27/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Isaia 1,10.16-20; Salmo 49; Matteo 23,1-12.

 

Riflessione personale

 

“Il più grande fra voi sia vostro servo.; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato”. Lo strano e paradossale ascensore dell’umiltà. Penso che Gesù, così come detestava le manie di grandezza degli scribi e dei farisei, non desiderasse la falsa modestia di chi finge l’umiltà per essere ancor più considerato e adulato. Si tratta di avere consapevolezza dei propri limiti e soprattutto di esprimere il meglio di se stessi, mettendosi al servizio degli altri. Gesù non vuole cristiani disimpegnati ed irresponsabili, al contrario ci sprona al massimo dell’impegno e della responsabilità, solo che il tutto deve essere finalizzato non al proprio tornaconto psicologico, umano, sociale, economico, politico, ma al bene dei fratelli, “a ricercare la giustizia, a soccorrere l’oppresso, a rendere giustizia all’orfano, a difendere la causa della vedova”.

Mia sorella quando considerava i fulgidi esempi di chi combatte la mafia (ricercate la giustizia), di chi va in missione nei Paesi del Terzo mondo (soccorrete l’oppresso), di chi difende i diritti dell’infanzia e delle donne (rendete giustizia all’orfano), di chi si schiera a favore dei poveri e degli ultimi (difendete la causa della vedova), esclamava convintamente: «Sono i Santi!».  Innanzitutto bisogna avere il coraggio di denunciare le ingiustizie, le disuguaglianze, gli sfruttamenti, le oppressioni, i mali sociali e poi combatterli concretamente da tutti i punti di vista con l’impegno e il servizio. Non basta l’impegno del servizio personale ci vuole anche il coraggio della denuncia sociale, non basta gridare contro le ingiustizie ci vuole anche la testimonianza personale: due facce della stessa medaglia.

E allora “anche se i nostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana”. Immagini che mi hanno sempre affascinato e consolato nella mia consapevolezza di avere tanti peccati da farmi perdonare. La strada però è difficile. Occorre prendere l’ascensore giusto: a volte capita di sbagliare a cliccare il pulsante e magari di salire se si voleva scendere o viceversa. Qui non ci si può sbagliare: per salire bisogna prima di tutto scendere.

 

 

 

 

Il coniglio presidenzialista

L’assetto istituzionale delineato dalla Costituzione italiana, pur nella sua visione partecipativa, rappresentativa, equilibrata e garantista, necessiterebbe di una sana revisionata. Il tentativo renziano, non era certo la panacea di tutti i mali sistemici, ma meritava un’accoglienza migliore e purtroppo è andato inopinatamente e inspiegabilmente a vuoto: adesso gli insopportabili grilli parlanti lamentano le contraddizioni, a cui prima o poi bisognerà rimettere mano, anche se non sarà facile ritrovare lo spirito costituente in un clima sempre più vuoto e fazioso.

Se un punto dell’ordinamento istituzionale si è rivelato centrato e proficuo, questo è l’elezione a livello parlamentare del Presidente della Repubblica: ha consentito di eleggere, quasi sempre, i migliori esponenti politici, al di sopra degli schieramenti, con larghe maggioranze; quando hanno fatto capolino  gli equilibri politici e l’elezione del presidente della Repubblica è diventata  oggetto di scontro tra opposte fazioni, se ne sono viste immediatamente le conseguenze negative (mi riferisco all’elezione di Giovanni Leone, non per la qualità della persona, ma per la strumentalità dell’operazione).

Ebbene, a dimostrazione della insensatezza delle promesse elettorali sparate alla viva il parroco, qualcuno (il solito, inossidabile e impareggiabile prestigiatore elettorale, Silvio Berlusconi) ha tirato fuori dal cilindro il coniglio del presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo.

