro papa Francesco, faccia rientrare questo provvedimento assurdo che va in controtendenza rispetto alla sua mentalità. La metta giù dura! Non ceda il passo ai normalizzatori del cavolo. Non faccia come Giuliano Amato che, da ministro degli Interni, voleva fare la guerra agli accattoni e non era stato capace di dire nemmeno una parola contro i mercanti socialisti. Gesù ha cacciato i mercanti dal tempio, i poveri li ha toccati solo per risanarli ed aiutarli. I lebbrosi erano ben più pericolosi degli accattoni odierni e Gesù li toccava, li guariva, li riammetteva nella comunità.

Gesù è stato intransigente, non ha ceduto di un millimetro ai forti, ha concesso tutto ai deboli. Papa Francesco ha adottato questo stile, ma non deve avere ripensamenti, perché altrimenti finisce tutto. La bomba più pericolosa per il Vaticano non è quella del terrorismo islamico, ma quella del conservatorismo religioso. Chi deturpa l’immagine vaticana non sono i poveri cristi, ma certi cardinaloni e i tromboni dei palazzi.

 

La catena di montaggio della sala parto

Non sono un patito delle statistiche, delle ricerche e delle indagini, ritengo tuttavia, che pur non fornendo dati da prendere alla lettera, segnalino certe tendenze e osservino certe realtà. Da una ricerca Doxa esce il dato sconvolgente che negli ultimi 14 anni sarebbero state circa un milione le madri in Italia, pari al 21% del totale, vittime di qualche forma, psicologica o fisica, di violenza ostetrica alla loro prima esperienza di maternità, donne che sarebbero state “maltrattate” in corsia durante il parto.

Qualcosa sotto ci dovrà pur essere di vero e di inaccettabile. Bisogna andare adagio nello squalificare e colpevolizzare una struttura e tutti coloro che in essa operano, non basta un’autorevole ricerca a sputtanare tutti i reparti di ginecologia ed ostetricia del Paese, ma un po’ di verità ci potrà pur essere. Tra l’altro di   questo strano e incontrollato fenomeno si è sempre sentito parlare: vox populi, vox dei e vox statisticae!

Vai a capire il perché. Probabilmente in sala parto si scontrano la meravigliosa, ma delicata e rischiosa, situazione psicologica e fisica della donna con la solita routine ospedaliera: la fabbrica dei bambini, la catena di montaggio dei parti non ammette di andare per il sottile. Un conto è però la freddezza sanitaria, un conto è il maltrattamento. Non entro nel merito in cui peraltro entra la ricerca Doxa.

Mi viene spontaneo fare una riflessione provocatoria. La stragrande maggioranza degli operatori sanitari risulta essere obiettore di coscienza in materia di aborto. Ci sarebbe da discutere, ma il mio ragionamento è un altro. Come mettono d’accordo, questi medici e infermieri, la loro oltranzistica difesa della vita con il fatto di accoglierla in modo violento o comunque non adeguato. C’è una contraddizione palese! Da una parte si vorrebbe che la donna partorisse il figlio a tutti i costi per poi dall’altra maltrattarla proprio mentre dà alla luce il figlio stesso. Misteri della struttura sanitaria e di chi vi opera dentro.

Ammetto che la donna viva quei momenti con una carica psicologica particolare e quindi possa essere particolarmente e forse esageratamente sensibile ai comportamenti che le stanno intorno. Di qui a giustificare veri e propri maltrattamenti ce ne passa di strada.

Forse invece di sollevare questioni di principio sarebbe il caso di comportarsi bene nelle faccende concrete del quotidiano. C’è di che riflettere per tutti e di che indagare e intervenire per i responsabili della sanità ai vari livelli.

Una cosa è certa: l’evento più bello per una donna, ma anche per la sua famiglia e per tutta la società, rischia di essere rovinato da comportamenti trasandati, “routinari”, per non dire di peggio. Se è questo il sostegno alla maternità di cui ci si riempie la bocca, andiamo proprio bene.

Non è il miglior viatico per chi deve scegliere se diventare madre oppure no, né per chi deve decidere se diventarlo per una ulteriore volta. A giudicare dal numero di studenti che frequentano le facoltà di psicologia non dovremmo avere problemi a trovare psicologi da immettere nei reparti di ginecologia e in sala parto. Ho cominciato dicendo che non credo molto nella statistica. Termino affermando che non credo molto nella psicologia. Ma visto che la statistica ci consegna un quadro choccante e allarmante, visto che la deontologia professionale non è sufficiente, proviamo ad allargare il campo. Sarà il caso di rispondere battendo un tasto, magari proprio quello della psicologia.

