A ognuno il proprio mestiere

Ho letto con incredulità la notizia: messaggi di solidarietà per Luca Traini sono stati espressi in strada al suo avvocato Giulianelli, che però definisce l’azione del suo assistito come ”scellerata”. Traini è la persona che ha ferito sei immigrati intendendo vendicare il delitto di Pamela, la ragazza probabilmente sbranata da una banda di nigeriani spacciatori di droga, identificando in essa la nazione italiana rovinata dagli immigrati.

È la prima volta che sento un avvocato difensore ammettere così lucidamente e sinceramente la colpa del proprio assistito, prendendo   addirittura le distanze dalle improvvisate e assurde manifestazioni di solidarietà. Il legale così afferma: «Politicamente c’è un problema: la solidarietà con Traini è allarmante, ma dà la misura di cosa sta succedendo. Questa classe politica: destra, sinistra, centro, come ha trattato il problema dei migranti? Se questo è il risultato… La destra l’ha strumentalizzato, la sinistra l’ha ignorato e sottovalutato. Luca è la punta di un iceberg, la più eclatante, da condannare, ma la base è molto più vasta».

Non posso che complimentarmi con l’avvocato Giulianelli per la sua sintetica, impietosa ed esauriente fotografia della situazione. Dovrebbe indurre tutti a riflettere prima di sparare a vanvera. Mi sento però eticamente in dovere di aggiungere qualcosa alle parole di questo bravo professionista. Prima della politica, che effettivamente mostra tutte le sue lacune, dovrebbe venire il cervello e il cuore delle persone: per capire innanzitutto che il fenomeno migratorio non è la fine del mondo, ma è solo la normale ribellione di gente disperata che reagisce per sopravvivere; per ammettere convintamente che tutti abbiamo diritto a vivere, senza sottilizzare e senza fare distinzione fra le grida disperate che comunque ci giungono.

Egoisticamente si trova sempre un motivo per non soccorrere il prossimo disperato. Pensiamo alla parabola del Buon Samaritano: passò un levita, un ministro di culto e andò oltre, passò un sacerdote e andò dall’altra parte della strada, fecero finta di non vedere o trovarono nel loro cervello una scusa, magari dovevano andare al tempio per pregare oppure dovevano sbrigare importanti questioni. E quel poveraccio rischiava di morire se non fosse passato un samaritano, uno squallido personaggio da emarginare: un Traini a rovescio, che, invece di ammazzare o lasciar morire un uomo di altra razza considerata nemica, lo aiuta facendosene carico, senza fare tanti distinguo, senza indagare sul perché il percome si trovasse in quella disgraziata situazione.

Oggi, in coerenza con gli indifferenti della parabola, diciamo: dobbiamo prima dare lavoro agli italiani, dobbiamo innanzitutto preoccuparci dei “nostri” disperati, dobbiamo difendere la nostra identità, dobbiamo difendere la nostra religione e via discorrendo. Anche di fronte alle leggi razziali contro gli Ebrei, molti uomini e parecchi Stati si voltarono dall’altra parte: avevano problemi più importanti da risolvere…

Non scarichiamo quindi le colpe sulla politica, assumiamoci, da uomini, le nostre responsabilità e smettiamola di barare con noi stessi. Fatta questa pulizia mentale a livello personale, potremo cominciare seriamente a discutere di immigrazione. Non si può, nei ragionamenti, partire dalla fine, criminalizzando gli immigrati e solidarizzando con chi   spara loro addosso. Il legale di Traini ha già fatto un bel pezzo di strada, adesso tocca a noi. Lui ha dimostrato di saper fare il mestiere di avvocato, noi siamo piuttosto lontani dal dimostrare di saper fare il mestiere di…uomini.

06/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

1Re 8,22-23.27-30; Salmo 83; Marco 7,1-13.

 

Riflessione personale

 

Un giorno, improvvisamente, un simpatico collega aprì la porta del mio ufficio e mi chiese a bruciapelo: «Se tu avessi davanti Gesù Cristo in persona, cosa gli diresti?». Risposi senza alcuna esitazione: «Gli direi una parola sola: perdonami!».