“È pronto un referendum che presenteremo subito dopo la vittoria del centro-destra. È ora che noi italiani si possa votare il presidente della Repubblica»: così una delle tante frasi dette da Berlusconi (e non solo da lui) per dare aria ai denti. Non so quanto gli italiani sentano il desiderio di concorrere direttamente col loro voto alla nomina del Capo dello Stato, ma la proposta mi sembra demagogica e campata in aria.

L’elezione diretta non ha senso in un sistema di democrazia parlamentare come il nostro, bisognerebbe allora trasformare tutto l’impianto istituzionale da parlamentare a presidenziale e, se fu giudicato autoritario il progetto renziano, figuriamoci l’idea di “presidenzializzare” il sistema.

Nell’attuale assetto istituzionale il presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale ed è munito di poteri riconducibili sostanzialmente al funzionamento del sistema Costituzionale: buttarlo in pasto alle urne non sarebbe un’operazione democratica, ma una scelta populista di assai dubbio gusto, se non di subdolo travisamento dell’ordinamento stesso.

Di questa assurda proposta non si farà nulla, ma che preoccupa è l’improvvisazione con cui si affrontano temi di grande rilevanza. Si sta dicendo tutto e il suo esatto contrario, si sparano cannonate a destra e manca: è come con i fuochi artificiali, che incantano, ma durano solo un attimo, e possono tuttavia fare male e scoppiare in tempi, modi e luoghi sbagliati.

In campagna elettorale è normale che i toni si accendano, le promesse abbondino, i contrasti si inaspriscano. Potrebbe essere un modo, non il migliore, per mettere in grado il cittadino di scegliere tra le diverse opzioni sul tappeto, chiarite da una radicale contrapposizione e da una forte caratterizzazione.  Se il tutto serve però a confondere le idee all’elettore e a rendere impraticabile l’inevitabile mediazione post-elettorale, si fa un pessimo servizio alla democrazia che, come diceva un grande personaggio di cui mi sfugge il nome, comincia veramente il giorno dopo della consultazione elettorale. In effetti la confusione in capo all’elettorato è palpabile e, causa-effetto di ciò, le prospettive politiche del dopo voto risultano altrettanto strane e fantasiose. L’unico baluardo a questa bagarre è il presidente della Repubblica, che dovrà saggiamente e garantisticamente dipanare una matassa scriteriatamente aggrovigliata.

Se ne è accorto persino il furbastro Luigi Di Maio: sta tentando di coinvolgere il Presidente nei giochetti grillini, presentandogli la lista dei Ministri e quindi delegittimandolo a mero preventivo notaio oppure corteggiandolo per averne almeno un gesto di attenzione da spendere tra le ultime cartucce della campagna elettorale.

Pensiamo se anche Mattarella fosse invischiato nel gioco politico, se dovesse rispondere alla parte dell’elettorato che lo ha votato, se fosse un uomo di parte, non avremmo nessun ombrello protettivo. Teniamoci dunque ben stretto un presidente nominato dal Parlamento con la più ampia maggioranza possibile. Il resto lasciamolo al ridicolo riformismo berlusconiano: prima, quando si presentava come “rivoluzionario”, faceva ridere l’Europa e il mondo; oggi si presenta come “moderato” e fa piangere. In effetti non è né estremista, né centrista, è scentrato.

 

26/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Daniele 9,4b-10; Salmo 78; Luca 6,36-38.

 

Riflessione personale

 

La storia del popolo Ebreo, quella della Chiesa, quella individuale del singolo cristiano sono un vergognoso susseguirsi di disubbidienze, trasgressioni, peccati, ribellioni, malvagità, empietà, misfatti. Ciononostante al Signore Dio non fa difetto la misericordia ed il perdono. La condizione essenziale per ottenere questo immeritato trattamento non è tanto una sofferta penitenza, ma riservare da parte nostra un uguale trattamento ai nostri fratelli: essere misericordiosi, non giudicare, non condannare, perdonare, dare. Otterremo da Dio nella misura in cui daremo ai fratelli.