Smartphone? Presente!!!

In materia di telefoni cellulari e successive modificazioni e integrazioni sono rimasto a quanto diceva il famoso e acutissimo giornalista Rai Andrea Barbato: in una delle sue simpatiche cartoline, inviate dagli studi di non ricordo quale canale della televisione pubblica, affermava di ammettere la necessità dei telefonini solo ed esclusivamente per i sacerdoti, chiamati con urgenza al capezzale dei moribondi, e per le ostetriche, chiamate con altrettanta urgenza in caso di incipiente parto. In mezzo, a parere di Barbato, solo fuffa telefonica.

Ebbene, pur essendomi personalmente e relativamente piegato all’incedere del progresso (?), mantengo le mie opinioni molto simili a quelle del prestigioso giornalista dell’epoca. Qualche giorno fa, osservando il passeggio delle persone regolarmente incollate ai loro smartphone, mi sono chiesto: se il tempo, dedicato a tutte le chiacchiere e le informazioni inutili che transitano da questi diabolici aggeggi, fosse impiegato per leggere, studiare e dialogare seriamente sui problemi reali, la nostra società farebbe un balzo culturale in avanti.

Non l’avessi mai pensato: sono stato immediatamente smentito dalla ministra della Pubblica Istruzione, Valeria Fedeli, che ha previsto l’ammissione e l’uso in classe di questi strumenti con tutto il dibattito conseguente, tra favorevoli e contrari. Speriamo di non arrivare a un referendum in materia, per il quale mi prenoto con un colossale NO.

Perché? Fino a prova contraria a scuola ci si dovrebbe andare per imparare e per imparare bisogna concentrarsi sulle materie proposte e non girarci intorno, occorre andare a fondo, capire, memorizzare, discutere, approfondire, etc. etc.

Per raggiungere questi scopi esiste il docente che si avvale di strumenti, dai libri alle lavagne più o meno luminose. Gli smartphone servirebbero solo a bypassare gli insegnanti e a distrarre gli alunni, emarginando quindi i protagonisti e facendo dominare la scena al web, questa creatura impalpabile, sgusciante e fuorviante.

Nella mia vita professionale ho fatto in tempo ad usufruire, a livello convegnistico, della proiezione di slide, per seguire le quali rinunciavo a prendere appunti, seguendo il ragionamento del conferenziere di turno che commentava e interpretava le slide stesse. Quando a distanza di qualche tempo, rispolveravo i contenuti del convegno, non mi ricordavo più niente, sfogliavo le slide e non mi dicevano nulla, appunti non ne avevo, tutto si era volatilizzato. Gli appunti, i sani appunti, i libri, i sani libri dove erano finiti? Tra di me pensavo, se tanto mi dà tanto, agli studenti, che si formano sulla base di queste metodologie d’avanguardia, alla fine cosa rimarrà in testa.

Il tempo è passato e il problema si è ingigantito al punto da mettere in crisi la massima autorità in materia di insegnamento. È vero che ogni strumento non è buono o cattivo di per sé, ma la sua positività e utilità dipendono dall’uso che ne viene fatto, ma è altrettanto vero che non si può mettere un coltello in mano a un infante. Mio padre non voleva che mia sorella, da piccola, usasse aghi e forbici per imparare a cucire (mia madre oltretutto faceva la magliaia e poteva sovrintendere con una certa cognizione di causa): temeva che si potesse infilzare gli occhi e non era una preoccupazione assurda, un timore da matusa.

Non so se lo smartphone possa essere considerato in assoluto uno strumento pericoloso, non vorrei esagerare, ma certamente non è lo strumento ideale per frequentare al meglio le aule scolastiche. Con buona pace della ministra, dei rivenditori di smartphone e di chi pensa che il cervello (e il cuore) possa essere sostituito da una macchinetta prodigiosa. Penso di essermi spiegato anche se sono sicuro di venire conseguentemente catalogato nella categoria dei retrogradi.   Pazienza, l’età e la mentalità lo possono comportare.

