La farina russa e la crusca italiana

C’è in Italia un giornale quotidiano che dovrebbe dire sempre la verità, tanto da chiamarsi proprio “La Verità”. Secondo questo autorevole (?) organo di stampa, la notizia della campagna denigratoria del “dimettiti” sul web contro il presidente Mattarella non sarebbe opera di troll russi, ma farina del sacco degli italiani e della loro facoltà di critica: gli 007 nostrani, investiti della questione, sarebbero arrivati a questa conclusione. Come ho già scritto, sono quasi sicuro: questa vicenda non sarà mai chiarita. Può darsi addirittura che qualche buontempone arrivi ad ipotizzare che Sergio Mattarella abbia inondato internet per autoflagellarsi e uscire come vittima.

Voglio per un attimo prendere per buona la posizione della “Verità” e credere il tutto come opera di italiani: verrebbe solo da nostri connazionali il bombardamento informatico contro il Capo dello Stato. La cosa cambierebbe aspetto alla vicenda, ma ne aumenterebbe enormemente la gravità. Di male in peggio. La massima istituzione democratica messa alla berlina dagli italiani stessi in vena dissacratoria e provocatoria. Sempre più in basso: non si tratta di diritto alla critica, ma di patologia mentale e di ingiurioso divertimento per cittadini scemi. Faccio sempre più fatica a capire i miei connazionali.

D’altra parte, come noto, molti ex comunisti di stretta e faziosa osservanza sono arrivati a votare per la Lega. Ci possono essere motivi psicologici, storici, sociali e politici al riguardo e mi sono sforzato di passarli in rassegna in precedenti commenti ai fatti del giorno. In concomitanza con lo “sputtanamento” indirizzato contro Mattarella mi sono chiesto se, per caso, gli italiani non avessero perso completamente la bussola. Una ulteriore e plausibile prova di simile degrado può essere effettivamente individuata nel paradossale giro di valzer da estrema sinistra ad estrema destra operato da molti ballerini in stato confusionale.

Mi sono provocatoriamente chiesto il perché di questa schizofrenica e qualunquistica  virata ed ho trovato ben tre possibili risposte, sparate senza troppo riguardo ed elaborate con brutale semplicismo: questi cittadini forse per tanto tempo hanno votato comunista senza capire cosa stavano facendo, davano un voto di pura protesta senza rendersi conto di quanto facevano; forse hanno perso la testa nell’ultimo periodo e sono ricorsi al primo ciarlatano di passaggio, gli hanno consegnato il cervello; o forse erano nel pallone in passato così come lo sono al presente, e quindi hanno sempre votato con l’ausilio delle loro parti basse. Il discorso è molto eclatante per quanti hanno abbandonato la sinistra, ma anche per quanti votavano democrazia cristiana e non hanno esitato a seguire in massa prima Berlusconi ed ora Salvini. Il discorso riferibile al movimento cinque stelle è un po’ diverso, ma abbastanza simile e, avendolo già ripetutamente affrontato, non voglio ripetermi. Di qui a volare basso al punto da infangare la presidenza della repubblica in un gioco al massacro della democrazia il passo è breve, oserei dire quasi obbligato.

E come ha potuto l’Italia tenere sul piano democratico e fare un cammino di progresso, avendo questi pazzeschi equivoci nella base dei suoi cittadini? Per decenni, con ogni probabilità, le assurdità politiche erano coperte e riscattate ideologicamente e tradotte concretamente in prassi di governo e di opposizione dalla DC e dal PCI, dalle loro autorevoli classi dirigenti, dai difficili equilibri internazionali, da una cultura egemonizzata dai cattolici e dai comunisti, da un progresso economico che dava importanti prospettive di benessere. Venuti progressivamente meno questi ancoraggi, gli elettori si sono sentiti in libera uscita, hanno rotto le righe ed hanno cominciato a sbandare fino al punto di insolentire il massimo baluardo attuale del nostro sistema democratico, il presidente Sergio Mattarella.

La grossolana arte di ribaltare la verità

“I passeggeri sono pregati di non dare monete ai molestatori. Scendete perché avete rotto. E nemmeno agli zingari: scendete alla prossima fermata, perché avete rotto i coglioni”. Così una voce femminile attraverso gli altoparlanti di bordo del treno regionale, che da Milano porta a Cremona e Mantova. La responsabile sarebbe una dipendente dell’azienda che gestisce questi convogli, addirittura la capotreno che rischia il licenziamento.