Siamo portati a impostare il nostro rapporto con Dio come un regolamento di conti in base al raffronto tra la sua legge e il nostro comportamento: sarebbe un discorso meschinamente umano e disperatamente fallimentare. Dio scompiglia le carte, si pone e ci porta su ben altro livello: vuol vedere come concretamente ci poniamo di fronte ai fratelli. Lì si scoprono gli altarini. Non basta quindi percuotersi il petto, fare digiuni, pregare: tutti pre-requisiti. Occorre andare al sodo. Non ce la possiamo cavare con una leggera penitenza fatta di qualche orazione, nemmeno con un’elemosina una tantum, neppure con un’indulgenza plenaria secondo le leggi di Santa Romana Chiesa. Bisogna che concediamo agli altri quanto Dio concede a noi: i doni che ci elargisce abbondantemente non sono riservati, sono da condividere.

Non basta la giustizia come noi la intendiamo, non basta forse neanche la solidarietà, anche se è già un notevole passo avanti, non è sufficiente donare il superfluo secondo regole economicistiche, ci vuole la condivisione.  Vale a dire: quello che ritengo mio, non lo è, lo devo circuitare, lo devo mettere a disposizione. Non so se il comunismo fosse o sia un cristianesimo impazzito, se occorra essere dei comunisti di sagrestia; sono certo che, ideologie e politica a parte, sia assolutamente necessario essere veri cristiani, che ragionano ed operano come ha detto e fatto Gesù.

 

 

 

Il grande fratello della campagna elettorale

Le scelte elettorali a livello mondiale di questi ultimi anni dimostrano come la gente sfoghi nelle urne le proprie crisi di nervi sull’onda delle quali vive, a volte in modo colpevolmente egoistico, a volte per oggettive e gravi difficoltà. Basti pensare all’insensatezza della brexit da parte di un popolo di storica, tradizionale e compassata razionalità politico-democratica e allo sciagurato imbroglio dell’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti: due eventi che condizionano e condizioneranno brutalmente la nostra storia.

Ho imparato quindi a non stupirmi più di niente, né della superbia inglese, né della dabbenaggine americana, né della protervia di certi paesi europei. Facendo una spontanea proiezione sull’Italia non mi stupirei che gli elettori affidassero il Paese a Beppe Grillo, ai suoi nani ed alle sue ballerine. Tutto sommato ci può stare: se gli americani si sono buttati disperatamente nelle braccia di un riccone sciocco ed insensato, gli italiani si possono ben fidare dell’accozzaglia di politici capitati per puro caso in parlamento: la parola d’ordine che raccolgo in giro è “proviamoli, tanto peggio di così…”.

La gente ha perso completamente la tramontana politica, non vota o vota a casaccio. C’è l’attenuante di una politica corrotta, incoerente e confusionaria, ma c’è anche l’aggravante di una imperante mentalità egoistica, pressapochistica e menefreghistica. Con alcuni amici scambio impressioni e pareri e il dato emergente è lo stupore di fronte alla pochezza culturale in base alla quale gli elettori si stanno appressando alle urne. Intendiamoci bene, tutto contribuisce a portarli nel fosso: la rissa quotidiana tra i partiti e il grande fratello mediatico.

Ad un sacerdote chiesero di esprimere un giudizio su un libro riguardante la vita di Gesù: si lasciò andare al punto da confessare paradossalmente di non aver mai letto una vita così schifosa. L’equivoco contenuto nelle sue parole era evidente, ma rischiava l’analisi illogica di chi confonde il soggetto con l’oggetto. Per fare un parallelo potrei dire che non ricordo una politica così schifosa: in realtà dovrei dire che la politica è una cosa seria, mentre è schifoso inquinarla con una campagna elettorale inqualificabile e fuorviante.