 

 

P.S. Chi volesse rovistare ulteriormente su come la penso in argomento, può leggersi, spero con una certa simpatica leggerezza, quanto contenuto in questo sito alla sezione libri: “Dialogo tra un trolley ed uno smartphone – CHE STRANA GIOVENTU’…”

 

Prostituzione, spaventiamo i clienti e tutto (non) sarà risolto

Siamo alle solite: i problemi si vogliono risolvere dal fondo, come se a dipingere una parete si cominciasse dal basso e non dall’alto. È il caso della lotta alla prostituzione sulle strade, dietro cui si cela un fenomeno di sfruttamento, sarebbe meglio dire di vero e proprio schiavismo di minorenni, soprattutto immigrate, attirate in uno spietato racket dove le ragazze che restano impigliate rischiano di non liberarsi più, pena la tortura, la morte di se e dei propri famigliari in patria. Ho letto qualche tempo fa alcuni reportage sulle violenze subite da queste donne: non sono riuscito a proseguire, ho dovuto interrompere la lettura tanto era l’orrore.

Fino a qualche tempo fa si tendeva a “sputtanare le prostitute” con vere e proprie retate, in cui queste persone venivano trattate come carne da macello. E i protettori? Ben protetti e ben nascosti!

Adesso si è passati ai clienti con sanzioni pesanti e sputtananti per coloro che ricorrono a questo mercato stradale. E i protettori? Ben protetti e ben nascosti!

Non ne ho le prove, sarà, lo ammetto, un processo alle intenzioni, tutto però mi lascia credere che le forze di polizia conoscano per filo e per segno questo fenomeno, sappiano benissimo chi sono gli sfruttatori (d’altra parte non è difficile risalire ad essi), ma abbiano paura, perché in quegli ambienti non si scherza e si rischia la pelle (è mafia!) e quindi scattino comportamenti omertosi (in qualche caso addirittura complici di questo vomitevole caravanserraglio). Pensiamo se la mano dura contro i rivoltosi della politica (i no global di Genova ad esempio), la usassimo contro gli schiavisti del sesso…Certo, risulta più facile massacrare di botte un giovane ribelle, che andare dentro certi ambienti dove anche per i poliziotti la coltellata è dietro l’angolo.

L’intelligence, che in Italia sembra assai efficiente almeno rispetto agli altri paesi europei, sa tutto di tutti, si spendono somme enormi per intercettare le telefonate, si ha la netta sensazione di una schedatura di massa, bisogna stare attenti a quel che si dice perché potrebbe costare assai caro. Non mi vengano a raccontare che non si sa o non si può sapere chi siano gli schiavisti del sesso!

Allora, è più comodo colpire l’ultimo anello della catena. A parte che la prostituzione d’alto bordo o al coperto la farebbe comunque franca, non sono assolutamente d’accordo sulla criminalizzazione dei clienti. Se tutti avessero una regolare ed esemplare vita sessuale il problema non esisterebbe, ma non è così. Gli uomini non sono tutti dotati di regolari mogli e fidanzate, molti sono “costretti” ad arrangiarsi pur di trovare uno sfogo alle loro pur normali pulsioni sessuali (non giustifico, ma cerco di capire). Non facciamo del moralismo che, in questo caso, va d’accordo con semplicismo. Non facciamo come una certa Chiesa che nega l’uso del preservativo, perfino per proteggersi dall’aids, puntando tutto sulla moralizzazione dei costumi.

È così per il problema delle droghe. Non si legalizza niente, perché ci si nasconde dietro battaglie di principio e poi si riempiono le carceri di consumatori o di piccoli spacciatori. E il commercio della droga va a nozze.

Allora dobbiamo avere il coraggio di legalizzare e controllare a valle questi fenomeni, togliendo ad essi buona parte del retroterra clandestino, mentre a monte ci dobbiamo concentrare sulla lotta agli sfruttatori ed agli affaristi della droga e del sesso.

Magari non lasciando al solito e benemerito volontariato il compito di offrire occasioni di liberazione a queste ragazze, accogliendole ed aiutandole sul serio, senza pretendere da esse la vocazione al martirio.

Con tutta la simpatia per le buone intenzione del sindaco di Firenze e del ministro Minniti e pur condividendo la battaglia etica da non confondere col moralismo di facciata, mi pare che si stiano sparando cannonate alle mosche (la mobilitazione della polizia urbana per accertare le infrazioni: mi viene da ridere al pensare quante sanzioni verranno effettivamente comminate in base a prove tante risibili e contestabili), mentre agli elefanti si fa il solletico (conviene, come dicevo sopra, per scelta di comodo).