“Invece di preoccuparsi per le aggressioni a passeggeri, controllori e capitreno, qualcuno si preoccupa dei messaggi contro i molestatori. Viaggiare sicuri è una priorità”. Così il ministro dell’Interno Matteo Salvini su twitter commenta un articolo sulla vicenda di cui sopra.

In un messaggio agli italiani all’estero, in occasione delle commemorazioni per il disastro di Marcinelle e per la giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, il ministro degli Esteri Moavero ha dichiarato: «Marcinelle è una tragedia dell’immigrazione. Soprattutto ora che tanti vengono in Europa non sottostimiamo la difficoltà, ma ricordiamo che noi fummo migranti. Siamo stati una nazione di migranti, siamo andati stranieri nel mondo cercando lavoro e bisogna ricordarlo quando vediamo arrivare in Europa i migranti della nostra travagliata epoca».

I capigruppo di Camera e Senato della Lega, Molinari e Romeo, hanno replicato al messaggio del ministro degli Esteri Moavero di cui sopra: «Paragonare gli italiani che sono emigrati nel mondo, a cui nessuno regalava niente, né pagava pranzi e cene in albergo, ai clandestini che arrivano oggi in Italia è poco rispettoso della verità, della storia e del buonsenso».

Siamo al triste “così è se vi pare” della politica italiana: Luigi Pirandello preso a prestito dai mistificatori della Lega, i quali soffiano sul fuoco e cavalcano il clima di intolleranza che si sta creando nel nostro Paese. Per un’automobile, che sta rischiando di sbandare paurosamente e di andare a sbattere, i leghisti allentano i freni perché, a loro modo di vedere, non servono; sarebbe sufficiente scalare le marce, rischiando così di rovinare anche il cambio o di rimanere senza frizione.

È inutile ed ipocrita negarlo: il clima politico italiano è avvelenato da uno strisciante e subdolo rigurgito razzista, che trova spunto e legittimazione nell’attuale equilibrio di governo. La Lega fa la faccia feroce, il M5S alleggerisce i toni, uno la fa l’altro la mangia e la conclusione sta nell’equivoco razzista, che avanza e si insinua nei meandri della nostra problematica sociale.  Nemmeno Marcinelle, con la sua travolgente e drammatica memoria storica, è occasione per smorzare i toni dell’assurda polemica anti-immigrati. Non si riesce a riportare un minimo di serenità e ragionevolezza negli atteggiamenti: il vento seminato sta dando i primi avvelenati frutti della zizzania. Il presidente della Repubblica continua a lanciare i suoi messaggi e lo fa con ammirevole coerenza e discrezione. Speriamo che il buon seme abbia il sopravvento: «La tragedia di Marcinelle resta parte indelebile della memoria collettiva. Il sacrificio di 262 lavoratori, tra cui 136 connazionali, è destinato a richiamare alla memoria di tutti noi il valore delle sofferenze e del coraggio dei migranti in terra straniera alla ricerca di un futuro migliore, da costruire con il loro lavoro».

 

La Fontana che sparge perbenismo razzista

È inutile e inaccettabile far finta che gli immigrati siano delinquenti potenziali e gli italiani siano brava gente, che deve difendersi dall’invasione barbarica. Non è così. Molti italiani, anche quelli probabilmente muniti di certificazione elettorale leghista, approfittano e speculano clamorosamente sulla pelle dei disgraziati e disperati, magari di quelli che chiamiamo clandestini e che vorremmo rimpatriare frettolosamente: ne sfruttiamo indegnamente il lavoro, offriamo loro ricoveri indecenti a prezzi esosi, li trattiamo come carne da lavoro nerissimo, ce ne serviamo illegalmente e poi vorremmo disfarcene. Siamo all’immigrato usa e getta.  Se questo non è il peggiore dei razzismi, cos’è?

Ogni tanto emerge la punta dell’iceberg, come nel caso degli incidenti capitati durante i trasporti di questi poveracci, fuggiti dalle loro inumane condizioni in patria per emigrare e venire a morire in un paese sedicente civile. Tutti sanno della piaga sociale del caporalato, che ha trovato negli immigrati l’ideale fonte a cui attingere facilmente. Nessuno interviene. Avessimo almeno il buongusto di tacere. No, criminalizziamo chi raggiunge le nostre coste e noi ci comportiamo da criminali; consideriamo gli immigrati come ladri di lavoro e noi li derubiamo preventivamente della loro forza lavoro. Dovremmo vergognarci!