“Proviamoli, tanto peggio di così…”: una doppia bestemmia lanciata in cattedrale. Le scelte politiche non si fanno al buio, non si può provare e vedere poi di nascosto l’effetto che fa, anche perché non si può tornare indietro. Al peggio poi, se proprio vogliamo, non c’è mai un limite, quindi stiamo ben attenti a non buttare il bambino, magari sporco, assieme all’acqua sporca.  Ho una residua speranza nel buon senso di tanta gente. Quando si arriva alle decisioni fondamentali generalmente prevalgono l’equilibrio e la razionalità, ma come scrivevo sopra, dopo brexit e Trump, tutto è grillinamente e berlusconicamente possibile.

25/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Genesi 22,1-2.9a.10-13.15-18; Salmo 115; Romani 8,31b-34; Marco 9,2-10.

 

Riflessione personale

 

Oggi va in scena il prologo della Risurrezione. Come in un’opera lirica si intravede quanto dovrà succedere, anche se non lo si capisce fino in fondo. Pietro, Giacomo e Giovanni, che assistono a questa Trasfigurazione di Gesù, si chiedono cosa voglia dire risuscitare dai morti.  Forse abbiamo fatto l’abitudine all’idea di questo nostro meraviglioso destino. Scrive san Paolo ai Romani: «Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?». Risusciteremo anche noi! Vivremo per sempre nell’amore di Cristo, il quale ci saprà difendere quale impareggiabile avvocato (il difensore sedeva a destra in tribunale).

C’è da rimanere stupiti di fronte al mistero fondamentale della nostra fede e infatti gli apostoli ad una prima parziale manifestazione di tale mistero rimasero spaventati e sconvolti, vaneggiarono. Faticarono a credere alla Risurrezione di Gesù: era ed è un fatto talmente grande…Noi vinciamo la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada, per virtù di colui che ci ha amati e da cui niente potrà mai separarci.

Quando viviamo un momento meraviglioso, pensiamo all’unione totale con la persona amata, vorremmo che non finisse mai: un sacerdote amico mi prospettò arditamente che il premio eterno potrebbe essere simile all’estasi di un infinito atto d’amore. Scendendo dal monte della Trasfigurazione Gesù ordinò ai tre privilegiati apostoli di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti. Lo fece probabilmente per prudenza e perché non poteva pretendere troppo da questi suoi generosi apostoli. Ora la prudenza lascia il posto alla certezza, siamo più attrezzati dal momento che viviamo nel dopo Risurrezione di Cristo: dobbiamo credere e annunciare questo evento incredibile ma vero. Non ce ne rendiamo conto. Dio, che aveva promesso un futuro infinito ad Abramo perché era stato disponibile a sacrificare suo figlio, si sostituisce ad Abramo, sacrifica suo Figlio e ci dona così la vita eterna.

La sera in cui le spoglie di mia sorella Lucia sono state portate nella camera mortuaria di Villa S. Bernardo, mi è sembrato di risvegliarmi da un bruttissimo sogno, un inarrestabile concatenarsi di eventi tragici che distruggevano una persona a livello fisico e persino mentale, ma purtroppo mi accorgevo che si trattava della realtà. La morte sembrava avere avuto il sopravvento nonostante che la “battagliera” Lucia avesse cercato di arginarla. Contemporaneamente mi sono fatto questa riflessione, poco teologica ma molto umana: non può finire tutto così, sarebbe una beffa più che colossale. Tutto sommato è più difficile credere nella morte, che ci scaraventa nel nulla, che nella vita oltre la morte. E poi ce lo ha dimostrato Gesù. Se non ci fidiamo di Lui, di chi potremo fidarci?

 

 

I trump…oli della politica italiana

Dopo l’ennesima strage in una scuola statunitense, il presidente Trump ha ascoltato le proposte provenienti da giovani studenti e loro genitori, poi ha sparato la sua demenziale proposta: diamo le armi agli insegnanti. Al di là del gravissimo problema si impone una riflessione di fondo: se l’uomo più potente del mondo affronta le situazioni complesse e delicate con la sensibilità di un rinoceronte e il garbo di un elefante, cosa ci sarà da aspettarsi dai suoi emuli sparsi nel mondo? Il punto critico della questione non è Trump in sé e per sé: abbiamo capito che è un deficiente alla spasmodica ricerca di scoop che coprano la sua inettitudine. Il fatto inquietante è che abbiamo (?) riportato il mondo a “La fattoria degli animali” di orwelliana memoria, facendoci governare dal maiale Trump, capofila dei maiali emergenti nel globo terrestre.