Non mi trincero dietro i luoghi comuni della prostituzione quale mestiere antico ed ineliminabile, ma non mi illudo che improvvisamente i clienti siano spariti per la paura o siano diventati stinchi di santo. Se fosse così bisognerebbe mettere la pena dell’ergastolo per ogni e qualsiasi reato, dopo di che tutti righeremmo dritti come fusi. Ma fatemi il piacere…

 

Di Maio concepito nella provetta grillina

Di fronte ad un neonato gli atteggiamenti tipici e ricorrenti sono due: la spasmodica e quasi maliziosa ricerca delle somiglianze e l’ansiosa previsione del futuro. A chi assomiglia? Cosa farà da grande? Mio padre, in merito alle somiglianze, di me diceva: «Al m’ somilia da chi in zo!» segnando la cintola dei pantaloni.

Ebbene, il giorno in cui è nata la candidatura ufficiale, peraltro preparata da una scontata e rigorosamente grillesca gestazione, a capo del governo da parte del movimento cinque stelle, vale a dire quella di Luigi Di Maio, ho avuto per combinazione l’opportunità di rivedere una trasmissione di Rai Storia sui primi anni della Repubblica Italiana ed in particolare su Alcide De Gasperi, che ne fu il lungimirante, prestigioso e autorevolissimo presidente del Consiglio, ricco di intuizioni quasi profetiche (pensiamo ad Alleanza Atlantica ed Europa Unita), capace di governare il nostro Paese in un periodo difficilissimo, portandolo fuori dalle tremende secche del dopo-guerra.

Mettendo a confronto i due personaggi, senza mancare loro di rispetto, mi è venuto spontaneo usare la battuta paterna: «Si assomigliano politicamente dalla cintola in giù…». Sono infatti esterrefatto di fronte alla debolezza politica, culturale, umana della candidatura Di Maio: un minus habens che si è montato la testa, un presuntuoso, come tutti gli ignoranti, alla spasmodica ricerca di una carriera fulminante, un personaggio che, ai tempi della cosiddetta prima repubblica, avrebbe sì e no potuto ricoprire l’incarico di segretario di una sezione di partito (di quelle piccole e periferiche).

Allora i casi sono due, dal momento che nutro una certa considerazione dell’intelligenza, forse sarebbe meglio dire dell’astuzia, di Beppe Grillo, che continuo a considerare leader insostituibile di questo movimento e pensando, nella parafrasi del titolo di un noto film, che nei pentastellati sotto Grillo non ci sia niente. O Grillo si è stufato delle risse da cortile del suo pseudo-partito, delle immaturità e incapacità dimostrate sul campo dai suoi adepti, della estrema debolezza di una classe dirigente capace solo di sbraitare a vanvera e quindi se ne vuole rapidamente liberare cooptando alla successione della sua leadership questo ragazzino viziato; oppure vuole continuare a tenere saldamente in pugno e in scacco la dirigenza dei cinque stelle consacrandone la precarietà tendente alla nullità.

In entrambi i casi farebbe gioco un personaggio squallido da cestinare in brevissimo tempo o da manovrare come un burattino: siamo arrivati a questo punto. E pensare che una buona percentuale di italiani sembrerebbe orientata a votare per questi parvenu della politica, che pretenderebbero di cambiare il mondo gridando qualche slogan e facendo girare la trottola del web.

Non ci credo, pur ammettendo che spesso le forze politiche sembrano fare di tutto per spianare la strada all’antipolitica: sono convinto che Grillo la pensi come me e stia conseguentemente tirando i remi in barca, prima di fare una pessima figura e chiudere malamente bottega. Staremo a vedere,   intanto, come diceva la pubblicità di un detersivo, provino gli Italiani a fare l’esame finestra a Luigi di Maio, mettendolo a confronto con tutti i presidenti del consiglio che si sono succeduti a Palazzo Chigi nella storia repubblicana. Ne uscirà una prospettiva piuttosto nera, ancora in tempo per adottare le giuste contromisure, prima che la culla grillina diventi la bara italiana.

 

I boss e Bossi

Premetto che mi considero un perdente, un nostalgico, un pessimista, un insicuro, e può bastare così. Sono portato a rivalutare il passato dopo aver criticato impietosamente il presente. “Si vive anche di ricordi” è un po’ il (patetico?) leit motiv della mia collanina editoriale. Questa confessione autocritica mi serve a mettere le mani avanti, perché mi accingo forse ad esagerare nelle mie riflessioni pseudo-politiche.