Vorrei capire cosa sta facendo il ministro Salvini per combattere questa purulenta piaga, che infetta la carne degli africani costretti a vivere in condizioni disperate e sfruttati a livello di schiavi. Faccia la voce grossa con i potenziali suoi elettori, abbia il coraggio di aggredirne il malcostume. Non è che i governi precedenti abbiano brillato in tal senso, ma almeno avevano il buonsenso di non spingere l’acceleratore per andare contro questi disgraziati. Denunciare queste situazioni è comunque tempo perso: non riusciamo a vedere oltre il nostro naso. Paradossalmente chi ci sta governando (il ministro per la famiglia Lorenzo Fontana) si preoccupa di ridimensionare la legge Mancino, un provvedimento che sanziona e condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista e aventi per scopo l’incitamento alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali.

Il suddetto ministro fa una disquisizione simile a quella dei capi del popolo ebreo che avevano chiesto la morte di Gesù. Dissero a Pilato che aveva provocatoriamente scritto sulla croce “Gesù nazareno re dei giudei”: «Dovevi precisare che lui non è il re dei Giudei, ma che ha detto di esserlo». Ponzio Pilato ebbe un rigurgito di decisionismo e li mandò a cagare rispondendo loro: «Quel che ho scritto ho scritto». Ebbene, vediamo cosa afferma il leghista Lorenzo Fontana: «Benissimo perseguire i razzisti veri. Ma il problema è che ormai tutto quello che non si uniforma al pensiero unico o al mainstream globalista diventa razzismo. Così è passata l’equazione che chi è contrario all’immigrazione clandestina sia razzista. Ma fermare l’invasione e difendere la propria cultura non sono forme di razzismo. Sono legittime scelte politiche che non possono essere negate per legge».

Manderei molto volentieri a cagare il ministro Fontana, parafrasando all’incontrario quanto dice sir Falstaff del signor Fontana, che si presenta a lui con una damigiana di porto. “Male accolta sia la fontana che sparge simili idiozie sostanzialmente razziste”. Quella di Fontana è la peggiore risposta possibile e immaginabile ai rigurgiti di cui lo sfruttamento lavorativo è causa ed effetto: vuole dare una parvenza di giustificazione culturale al razzismo. Si è sempre fatto così per camuffare le peggiori intenzioni: tutto sommato preferisco paradossalmente chi ha il coraggio di dichiararsi apertamente razzista e di gridarlo nelle piazze e negli stadi.

La libertà di far ammalare gli altri

Quante volte ho sentito dire giustamente che la politica dovrebbe fare un passo indietro in campo sanitario al fine di non invadere un terreno delicato, dove sarebbe d’obbligo lasciare spazio alle competenze scientifiche e professionali. Ebbene sul più bello, quando il discorso si fa nettamente e particolarmente dipendente dalla scienza, ecco spuntare la politica a disturbare il discorso, a scherzare col fuoco, ad immischiarsi in scelte da riservare rigorosamente agli addetti ai lavori.

Se la scienza, pressoché unanimemente, ritiene validi i vaccini per debellare certe malattie e considera destituiti di fondamento certi allarmismi in materia di effetti indesiderati e deleteri dei vaccini stessi, non capisco il perché si debba metterne in discussione l’obbligatorietà in nome di una falsa libertà, che, oltre tutto, mette a repentaglio la salute altrui. Sarebbe comunque assurdo lasciare libertà di vaccino se questa si ripercuotesse solo sulla salute dei figli di chi lo rifiuta, ma dal momento che questa scelta sfiziosa può compromettere la salute di tutti, creando i presupposti di epidemie a danno degli altri soggetti, in particolare i più deboli, la libertà diventa un’assurdità.

Ebbene, stiamo assistendo proprio ad un ritorno di fiamma, in chiave prettamente strumentale, della politica in campo sanitario: l’obbligo vaccinale messo in discussione, scaglionato nel tempo, burocratizzato e depotenziato. Perché? Perché a qualcuno piace fare il furbo e corrispondere a certe paradossali promesse elettorali, scoprire l’acqua calda del libero convincimento rispetto all’obbligo civicamente introdotto e da rispettare. Sarebbe come se a chi passa col rosso, mettendo a rischio l’incolumità di parecchia gente, non si desse una multa salata al limite del ritiro della patente e si puntasse tutto sul cercare di convincere i trasgressori a ragionare e ripensare al loro atteggiamento scorretto. Certo, sarà utile anche tentare di educare i cittadini al senso civico, ma bisognerà pure arrivare a colpire certi comportamenti inammissibili in un contesto civile. Lasciamo alla scienza, ai medici, agli esperti valutare eventuali eccezioni all’obbligo e non giochiamo a soffiare sul fuoco dell’antipolitica. Un tempo si diceva che tutto era politica, oggi tutto diventa antipolitica, persino i vaccini. Siamo alla follia!