Trump è l’interprete autentico della mentalità corrente e sta diventando il capo-scuola degli uomini di potere che si richiamano ad essa per istigarla e cavalcarla. La delinquenza si combatterebbe concedendo a tutti licenza di uccidere; l’immigrazione si arginerebbe erigendo muri; la pace si otterrebbe con le minacce e le rappresaglie; il benessere economico si raggiungerebbe con il protezionismo; l’equilibrio mondiale con il nazionalismo.

Mio padre in una sorta di ingenuo delirio giustizialista si illudeva di risolvere il problema dell’evasione carceraria apponendo un cartello “chi scappa sarà ucciso”, pur sapendo come gli ordini secchi e perentori, si pensi alle indicazioni del “divieto di sosta”, non abbiano un effetto diverso dal nulla. Ebbene Trump, colto da ben altro delirio, ritiene di arginare l’uso improprio delle armi allargando la dotazione delle stesse, volendo farci credere che il possesso delle armi sia indirettamente proporzionale al loro uso. Tutto cioè si risolverebbe con l’uso delle armi proprie ed improprie. Qui mio padre si riscattava alla grande: era estraneo alla mentalità militare, ne rifiutava la rigida disciplina, era allergico a tutte le divise, non sopportava le sfilate, le parate etc., era visceralmente contrario ai conflitti armati.  Quando capitava di ascoltare qualche notizia riguardante provocazioni fra nazioni, incidenti diplomatici, contrasti internazionali era solito commentare: “S’ag fis  Mussolini, al faris n’a guera subita. Al cominciaris subit a bombardar”.

 

La pantomima statunitense ci sta condizionando più di quanto si possa immaginare. I replicanti trumpiani di casa nostra mi spaventano: la copia spesso è peggio dell’originale. Temo assai più il deleterio effetto valanga della non politica trumpiana sulle prossime elezioni italiane che non la stizza mercatista all’instabilità governativa del nostro Paese, paventata dalle sconsiderate, improvvise ed improvvide uscite di Junker, presidente della Commissione Europea, in vena di penoso protagonismo.  Junker fa del mero e comico tatticismo politico, Trump interpreta una virale ed avvolgente tragicommedia. La combriccola dei ladri di Pisa si sta allargando: piacciono Trump e Putin e ad essi molti guardano con interesse. Propongo un’esercitazione politica in preparazione dell’esame elettorale. Facciamo una ricerca su internet delle dichiarazioni benevole rilasciate dai politici italiani sull’operato di questi loschi figuri. Ne scopriremo delle belle. Almeno non potremo dire che non sapevamo: avremo scelto, a ragion veduta, di farci masochisticamente del male. Elettore avvisato…

Chiudo con mio padre: si fidava del prossimo con una giusta punta di scetticismo; a chi gli forniva un “passaggio” in automobile era solito chiedere: “ Sit bon ad  guidar”. Naturalmente l’autista in questione rispondeva quasi risentito: “Mo scherzot?!”  E mio padre smorzava sul nascere l’ovvia rimostranza aggiungendo: “Al fag parchè se pò suceda quel, at pos dir dal bagolon”.