Oggi trovo un importante riscontro nelle parole che Salomone, nella sua grande saggezza, dopo aver consacrato il tempio con la presenza delle tavole della Legge, pronunciò, pregando così: «Ascolta la supplica del tuo servo e di Israele tuo popolo, quando pregheranno in questo luogo. Ascoltali dal luogo della tua dimora, dal cielo; ascolta e perdona».

Gesù, ben più di Salomone, non si preoccupa se i suoi discepoli prendono cibo con mani sporche, si scaglia contro farisei e scribi, che non si umiliano davanti alla grandezza di Dio, ma si accontentano di osservare le tradizioni degli uomini, mere norme igieniche assurte ipocritamente a misuratrici di fede.

Se scribi e farisei di oggi, viste le mie ripetute trasgressioni, per la verità molto più gravi del mangiare senza lavarsi le mani, mi chiedessero conto del mio comportamento, risponderei loro: «Non mi preoccupo delle vostre prescrizioni, ma del comandamento di Dio, quello dell’amore e, se contravvengo a questa legge, ne chiedo sinceramente perdono a Lui. Di questo mi preoccupo, il resto…».

 

Lavorètt, lavorón e lavoréri

Confesso che le votazioni più striminzite negli esami del corso di laurea in Economia e Commercio le ho avute in matematica e statistica. Niente di strano quindi che faccia una certa fatica ad interpretare i dati riguardanti l’andamento occupazionale nel nostro Paese: gli ultimi segnano un calo della disoccupazione al 10,8%.

Anziché insistere sulla scomposizione di questo dato, che sembra fatto apposta per accendere discussioni, riconducibili più o meno al discorso del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, preferisco ripiegare sul numero dei disoccupati che risultano essere 2 milioni e 791.000: una fotografia piuttosto impietosa, che rende l’idea del grave problema occupazionale, da cui discendono drammatiche conseguenze sul piano economico e sociale.

In parallelo a questo dato ne emerge un altro riguardante gli occupati in nero, cioè quei lavoratori che vivono in un cono d’ombra non monitorato: sarebbero, secondo il focus Censis-Confcooperative, oltre 3,3 milioni, persone più o meno sfruttate, nascoste od auto-nascoste a fini di evasione fiscale e contributiva, nonché per coprire illegalmente doppi o tripli lavori.

Non riesco innanzitutto a capire se il dato del lavoro nero sia compreso o meno in quelli dell’occupazione e della disoccupazione che l’Istat ci propina: mi chiedo cioè se i 2.791.000 disoccupati siano al netto degli occupati in nero oppure al lordo. Nel primo caso arriveremmo ad avere sei milioni di persone non a posto dal punto di vista lavorativo, per mancanza di lavoro e per   mancanza di regolare inquadramento. Nel secondo caso invece facendo la somma algebrica tra disoccupati e lavoranti in nero avremmo addirittura un saldo positivo, anche se non è detto che i disoccupati lavorino o possano lavorare in nero; certamente però, pur prescindendo da valutazioni di carattere legale e morale, la situazione lavorativa globale sarebbe assai meno drammatica di quanto appaia. Di lavoro ce ne sarebbe, anche se in parte sommerso.

Se aggiungiamo i posti di lavoro che le aziende non riescono a coprire per mancanza di preparazione professionale a livello di offerta, il discorso occupazionale si ridimensiona o almeno assume connotati diversi, perché alla scarsità, precarietà, irregolarità e fraudolenza della domanda si accosta un’offerta impreparata, indisponibile e financo truffaldina.

Sarebbe importante chiarire i termini della questione, mentre il dibattito, anche quello elettorale, resta ingessato fra chi vanta in questi anni un milione di posti di lavoro in più e chi smonta masochisticamente il miglioramento considerandolo la vittoria di Pirro del lavoro precario su quello a tempo indeterminato. A questi ultimi risponderei che è sempre meglio lavorare senza certezze che non lavorare per niente in attesa di certezze, che forse non arriveranno mai.

Qualche tempo fa un amico mi ha raccontato un episodio quasi sconvolgente in materia di lavoro per i giovani: un’azienda in fase espansiva aveva ingaggiato un giovane per lanciare commercialmente un nuovo prodotto inquadrandolo con un contratto part-time in attesa di verificare le prospettive di mercato. Dopo la fase iniziale fortunatamente positiva, sia per l’azienda che per il lavoratore, diventò fattibile la trasformazione del rapporto in full time, se non ché il giovane lavoratore rifiutò la proposta con la motivazione del tempo libero: lui doveva garantirselo in quanto appassionato ed assiduo frequentatore di palestra ginnica. Spero non sia un comportamento emblematico, ma temo che in materia di lavoro occorra fare chiarezza a livello di mercato, a livello aziendale ed a livello personale.