Se mi poneste il solito quesito della torre, tra Matteo Salvini e Umberto Bossi non avrei esitazioni su chi buttare giù e lo farei convintamente. A parte la simpatia che ispira Bossi nella sua ruvida ma genuina verve politica, a parte la coerenza di un percorso storico tutto sommato rispettabile, a parte la tenerezza che ispira nella sua evidente menomazione, a parte il suo indiscutibile fiuto di animale politico, a parte il carisma che non è acqua fresca, a parte la mancanza di cattiveria che lo ha sempre reso accettabile anche dagli avversari, a parte che lo stimo un galantuomo, semmai un po’ ingenuo al punto da essere trascinato in trappole finanziarie tese dai profittatori della sua situazione di debolezza fisica e psichica, a parte che, pur nella sua istrionica smania di novità, non metteva in discussione i fondamentali valori della nostra Repubblica, a parte tutto ciò e proprio per tutto ciò, mi fa tanta rabbia l’arrogante scodella di legno che gli porge Salvini.

Non si fa così. Se questo è il nuovo che avanza, anche indipendentemente dal merito politico, preferisco il passato con tutti i suoi limiti e difetti. Se non ci fosse stato Umberto Bossi ad aprire la bottega Matteo Salvini sarebbe un modesto commesso di botteghe altrui (forse non se ne accorge, anche perché è poco intelligente).

Dove pensa di andare? Prima o dopo a sbattere! Credo che se avesse almeno l’umiltà di ascoltare il suo illustre predecessore, potrebbe risparmiarsi e risparmiarci qualche triste avventura. Che vergogna! Almeno un minimo di rispetto e di comprensione. Nemmeno quello.

In politica, come del resto in tutti i campi dell’esistenza, non esiste riconoscenza. I ricambi generazionali avvengono con violenza psicologica se non addirittura fisica. Il discorso va oltre la Lega anche se nel caso della Lega sta diventando clamoroso e disgustoso. Non a caso si parla di rottamazione: da una parte chi non vuol mollare l’osso, dall’altra chi punta a ripulire la scena senza troppi riguardi. Bossi però non mi sembra il tipo che vuol rimanere a dispetto dei santi, pare disposto a farsi da parte con grande dignità, stile e discrezione e non merita, sinceramente, un trattamento così brutale. Mi dispiace perché non è un boss che non vuol passare la mano, tutt’al più un leader che vuole dare una mano.

Mentre Bossi veniva insolentito a Pontida, a Fiuggi (ci vuole un bel fegato infatti a sopportarlo) Berlusconi rimaneva sul podio a pontificare e insolentiva il passato (la miglior difesa è l’attacco), farneticando di colpi di stato ai suoi danni (poverino…). Voglio proprio vedere se il boss Salvini userà la stessa brutale verve rottamatrice nei confronti del boss dei boss, Berlusconi. Tra l’altro penso che avrà bisogno di soldi, viste le sbandierate ristrettezze del suo partito, e allora dovrà far buon viso a cattiva sorte e venire a più miti consigli. Anche in questo Bossi gli potrebbe essere di insegnamento, non nel senso di gestire oculatamente la dotazione di partito (non è stato capace di farlo), ma in quello di abbassare la cresta quando si è nel bisogno (lo ha fatto fin troppo).

Quelli che…sparlano di calcio

Un tempo il medico di famiglia oltre che saper curare le malattie (senza spedire frettolosamente i malati dagli specialisti o all’ospedale all’insorgere del minimo disturbo), dopo averle diagnosticate (senza l’ausilio di eco, tac, pet e altri sofisticati marchingegni), avevano anche il compito di dare consigli comportamentali e regole di vita ai loro disponibili pazienti.

Era certamente il caso della mia famiglia, per la quale un medico all’antica, che non sbagliava un colpo, forniva preziose interpretazioni della realtà. Riguardo all’estate (ai tempi in cui l’aria condizionata era di là da venire e le vacanze si limitavano ad una scampagnata fuori-porta nel giorno di ferragosto), alle solite lamentazioni per il caldo e l’afa rispondeva così: «Vi lamentate tanto per il caldo, ma non sapete che in estate molte malattie scompaiono o allentano il loro ritmo e quindi, tutto sommato, che si vive meglio usando il fazzoletto per asciugarsi il sudore piuttosto che il naso…».