 

24/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Deuteronomio 26,16-19; Salmo 118; Matteo 5,43-48

 

Riflessione personale

In quanto credenti e battezzati siamo vocati alla santità, anzi siamo già “santi”, vale a dire salvati. Come inizio non c’è male. Il resto dipende da noi. Gesù non si accontenta del minimo indispensabile, ci chiede di essere perfetti: non vuol dire essere senza difetti, ma buttare il cuore oltre l’ostacolo, amando i nemici, pregando per i persecutori, amando anche quelli che non ci amano. Sembra impossibile…Quindi Gesù pretende l’impossibile? In un episodio del vangelo Egli incontra un bravo e ricco giovane e lo invita a lasciare tutto per scegliere la sua sequela: commentando il suo tacito e sconsolato rifiuto afferma che è più facile che un cammello entri per la cruna di un ago che un ricco nel Regno di Dio. Gli apostoli si allarmano e deducono quindi che sia impossibile salvarsi. Gesù li tranquillizza rispondendo: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio”. In un altro passaggio sostiene che se avessimo tanta fede come un granello di senape potremmo spostare le montagne. Quando mia madre si scoraggiava e invocava la morte liberatoria dalle tensioni della vita, mio padre le ribatteva con un pizzico di ironia: «Non preoccuparti, è tutta questione di pazienza…». Per lui, di mentalità laica, pazienza equivaleva a fiducia nel corso e nel senso della vita. Nel caso della perfezione cristiana, non preoccupiamoci, è solo questione di fede, quella che sposta le montagne.

 

Il campionario delle violenze culturali

Tra le tante assurde proposte e le altrettante sciocche osservazioni della campagna elettorale ho fortunatamente ascoltato un commento appropriato e centrato: una battaglia all’insegna della violenza culturale. Espressione forte, che rende l’idea del clima avvelenato in cui si andrà alle urne e da cui difficilmente ci si può difendere con il rischio di trovarsi ad esprimere un voto più sull’onda emotiva che sulla base razionale.

Gli argomenti non vengono raffreddati per essere poi affettati in un’analisi realistica, ma surriscaldati dalla paura per essere serviti bollenti sulla tavola populista. Il tema dell’immigrazione si presta perfettamente a questa operazione: si sparano cifre esorbitanti e fasulle, si punta sul macabro parallelismo tra immigrazione e delinquenza, si ipotizzano rimpatri di massa eticamente inaccettabili e concretamente impossibili, si soffia sul fuoco dell’ignobile connubio tra immigrazione e terrorismo,  si aizzano i poveri nostrani contro quelli forestieri, si criminalizzano le organizzazioni impegnate nel salvataggio dei profughi, si arriva persino a vedere nell’immigrato un portatore di malattie pestilenziali. Dopo avere seminato tanto vento in campagna elettorale, non si potrà che raccogliere molta tempesta nelle urne.

Altro tema violentato culturalmente è quello della sicurezza: si enfatizzano e strumentalizzano tutti gli episodi di criminalità, si crea un vero e proprio panico nei quartieri periferici, si fa dell’allarmismo soprattutto verso le persone più deboli ed esposte su questo fronte, si avvalora l’idea che i delinquenti vengano tenuti in circolazione prima della loro condanna e liberati senza espiazione della pena comminata, si auspica un controllo poliziesco del territorio, si configura un clima da coprifuoco in cui la gente per difendersi deve asserragliarsi nelle proprie case e sparare a vista.

E veniamo alla corruzione: tutti ladri, tutti corrotti o corruttori, tutti compromessi nell’affarismo dilagante, tutti mangiapane a tradimento, tutti pronti ad intascare bustarelle, a praticare clientele, a sperperare il danaro pubblico, a tenere legami mafiosi, a favorire gli amici, ad arricchirsi a spese dell’erario.

Proseguiamo con i problemi del lavoro: non esiste alcuna possibilità occupazionale, i giovani devono andare all’estero, se si crea un posto di lavoro è a tempo determinato, le donne sono sottopagate rispetto agli uomini, sul posto di lavoro vige la prassi dello stalking, aumentano continuamente i posti a rischio licenziamento, non c’è più alcuna garanzia, la pensione è diventata un miraggio, diventiamo sempre più poveri e insicuri.