Per trovare un’occupazione, precaria o definitiva che sia, bisogna innanzitutto avere la mentalità e l’assoluta disponibilità al lavoro, poi viene il resto. Sono stato educato in tal senso in modo quasi esagerato ma giustissimo. Quando mi si prospettò quello che sarebbe stato il lavoro di tutta la mia vita, ebbi qualche perplessità nell’accettarlo dal momento che sembrava non proprio confacente alla mia preparazione scolastica e molto impegnativo a livello di responsabilità e di orari. Chiesi consiglio al mio miglior amico, il quale da tempo era inserito nel mondo del lavoro. Non si perse in chiacchiere, mi fulminò con una battuta dialettale eloquente e non ammise repliche: «Bèca, bèca!». Beccai, vale a dire accettai quel posto di lavoro e si rivelò impegnativo ma soddisfacente. Erano altri tempi, ma…

 

05/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

1Re 8,1-7.9-13; Salmo 131; Marco 6,53-56.

 

Riflessione personale

 

Mantengo ancora intatto il mio innato e debordante senso religioso e del sacro, che esprimevo già da bambino, trascinando in chiesa mia nonna paterna, durante le passeggiate mano nella mano (mi dava dolcemente atto di essere disciplinato e di non mollare la presa: era così buona che non si poteva metterla in difficoltà). Nonna Annetta (la Netta per tutti) si lamentava scherzosamente di me dicendo: “Mo guärda coll ragas chi: ch’al me tira in ceza, mi che gh’ són mäi andäda”.

Non basta però andare in chiesa. I più acuti e sferzanti osservatori politici sostenevano che Giulio Andreotti andasse in chiesa per confabulare coi preti, mentre Alcide De Gasperi ci andava per pregare. E io cosa ci vado a fare? Sì, perché tutto dipende da cosa cerco, varcando la soglia del tempio. Quando Salomone trasferì l’arca dell’alleanza nel tempio, solo dopo che i sacerdoti furono usciti Dio ne prese possesso tramite la nuvola in cui abitava. Mi viene spontaneo richiamare una battuta piuttosto anticlericale, secondo la quale se si cerca un prete non si deve pensare di trovarlo in chiesa, ma altrove. Può avere però un doppio senso: quello di essere tentati di scantonare nel profano, ma anche quello di non illudersi che il senso religioso della vita si esaurisca frequentando le chiese.

I contemporanei di Gesù lo cercavano insistentemente, lo asfissiavano, non lo lasciavano nemmeno respirare: volevano le guarigioni, i miracoli, i segni portentosi. Cercavano un liberatore: quelli dotati di senso politico dall’oppressione romana, gli altri dalle sofferenze umane. Poi, quando si arrivò al dunque, rimasero delusi e gli si rivoltarono addirittura contro. E io, quando arrivo al dunque, cosa cerco e cosa faccio?

Il rispolverato armamentario fascista

Scrive un lettore di Jesus, il mensile edito dai Paolini, a commento di un’analisi del giornale: «Il solito vizio catto-comunista di tacciare per fascisti e razzisti quelli che cercano di ragionare sull’attuale invasione degli immigrati, invasione tollerata in vista di un voto domani, diciamolo chiaro».

Mi chiedo: dove sono e chi sono coloro i quali cercano di ragionare sugli immigrati? I politici che di questo argomento fanno una bandiera non ragionano, ma seminano solo paura e intolleranza. Ad essi rispondono manifestazioni razziste, blitz squadristi e aggressioni verbali e fisiche, che si sono ripetute con crescente frequenza in questi mesi, nelle grandi città come nelle piccole realtà di provincia. A Macerata siamo arrivati ad un episodio di autentica delinquenza accompagnata da una tragica nostalgia fascista. Si scende in strada e si spara a casaccio contro gli immigrati, sbandierando il tricolore, ripetendo saluti fascisti, richiamando parole d’ordine e simboli razzisti: un’iniziativa molto probabilmente di carattere individuale, che costituisce tuttavia l’ennesimo sintomo di un pericolosissimo malessere socio-culturale, la conseguenza clamorosa, e speriamo isolata, di un modo di pensare molto più largo e condiviso di quanto si voglia far credere.