Vorrei capire come e con quale faccia può un ministro, un sottosegretario, un parlamentare stabilire che l’obbligo vaccinale possa essere rinviato. Non c’è in gioco una tassa o un adempimento burocratico, si tratta della salute dei cittadini e non si può transigere. D’altra parte ci troveremmo in mezzo a conflitti di competenza tra stato e regioni sulla pelle dei bambini da vaccinare. Ho visto qualche opportuna reazione rispetto alle scuderie di partito: poche. I partiti tacciano, si astengano dall’intromettersi e rispettino un obbligo indiscutibile, rimettendosi a quanto dice la comunità scientifica, chiedendo ad essa tutte le possibili garanzie anche per i soggetti che avessero incompatibilità verso l’assunzione dei vaccini. È pur vero che la medicina non è una scienza esatta, che i medici possono sbagliare, che certi farmaci a posteriori dimostrano la loro inefficacia o addirittura la loro controindicazione. E allora, invece di farci curare dai medici, andiamo negli ambulatori della politica? Se è inesatta la medicina, figuriamoci la politica.  Fare un passo indietro: sarebbe un bel passo avanti.

 

 

Ping Pong e…Pang

Ogni stagione ha il suo giochino. A Natale si gioca a tombola. In agosto, almeno quest’anno, si gioca a ping-pong sulla Tav. Alessandro Di Battista, grillino in libera uscita (non ho capito bene a quale titolo e da dove parli) ha il pregio di dire la verità: non si tratta di fare delle analisi costi-benefici per verificare se la tav sia un’opera redditizia, ma di calcolare l’impatto elettorale delle scelte sulla tav. Il M5S ha ottenuto parecchi voti promettendo di bloccare il treno ad alta velocità, ora deve verificare in termini di consenso elettorale l’atteggiamento da tenere: sarà sostenibile la perdita di voti nel caso di prosecuzione dei lavori oppure sarà opportuno insistere nel bloccare l’opera cercando di mantenere il gruzzolo elettorale accumulato? Detto fuori dai denti il problema sembra solo questo. Dei costi, dei benefici, delle stime, delle previsioni, dei flussi di merci e di persone non frega niente ai pentastellati, che mettono addirittura le mani avanti, sostenendo che tali dati sarebbero “farlocchi” e che quindi bisognerebbe ripartire da capo. Lo afferma il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Danilo Toninelli con la sua innata antipatia, il quale dovrebbe spiegarci il perché siano da considerare stupidi e/o corrotti quanti hanno impostato ed avviato queste mastodontiche opere.

Il ministro Matteo Salvini tenta di volare alto: «Le infrastrutture servono, servono strade più belle e ferrovie nuove, io voglio andare avanti». Barbara Lezzi, ministro per il Sud in quota grillina, replica al vicepremier Salvini (non ho capito se in riferimento alla Tav, alla Tap o a cosa e se intenda dargli ragione o contrastarlo): «In Italia servono le infrastrutture, ed in particolar modo ne hanno estremo bisogno il Sud e le aree interne del Centro-Nord. È la carenza di questo genere di investimenti che ha provocato una perdita ulteriore di posti di lavoro al Sud di 300.000 unità. Strade sicure, ferrovie, scuole, ricerca, università, bonifiche, anti-dissesto idrogeologico, energia pulita è quello che l’Italia aspetta». Ma la Tav non è una ferrovia? E la Tap non è un gasdotto? Non sono infrastrutture? Cosa sono?

Anche il presidente del Piemonte, il governatore Chiamparino, aggiunge la sua cucchiaiata, dichiarando che la regione realizzerà un’analisi costi-benefici sul sistema delle grandi opere, perché quella governativa si annuncia già scritta, visto a quali amici del trasporto su gomma e delle autostrade è stata affidata. Sarebbe opportuno fosse più chiaro e spiegasse meglio le sue gravi allusioni. Poi aggiunge: «Nelle regione del Nord-Ovest le grandi opere europee sono reciprocamente correlate: o vanno avanti per tutti o si fermano per tutti». E infine lancia l’hashtag “difendiamoilpiemonte” finalizzato a percorrere la strada della crescita.