C’è in atto una sorta di terrorismo psicologico e culturale, dal quale i partiti, soprattutto quelli estremisti e populisti, tentano di lucrare una rendita di posizione, aggiungendo la demonizzazione dell’avversario, la esasperazione dei toni polemici, la criminalizzazione del competitor, l’insolenza verso l’interlocutore, l’arroganza degli atteggiamenti, la maleducazione sistematica, la spudoratezza dei comportamenti. I media che dovrebbero mettere in crisi questo ambaradan di ingiurie ed oltraggi, cavalcano questo andazzo, lo coltivano, lo istigano, lo indirizzano ad una gara fatta di ingiurie, offese e oltraggi.

Questa è violenza culturale da cui il cittadino elettorale fa molta fatica a difendersi, non avendone gli strumenti, il tempo e il coraggio. Anzi, certe persone di debole ancoraggio democratico possono essere indotte a trasferire la violenza dal piano culturale a quello reale: il passo non è molto lungo, la storia lo insegna.Uno scudo protettivo minimale potrebbe essere quello di scartare i partiti che affrontano i problemi e il dibattito con la protervia dell’ignoranza, la spocchia delle proprie idee e la cattiveria verso gli avversari. Una politica che prescinde dall’etica può essere arginata e battuta rispolverando l’etica quale presupposto della politica.

 

23/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Ezechiele 18,21-28; Salmo 129; Matteo 5,20-26.

 

Riflessione personale

 

Durante i preliminari di un incontro di lavoro si parlava del più e del meno e quel giorno si andò a parare sulle mire carrieristiche di tizio e caio. Ad un certo punto, inserendomi in questo sconclusionato chiacchiericcio, confessai di puntare anch’io, nella mia vita, molto ma molto in alto, alludendo chiaramente al Paradiso. Mi guardarono con un misto di stupore e compatimento.

Abbiamo a che fare con un Dio, che in Gesù ci mostra il suo atteggiamento bifronte: molto esigente (chi dice pazzo al proprio fratello sarà condannato al fuoco dell’inferno) al limite dell’impossibile (amare i propri nemici, porgere l’altra guancia a chi ti percuote) e, ad un tempo, incredibilmente misericordioso (che fa festa per un peccatore pentito, che non ricorda le sue colpe). Sembrerebbe un Dio contraddittorio e, rispetto ai nostri umani canoni, fortunatamente lo è.  Ci chiede di puntare molto in alto (perseguendo una giustizia che supera il “giustizialismo perbenista” degli scribi e farisei di tutti i tempi), consapevoli della possibilità di cadere molto in basso (a pascolare i porci come il figliol prodigo), sicuri che ci allungherà la mano per tirarci fuori dalle sabbie mobili del peccato (va’ e non peccare più, nessuna delle colpe commesse sarà ricordata).

Non sono mai salito su un ottovolante perché sono sicuro che non lo reggerei fisicamente e ne rimarrei scombussolato, ma in senso spirituale mi sento sulle montagne russe in un susseguirsi di salite e discese con abbondanti cadute e ricadute. Il segreto è sapersi rialzare sempre e comunque anche dalle cadute più rovinose, non fidandosi della propria forza di reazione, ma allungando la mano verso di Lui, che già ce la porge. Sembrerebbe facile, addirittura comodo, ma non lo è. Tuttavia, nella povertà spirituale della mia vita, non vedo altra soluzione.

Italiani, razzista gente

«Se nel 2014 l’Italia era orgogliosa di salvare le vite dei rifugiati e considerava l’accoglienza un valore, oggi è intrisa di ostilità, razzismo, xenofobia, paura ingiustificata dell’altro non solo verso i migranti, ma anche verso rom e lgbt». Sono le ruvide e sferzanti parole di Gianni Ruffini, direttore di Amnesty international Italia, alla presentazione del Rapporto 2017-2018, che fa anche riferimento agli sgomberi forzati delle occupazioni in Italia. Il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury, a sua volta ha detto che preoccupa la politica di contenimento dell’immigrazione aggiungendo: «Stiamo voltando le spalle alla sofferenza, alle torture e alla schiavitù che accade in Libia».