Secondo il segretario della Cei Nunzio Galantino, quando si arriva alla violenza, magari perpetrata in gruppo e programmata, ridimensionare il tutto a “ragazzate” non è più accettabile.

Non dobbiamo retrocedere a pura follia folkloristica la punta dell’iceberg di un autentico vento autoritario, antisemita e xenofobo. che sta riciclando il grande arsenale propagandistico della paura del comunismo, che almeno una ragione politica ce l’aveva, in un armamentario anti immigrati.

Il mensile Jesus, a cui ho volutamente fatto riferimento, intitola così una sua lucida e coraggiosa inchiesta: “Fascismo, rinascita di una tragedia?”. Non credo si tratti di allarmismo, non penso si stia esagerando con i fantasmi del passato, non ritengo si tratti di vizio catto-comunista: certi fenomeni vanno aggrediti subito, senza tentennamenti e indulgenze, anche perché sono espressione, seppure impazzita, di un diffuso sentimento anti-immigrato basato oltre tutto su dati fasulli e analisi “farlocche”.

Ma il mensile Jesus suona un allarme che riguarda anche il mondo cattolico: le organizzazioni cristiane impegnate con i migranti sono tra gli obiettivi delle azioni squadriste, mentre gruppi di destra si stanno avvicinando alle frange ultratradizionaliste. Le pulsioni reazionarie che rimproverano a papa Francesco la sua posizione sui migranti, non sono numericamente consistenti, ma si comportano come fossero la metà della Chiesa cattolica. In Europa stiamo andando verso un muro di Berlino cristiano? Solidarietà contro identitarismo.

Cosa c’è dietro il ritorno della xenofobia che si salda con il populismo? C’è il nero che avanza? Discorsi preoccupanti, oserei dire inquietanti. Meglio un eccesso di prudenza di una sbrigativa alzata di spalle. Perché non bisogna dimenticare che resistenza (nel cuore e nel cervello), costituzione (alla mano), repubblica (nell’urna) impongono una scelta di campo imprescindibile e indiscutibile: sull’antifascismo non si può scherzare anche se qualcuno tra revisionismo, autocritiche, pacificazione, colpi di spugna rischia grosso, non capendo che coi vuoti di memoria occorre stare molto e poi molto attenti e che (come direbbe mio padre) “ in do s’ ghé ste a s’ ghe pól tornär “.

 

 

04/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Giobbe 7,1-4.6-7; Salmo 146; 1 Corinti 9,16-19.22-23; Marco 1,29-39.

 

Riflessione personale

 

La sofferenza rimane il più grande mistero. Al dolore, soprattutto se innocente, non c’è spiegazione razionale e plausibile. Anche la fede non riesce a fornire una motivazione accettabile: bisogna avere l’umiltà di ammetterlo. L’unica risposta consiste nella condivisione. Dio ha condiviso e sofferto in Gesù tutto quel che umanamente si può ipotizzare: dolori lancinanti, umiliazioni fisiche e morali, tradimenti, solitudine, incomprensione, calunnie, persecuzioni, torture, fino alla peggiore delle condanne a morte, vale a dire la crocifissione. Ciò non significa che Dio ami la sofferenza: l’uomo non è stato creato per soffrire, ma per gioire. Tuttavia quando si soffre con vicino una persona amata, che ci vuole bene al punto di condividere il nostro dolore, ci sentiamo relativamente sollevati e rasserenati, figuriamoci se questa persona è un Dio che è passato attraverso le nostre sofferenze. Soffrendo si capiscono tante cose, si matura, si colgono i valori autentici, si coglie la più profonda motivazione della nostra esistenza. E poi ricordiamoci che niente unisce più della sofferenza condivisa e combattuta insieme: sì, perché il dolore bisogna anche prevenirlo e combatterlo con la carità. La sofferenza resta sofferenza e ne ho tanta paura, la morte resta morte e mi spaventa assai, ma non hanno l’ultima parola e non ci allontanano dalla vita, ma ci avvicinano ad essa, alla vita vera.  A Maria, che ci è madre in tutti i sensi, a Lei che di sofferenza se ne intende, chiediamo con insistenza: “Prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte”.