Sì, in estate sono più gli aspetti esistenziali positivi di quelli negativi. Fra i primi c’è… l’assenza del calcio giocato, da cui ci si riesce finalmente e fortunatamente a disintossicare, anche se è sempre in agguato quello parlato assai meno avvolgente e invadente. Purtroppo l’estate è finita e, oltre agli acciacchi gastro-intestinali, reumatici e respiratori, cominciamo a rifare i conti con le partite di calcio, trasmesse, commentate, analizzate, centellinate dalle televisioni a pagamento e non: una girandola pallonara sempre più insopportabile e artificiosa. Mancava solo la var (preferisco chiamarla moviola in campo per far prima) a completare la giostra.

Ebbene, nel pomeriggio festivo di ieri, complice un brutto mal di schiena (colpa della stagione o delle stagioni?), per alleggerire il dolore, reagire all’immobilità e prescindere, almeno un poco, dalla ossessionante lettura di libri e giornali, ho avuto la cattiva idea di accendere il televisore anziché rifugiarmi nel tradizionale e radiofonico “tutto il calcio minuto per minuto”. Da alcuni anni fanno, o meglio intenderebbero fare, la parodia dell’invecchiata. ma sempre valida trasmissione antenata (tutto il calcio…), chiamandola “quelli che il calcio…”, andando a prestito da Enzo Iannacci, che di satira se ne intendeva, mentre gli assurdi presentatori attuali sembrano bambini che giocano a fare i grandi (un tempo si giocava al dottore, oggi si gioca al presentatore): ore di idiozie che vorrebbero ridimensionare e beffeggiare il fenomeno calcio e finiscono col farlo rimpiangere per quello che è. Brutto ma autentico, sempre meglio di battute stupide, ironie da cortile, farneticazioni satiriche, digressioni snob, sciocchezze a non finire.

Ho rimpianto il caldo soffocante dell’estate appena passata: valeva la pena pagare il prezzo dell’afa pur di essere liberi di respirare senza la maschera dell’ossigeno inquinato del calcio. Aveva ragione il medico dei miei anni verdi.

Tra l’altro non c’è peggior critico di chi non sa criticare; sarebbe sacrosanto ridimensionare il fenomeno calcio, ma facendo così lo si rivaluta. Sono solo buffoni alla corte calcistica. Perso per perso, meglio i presidenti che aprono le curve agli ultras mafiosi, meglio gli ultras che si fanno guerre spietate e cruente, meglio i giocatori che fingono di esultare per il gol fatto ma in realtà godono per l’ingaggio astronomico, meglio i cronisti sportivi che dissertano di tattiche e di strategie come se si trattasse di battaglie navali, meglio gli allenatori che non tacciono, non stanno fermi un attimo e fanno una confusione tale da confondere la testa anche al più lucido dei loro giocatori, meglio il carrozzone di prima classe, dove si disserta di calcio in modo sussiegoso, piuttosto di quello di terza, dove si fanno pernacchie e sberleffi pensando di dare fastidio ai passeggeri di alto bordo.

uesti QQuesti mangia calcio a tradimento mi hanno fatto venire voglia di riascoltare le asettiche e professionali radiocronache di un tempo (ma Sandro Ciotti è morto da un pezzo) o addirittura di tornare allo stadio, sui vecchi e logori spalti (ma mio padre non c’è più…era lui che mi salvava). E allora? Mi tengo il mal di schiena e a denti stretti rileggo un libro (“Dallo scudetto ad Auschwitz”), su una storia di calcio mischiata alla vita e alla morte di un allenatore ebreo finito in un campo di concentramento.

 

Indaga ben chi indaga Ultimo

«Stiano sereni tutti, perché mai abbiamo voluto contrastare Matteo Renzi o altri politici, mai abbiamo voluto alcun potere, mai abbiamo falsificato alcunché. L’unico golpe che vediamo è quello perpetrato contro i cittadini della Repubblica, quelli che non hanno una casa, quelli che non hanno un lavoro e quel golpe non lo hanno fatto e non lo fanno i carabinieri». Questa è la linea difensiva del colonnello Sergio De Caprio, noto come capitano Ultimo da quando guidò la cattura di Totò Riina nel 1993, che è stato componente del Noe (Nucleo operativo ecologico), passato negli anni scorsi ai Servizi (Aise) e poi ritornato nell’Arma.