Questa fotografia, un tantino ingenerosa (esistono anche migliaia di italiani che volontariamente prestano il loro contributo solidale ai migranti), mette comunque il dito nella piaga di una involuzione, che sta vivendo il nostro paese dal punto di vista etico, culturale e politico. I paesi dell’Est-Europa, usciti malconci e con le scarpe rotte dall’esperienza del socialismo reale, accolti con fin troppa fretta nella Comunità Europea ed aiutati nella loro ripresa socio-economica, tendono ad alzare barriere verso gli immigrati e i rifugiati provenienti dai paesi terzomondiali. Gli italiani, che hanno storicamente conosciuto il dramma e l’umiliazione dell’emigrazione, tendono a dimenticarlo e ad esprimere quei tristi sentimenti cui fa esplicito e impietoso riferimento Amnesty. Una sorta di ritardata sindrome rancorosa del beneficiato.

Dobbiamo ammettere che l’Italia sta cambiando in peggio. Non so fino a qual punto questa deriva dipenda da sollecitazioni nazional populiste, per non dire nazifasciste, provenienti da partiti e movimenti che vogliono divulgare, cavalcare e strumentalizzare gli istinti peggiori della nostra gente oppure da un egoistico fenomeno di pessima autocoscienza collettiva, che, a sua volta, porta a cercare corrispondenza in certe forze politiche. Si tratta di uovo e gallina, che comunque predicano e razzolano nel pollaio della paura dei diversi.

Di fronte a questo vergognoso andamento, di cui bisogna purtroppo prendere atto, esistono tre modi di interpretarlo e governarlo. Si può soffiare sul fuoco, dare ulteriore spinta a un fenomeno regressivo promettendo demagogicamente di corrispondere ad esso con drammatiche politiche di esclusione, espulsione e discriminazione. Si può dare un colpo al cerchio e uno alla botte, facendo risalire semplicisticamente le responsabilità a chi ha governato lasciando crescere a dismisura i fenomeni e creando il malcontento. Si può tentare di coniugare antirazzismo e sicurezza in un arduo percorso di ricollocamento geografico, territoriale e culturale. Il primo atteggiamento è tipico della destra estrema leghista e non solo. Il secondo rispecchia la tattica dello scarica barile del movimento cinque stelle, che si ferma sempre e comunque alle colpe altrui senza proporre niente e prospettando concrete e ormai sperimentate cadute dalla padella alla brace. Il terzo è l’arduo tentativo della sinistra riformista di governare i problemi con gradualità e inserendoli in un progetto di compatibilità capace di scolare il brodo di coltura del razzismo e dei suoi presupposti socio-culturali.

Per esemplificare, a costo di banalizzare il discorso, c’è chi accarezza la pancia degli italiani promettendo sostanzialmente di cacciare fuori dalle palle i migranti ad eccezione dei rifugiati patentati, dimenticando di spiegare come, dove e quando verranno portati coloro che in esubero sono arrivati disperatamente sul nostro territorio e come si possa fare a distinguere tra disperazione ammessa e disperazione non consentita. C’è chi ritiene il fenomeno troppo grande e clamoroso per colpa di chi doveva affrontarlo e quindi lo rigira al mittente. C’è chi prova a sporcarsi le mani ed a proporre qualche risposta seppure limitata e per certi versi inadeguata.

Non sarà facile per gli italiani trasferire questo argomento basilare dal livello intestinale a quello mentale. È inutile nascondere che gran parte del risultato elettorale della prossima consultazione politica dipenderà dal modo in cui i cittadini si porranno di fronte a questo spigoloso tema. Amnesty fa il suo prezioso mestiere, fa la sua denuncia, che non lascia scampo. Sembra bocciare anche i tentativi di coinvolgere i paesi africani rei di adottare procedure disumane. Non so se potrà servire a stimolare governati e governanti in un processo di virtuoso riscatto. Bisogna capire se chi entra in cabina e chi si candida ad entrare in Parlamento metterà al primo posto la propria scomoda coscienza o i propri brutali interessi.