Il masochistico linguaggio della paura

La storia insegna come tutti i regimi, al loro nascere e per il loro consolidamento e mantenimento, abbiano utilizzato e cavalcato le paure. Volendo rimanere in Italia, il fascismo al suo nascere enfatizzò il rischio di una possibile rivoluzione marxista, strumentalizzò il clima di incertezza di fronte al malcontento dilagante di carattere economico e sociale, si presentò come elemento rassicurante rispetto ad un futuro carico di incognite e di conflitti.

Negli anni settanta fu la vicenda del golpe cileno, nato come reazione alla paura di una sinistra incapace di governare e di frenare le proteste sindacali e di piazza, ad innescare in Italia il discorso del compromesso storico, vale a dire di un dialogo e di un patto tra le forze popolari, che potesse garantire un evoluzione pacifica delle trasformazioni socio-economiche ed un’ evoluzione progressista della politica. Questa seria prospettiva fu disturbata, complicata e interrotta da una serie di eventi interni ed internazionali, che privarono la politica italiana del disegno berlingueriano e moroteo, sprofondandola nell’incertezza e nella confusione di cui ancor oggi si notano e si soffrono le conseguenze.

Negli anni novanta con la crisi del patto di potere tra democristiani e socialisti si aprì una fase nuova ed ecco spuntare i seminatori di paura. Berlusconi agitò la bandiera dell’anticomunismo, poco importando che il comunismo praticamente non esistesse più: bastava seminare la zizzania di una sinistra che avrebbe rovinato il Paese sprofondandolo nel caos. Gli Italiani ci cascarono alla grande e fu un quasi-regime ventennale.

Nonostante tutto Silvio Berlusconi tenta il bis, aggiustando il tiro, ma facendo sostanzialmente un’operazione molto simile: “Se l’Italia cadesse nelle mani dei ribellisti, dei pauperisti, dei giustizialisti, il Paese pagherebbe un grande prezzo, pure in termini di isolamento internazionale, ma sarebbe un serio problema per tutta l’Europa. Sarà il centro-destra ad impedire che si precipiti in un “baratro pericoloso”.

Alla cavalcata salottiera delle paure, si accompagna quella sbracata della Lega: “L’Italia deve salvarsi dalla deriva extra-comunitaria, dal clima delinquenziale che ci condiziona, dalla compressione economica che ci tarpa le ali”.

Due modi di intendere, creare e strumentalizzare le paure. Della serie “turatevi il naso per non lasciare il potere in mano ai grillini ed a quanti vogliono governare i problemi”.

Esistono alcune differenze fra la tattica del novantaquattro e quella odierna. Allora il comunismo non esisteva più, oggi il grillismo esiste eccome; l’antipolitica poteva essere interpretata da Forza Italia, Lega e Alleanza Nazionale, mentre oggi viene interpretata su fronti opposti dal M5S e dalla Lega; il centro-sinistra è sempre diviso, ma mentre all’inizio degli anni novanta poteva essere considerato un epigono dei comunisti nostrani, oggi viene considerato fin troppo accomodante e continuista; Berlusconi, pur essendo un personaggio assai noto politicamente parlando, non aveva ancora governato, mentre ai giorni nostri ha dato ampia e tragica dimostrazione di incapacità e di grave commistione con interessi particolari.

L’effetto sorpresa, che a suo tempo giocò un ruolo fondamentale per il successo elettorale berlusconiano, non dovrebbe più esistere, a meno che gli Italiani non abbiano la memoria talmente corta al punto da volerci masochisticamente riprovare. La campagna elettorale si sta purtroppo radicalizzando nello scontro tra anti-politica e politica di destra. Il terzo incomodo, il PD rischia di essere schiacciato dall’irrazionalità dell’elettorato e condizionato a sinistra dai rigurgiti demagogici.