Questo illustre carabiniere è chiamato pesantemente in causa dall’inchiesta nell’inchiesta: sì, perché sembra, sempre più, che due carabinieri e un magistrato spingessero, volendo usare un eufemismo, l’inchiesta sulla corruzione su Cpl-Concordia e Consip (irregolarità negli appalti per la metanizzazione a Ischia e nelle procedure dell’agenzia centralizzata per la concessione degli appalti nella pubblica amministrazione e relative rivelazioni del segreto d’ufficio), verso l’alta politica, coinvolgendo il padre di Matteo Renzi e lo stesso Renzi. “Ha una bomba in mano”, “Succederà un casino, arriviamo a Renzi”, dicevano il capitano Giampaolo Scafarto e il colonnello Sergio De Caprio al procuratore di Modena, Lucia Musti, a cui erano arrivati documenti in merito ad una delle due inchieste, come la stessa procuratrice ha dichiarato al Consiglio Superiore del Magistratura, che vuole vedere chiaro   su questi strani comportamenti e la procura di Roma, che sta “indagando sulle indagini” (ipotesi di falso per i suddetti carabinieri e di violazione del segreto d’ufficio e falso per il pm di Napoli Henry John Woodcock, titolare iniziale di queste indagini poi trasferite a Roma).

Sta emergendo un quadro al limite dell’eversivo, con carabinieri ed un giudice che avrebbero tramato contro il capo del governo: ipotesi inquietante, che dimostrerebbe pesanti e illegittime interferenze politiche da parte di appartenenti ad alcuni corpi ed organi dello Stato.

Non entro nel merito delle questioni, altri lo stanno facendo a livello giornalistico (non sempre con obiettività e coerenza) e a livello giudiziario (non ho idea se mai si arriverà in fondo a queste inchieste a dir poco sconvolgenti). Resto alla dichiarazione emblematica da cui sono partito.   Un carabiniere di alto grado, accusato di aver puntato al potere politico sulla base di falsi atti di indagine, si difende buttando il tutto ancor più in politica con affermazioni da comizio elettorale, con accuse demagogiche di golpe verso i governanti ai danni della povera gente.

Siamo alla follia istituzionale; forse sarebbe il caso che il Presidente della Repubblica intervenisse a mettere un po’ d’ordine. Qualcuno ha certamente esorbitato dai suoi compiti, creando illegittimamente discredito sul capo del governo e qualche giornale (che fa il primo della classe contro il malaffare) gli ha fatto da cassa di risonanza, nascondendosi magari dietro il diritto/dovere di pubblicare le notizie che comunque arrivano in redazione. Ognuno si prenderà le sue responsabilità, nelle forze di polizia, nella magistratura, nella stampa.

Ma questo gravissimo corto circuito istituzionale ha in questi giorni ben due contraltari. Matteo Salvini, attuale leader della Lega, grida al golpe perché la procura di Genova ha messo sotto sequestro i conti correnti del suo partito dopo la sentenza di condanna al fondatore della Lega Umberto Bossi ed il suo ex tesoriere per truffa ai danni dello Stato per 48 milioni di euro. Secondo Salvini la Lega non sarebbe più la stessa e verrebbe impropriamente chiamata a rispondere per il comportamento scorretto di suoi ex dirigenti, con grave pregiudizio per la sua attività politica. La procura ribatte che i soldi devono essere ricuperati in prima battuta presso chi ne ha beneficiato e quindi presso il partito della Lega, a risarcimento dello Stato che è stato defraudato. Quindi un golpe inesistente e ridicolo, come ridicolo è il modo di fare politica di questo assurdo personaggio: se la Lega ha rubato deve restituire il maltolto, punto e stop. Il resto è farneticazione populista e demagogica.

In sede parlamentare due presidenti di commissione, Roberto Formigoni e Altero Matteoli, condannati per corruzione o giù di lì, restano come se niente fudesse, al loro posto fregandosene altamente delle questioni di etica-politica.

La politica, che cerca il privilegio e se ne sbatte altamente della magistratura, finisce col legittimare i comportamenti giudiziari sbracati ed esagerati contro la politica al limite dell’interferenza o della falsificazione delle carte in tavola. Finisce col dare ragione al colonnello De Caprio, alias capitano Ultimo, ed alle sue farneticazioni.