Purtroppo temo che l’elettore non abbia alcuna paura delle trombonate narcisistiche di Grillo, delle tensioni addominali di Salvini e delle pelose rassicurazioni di Berlusconi. La paura esiste solo per gli immigrati e per la politica. Sotto la coperta della paura, per chi vota a destra sono sempre convinto non giochino tanto fattori ideologici o politici, ma i propri egoismi: Berlusconi è maestro nel cucinarli a dovere. Per chi vota M5S non conta il desiderio di far evolvere la politica verso i bisogni collettivi, ma lo sprezzante rifiuto di ogni e qualsiasi politica. Se è così, per il PD la gara si fa molto dura. Non voglio ripetere preventivamente il discorso saragattiano   del “destino cinico e baro”, ma, quando non ci si intende sulle questioni di fondo, quando il linguaggio è quello della paura, a parlare si sbaglia sempre. E tacere non si può, allora…

03/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

1Re 3,4-13; Salmo 118; Marco 6, 30-34.

 

Riflessione personale

 

Quando prego, ho la tendenza a chiedere tante cose per me e per quanti mi stanno particolarmente a cuore: una lista di bisogni e di problemi, come se il Padre Eterno non li sapesse ben prima e meglio di me. Probabilmente sorriderà della mia ingenua premura, scuoterà il capo e avrà compassione di una creatura che vuol fare da suggeritore al creatore.

Il grande re Salomone fu molto più discreto e “furbo”: andò al sodo e si accontentò di chiedere la “saggezza”, la capacità di scegliere tra il bene e il male e Dio gli diede anche tutto il resto in sovrappiù.

Mi ha sempre colpito l’episodio di quel vecchietto che sostava a lungo davanti al Santissimo Sacramento e non diceva niente, sembrava assente. A chi gli chiese se e come pregasse rispose: «Io guardo Lui e Lui guarda me…».

«Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’» dice Gesù ai suoi apostoli e sicuramente lo dice anche a noi. Bello considerare la preghiera un solitario riposo in compagnia di Gesù. Tutto il resto potrebbe essere anche “fuffa”.

I giovani camorristi non sono eroi, nemmeno in negativo

Quando Vittorio Sgarbi sferra i suoi attacchi a qualche mostro intoccabile della televisione pubblica e privata, ammetto di godere. Ciò a prescindere dai contenuti, dai toni spesso volutamente esagerati ed ostentatamente scorretti, ma per la sua capacità di dissacrare il verbo di questi padreterni catodici, di mettere, anche violentemente, in discussione la pseudo-verità televisiva ed anche l’opinione degli intoccabili, di qualsiasi parte e provenienza politica e culturale.

L’ultima uscita clamorosa di Sgarbi riguarda lo scontro violento avuto con Corrado Formigli, conduttore di “Piazza Pulita” un programma de La7, in ordine alla presunta e diseducativa esaltazione di certi fenomeni criminale che alcuni opinionisti rischiano di fare nei confronti dei giovani. Non è una questione di lana caprina e tanto meno una vuota polemica: credo che metta il dito su un problema culturale reale.

Questo discorso è stato sollevato, con ben altro garbo, da Corrado Augias nel suo bel programma televisivo “Quante storie”, aprendo un seppur lieve fronte polemico con Roberto Saviano. Lo scrittore, come noto, racconta l’ascesa delle giovani leve della malavita napoletana. L’autore di Gomorra analizza il modus operandi dei cosiddetti “paranzini”, ragazzi pronti a morire in giovane età pur di emergere nel mondo criminale. Augias gli ha contestato il rischio di mitizzare il male, descrivendo i giovani camorristi come degli eroi, seppure in negativo.

Il discorso non è nuovo. La verità deve essere raccontata:   non regge l’argomentazione del lavare i panni sporchi in famiglia o addirittura del tenere nell’oscurità certe realtà scomode ed estremamente provocanti. Tuttavia, soprattutto in riferimento ai giovani, non si può nascondere il problema dell’emulazione, un istinto che può nascere quando la verità, pur negativa, venga presentata con eccesso di zelo, quasi con indiretto compiacimento, con abbondanza di toni letterari, con generalizzazioni un tantino semplicistiche.

Lo scrittore non deve edulcorare la realtà per il timore che possa creare scompiglio, ma nemmeno dimenticare come la descrizione del male senza via di scampo possa creare rassegnazione negli anziani e volontà di emulazione nei giovani. La reazione può diventare questa: se la realtà criminale è talmente diffusa e radicata, non c’è nulla da fare, o ci rassegniamo a subire o diventiamo protagonisti.

Mi pare che una seria riflessione di carattere etico-educativo non guasti e non debba essere considerata un’invasione di campo o addirittura una censura. Un padre gesuita, impegnato nelle carceri e avvezzo ai rapporti anche con i peggiori criminali, mi diceva: «Anche nella peggiore situazione di male, nel più brutto dei terreni esiste sempre un filo d’erba, che lascia intravedere uno spiraglio di bene, di riscatto, di inversione di marcia».

Credo che al di là delle sue intemperanze Vittorio Sgarbi volesse dire proprio questo, come del resto anche Corrado Augias, che non esito a definire il migliore interprete giornalistico della nostra società.

Forse anche lo stesso Leonardo Sciascia (spero di non forzare il suo pensiero), quando parlava di “mafia dell’antimafia”, intendesse alludere al rischio di fare dell’antimafia un comodo e superficiale mestiere e di cavalcare involontariamente la tigre. Non è certo il caso di Roberto Saviano e nemmeno di Corrado Formigli, ma non sarà male se anche loro vorranno riflettere e adottare maggiore prudenza. Quando la provocazione si fa eccessiva e asfissiante, cessa di essere tale e diventa fine a se stessa. È come una medicina che può avere effetti indesiderati. Una fotografia può essere fuorviante anche in negativo.

Impariamo dal più grande provocatore di tutti i tempi: Gesù Cristo. Denunciava senza pietà il male compiuto, anche dagli uomini religiosi, ma lasciava sempre aperta la porta della conversione e soprattutto proponeva l’alternativa. “Ma io vi dico…”.

 

02/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Malachia 3,1-4; Salmo 23; Ebrei 2,14-18; Luca 2,22-40.

 

Riflessione personale

 

Oggi si celebra la presentazione di Gesù al tempio, ma secondo la legge ebraica si trattava del rito della purificazione imposto alla madre e del riscatto del bambino. Non ho mai capito da cosa dovesse essere purificata una madre dopo il parto: tale rito rimase in vigore anche nella Chiesa cattolica, seppure sotto traccia. A giudicare da quanto scrive Erri De Luca nel suo libro “E disse”, ai tempi di Mosè e della legge a lui rivelata, le donne erano le beniamine della divinità, nascevano perfette, mentre i maschi dovevano essere ritoccati con la circoncisione. Il parto doveva essere considerato il punto più perfetto dell’arte di natura, alla donna il creatore aveva dato il compito esclusivo e preferenziale di trasmettere la vita. E allora? Fin dagli inizi prende piede l’equivoco della donna creatura di serie “b”, condannata a partorire nel dolore, impura per le mestruazioni, mentre invece la fertilità era sorgente di benedizione.

Da eretico quale sono, considero pertanto questa celebrazione come l’esaltazione della maternità di Maria, preludio alla salvezza messianica. Maria e Giuseppe si sottomisero alle prescrizioni della Legge. Maria si purificò anche se Simeone le disse che la sua vera purificazione sarebbe consistita in una spada che le avrebbe trafitto l’anima. Riscattarono Gesù offrendo una coppia di tortore, anche se il vecchio Simeone predisse che il vero riscatto lo avrebbe operato questo bambino, una volta cresciuto e diventato segno di contraddizione.

Non sono venuto per cambiare la Legge ma per darle compimento, per andare oltre, dirà Gesù. E si comincia subito. La Legge però continuerà a voler prevalere sui cuori. È infatti molto più comodo obbedire alle regole, anche perché si trova sempre il modo di aggirarle: fatta la legge, fatto l’inganno. Amare Dio e il prossimo non è una regola, è la vita stessa del cristiano. I sacramenti non sono riti, ma la massima espressione dell’amore di Dio e noi dovremmo “sacramentare” il nostro prossimo. Questo non è un ostacolo aggirabile!

Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Non chiediamo di essere perdonati per le preghiere che facciamo. Un vecchio frate cappuccino, a cui avevo confessato la colpa di “perdere la pazienza” con i miei genitori anziani e malati, mi disse: «Attento! Sappia che se lei tratta male qualcuno, a maggior ragione sua madre o suo padre, potrà recitare un’infinità di rosari, ma non varranno a niente, anzi…». Se ti presenti al tempio e ti ricordi di avere un contrasto con qualcuno, lascia l’offerta in sospeso e vai prima a riconciliarti con tuo fratello: così ha detto Gesù!