 

Noemi: un po’ Desdemona, un po’ Giulietta, un po’ Francesca

Questa tragedia si poteva evitare? Si riduce a questa striminzita domanda retorica, l’analisi mediatica di un fatto drammatico, quello dell’omicidio di una ragazza sedicenne ad opera del suo fidanzato diciassettenne, avvenuto a Lecce ed i cui angosciosi contorni ci spalancano una finestra sull’inferno. Noemi, manco a farlo apposta un nome biblico che richiama una vicenda di amore sublime a livello famigliare, viene uccisa dal suo innamorato a cui era legata da un rapporto fatto (così sembra) di violenza e intimidazione, subite al limite del masochismo.

Nel periodo dell’adolescenza si ha il fuoco dentro l’animo, si è portati ad estremizzare i sentimenti, a difenderne la “definitività” alla faccia di chi ce ne sottolinea la provvisorietà e la precarietà. Noemi è andata incontro a morte (quasi) certa, difendendo eroicamente il proprio amore, non volendo credere all’evidenza prospettatale dalla sua famiglia, amando nonostante tutta la violenza che subiva e andando contro tutti coloro che volevano distoglierla da questo sogno estremamente pericoloso. Anche Desdemona nell’Otello di Shakespeare non è tanto vittima della gelosia e della vendetta, come si dice sempre e superficialmente, ma di se stessa, del suo amore paradisiaco a dispetto dell’infernale macchinazione che le viene imbastita contro.

Intorno a Noemi si è proprio creata una situazione di drammatico contrasto. Prima di essere schiacciata sotto i massi della campagna salentina, viene stretta in una paradossale morsa sentimentale : da una parte i suoi genitori che vogliono difenderla da un destino assai problematico, dall’altra il suo innamorato che invece di apprezzare la sua forte disponibilità, sembra cogliere un odioso contrasto tra famiglie e, stando alle sue prime ammissioni ed al probabile ruolo attivo (tutto da dimostrare) del padre, difende e vendica (forse) il suo clan contro quello dell’amata. In un fatto di parecchi anni fa, Erika si chiamava la ragazza, i due fidanzatini precipitavano all’inferno e giustiziavano diabolicamente e di comune accordo la famiglia rea di osteggiare il loro sogno d’amore. Oggi Noemi è la vittima sacrificale di tutto: dell’amore impossibile, delle famiglie perbene, della società guardona, financo della comunità cristiana assente e balbettante (persino il parroco cade nel tranello del “si poteva evitare?”). Siamo ad una versione stranita di Romeo e Giulietta (sempre con Shakespeare abbiamo a che fare), di Paolo e Francesca (la Divina Commedia dantesca). Se la vicenda richiama le più grandi creazioni letterarie di tutti i tempi, vuol dire che è veramente profonda.

Si tratta di una vicenda in cui psicologia, sociologia, letteratura e storia si intrecciano, creando una miscela che è esplosa nelle tenere e dolci mani di Noemi. Ecco perché non sopporto il chiacchiericcio scatenatosi, volto solo a cogliere l’aspetto “cronachistico” e “giudiziario” della vicenda. Polizia e magistratura potevano evitare questo disastro? Sì, se ne vediamo solo gli effetti finali; no, se ne sondiamo le motivazioni profonde. Non vorrei esagerare, ma questa triste vicenda interroga tutti e non se ne esce cercando disperatamente l’argine a valle per un diluvio a monte. Questo è un fatto che non rientra nemmeno nel cliché del machismo violento: anche questo c’entra se vogliamo, ma c’è ben altro. Solo il vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca ha il coraggio di approfondire: «Trovare una risposta giusta a questo gesto è difficile. Si tratta di adolescenti, di ragazzi che ancora non hanno sviluppato appieno la loro personalità, i loro desideri, i loro progetti, i loro sogni. Certamente c’è anche una storia precedente che in qualche modo ha toccato la vicenda dei due ragazzi. Quello che mi pare evidente, anche dalle parole lasciate su Facebook dalla ragazza, è che c’era da parte sua un desiderio di amore vero, di amore puro, che fosse fatto d’incontro e dialogo. Sono parole che invitano a un rapporto sincero».

La verità giudiziaria non sarà esauriente. Qui non siamo in una caserma dei carabinieri o in un’aula di tribunale, qui guardiamo il paradiso con i piedi ben piantati all’inferno. Speriamo che il paradiso possa attendere chi si vuole liberare dall’inferno. Noemi si è liberata ed è in paradiso. Noi tutti, più o meno, rimaniamo attaccati all’inferno.