Sembra un dialogo come quello che spesso ricordava mio padre: una gustosa chiacchierata tra due sordi. Uno dice all’altro: “Vät a lét?”; l’altro risponde:” No vagh a lét” E l’altro ribatte: “Ah, a m’ cardäva ch’a t’andiss a lét”.

Tornando al ping-pong mi viene spontaneo pensare ai tre personaggi dell’opera pucciniana Turandot: si chiamano Ping, Pong e Pang, e, manco a farlo apposta sono i ministri del regno cinese, di cui Turandot è la bellissima e frigida principessa.  Vogliono tentare di dissuadere il pretenzioso straniero Calaf dal suo intento di sottoporsi alla macabra gara degli indovinelli, imbambolato dal fascino incontenibile della gelida e spietata principessa. Questi gli prospettano pittorescamente il rischio di essere sbudellato e fatto a pezzi in caso non riesca a risolvere i quesiti, gli buttano in faccia le delusioni erotiche della carne cruda principesca che non si mangia, gli offrono l’opportunità di avere cento mogli e cento letti su cui consolarsi. Gli fanno una tale confusione, che finisce col confermare ancor più l’intenzione spericolata di questo giovane in cerca di guai. I nostrani velleitari Ping, Pong e Pang alla fine lasceranno intatto il fascino delle gelide infrastrutture e tutto proseguirà nella gara in cui, speriamo di trovare, oltre alla morte dell’ostinato ambientalismo di Liù, l’amplesso liberante dello sviluppismo di Calaf. Se qualcuno non ha ben compreso la metafora, non gli resta che vedere l’opera di Puccini e poi, magari, mi darà anche ragione.

 

Stiamo cadendo nel gorgo delle mafie russo-americane?

Spesso serve fare un passo indietro a livello di memoria storica: riandiamo al maggio 2018 in piena bagarre per la formazione del nuovo governo. Il Presidente della Repubblica, pur prendendo atto di una tardiva, faticosa e rissosa prospettiva di un governo tra M5S e Lega, pur accettando di affidare la presidenza del Consiglio ad una figura di profilo piuttosto ermetico, il professor Giuseppe Conte spuntato dal cilindro grillino e  “bevuto amaramente” dalla Lega, si impunta (giustamente) sul nome di un ministro dell’economia alquanto sbilanciato in senso euroscettico: usando i poteri che la Costituzione gli affida dice un no motivato a Paolo Savona per quel dicastero e lo spiega pubblicamente in modo piano e chiaro. I due partiti del potenziale nuovo governo si impuntano e la situazione sembra orientata verso lo sbocco di un governo tecno-presidenziale di breve transizione per arrivare in tempi stretti a nuove elezioni politiche.

In quel momento si scatena una scorretta e sleale azione di colpevolizzazione verso Sergio Mattarella arrivando persino da parte di Luigi Di Maio alla farneticante richiesta di messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. Sappiamo tutti come andò a finire: con un vergognoso voltafaccia da parte di chi prometteva fulmini e saette e con la paziente e meritoria opera di ricupero della situazione da parte di Mattarella.

In questi giorni emergono elementi inquietanti e gravissimi su questa vicenda: dopo che Luigi Di Maio aveva chiesto la messa in stato d’accusa del Capo dello Stato, migliaia di profili Twitter bombardarono la Rete con la stessa parola d’ordine “MattarellaDimettiti” e la rete, questo lo si sapeva da tempo, divenne lo sfogatoio indecente di offese gratuite e pesanti all’indirizzo di Sergio Mattarella. Furono scritte e divulgate parole irripetibili e offensive al limite dell’incredibile.   Sembra che gli attacchi web fossero concertati e ispirati dall’azione di agenti stranieri russi sotto copertura, i quali usavano quei profili per continuare a far filtrare nel nostro Paese la propaganda a favore dei partiti populisti, dei sovranisti e degli anti-europei. Discorsi che avevano un precedente riguardante l’influenza sugli inglesi in occasione del referendum Brexit e sulla candidatura di Donald Trump alle elezioni americane. Siamo in presenza di ipotesi, che negli Usa stanno avvelenando la presidenza Trump e condizionando il suo comportamento nei rapporti interni e internazionali. Non si saprà mai la verità perché quando ci sono di mezzo i servizi segreti (o robe del genere) tutto rimane avvolto nelle nebbie. Staremo comunque a vedere gli esiti dell’inchiesta aperta dalla Procura di Roma e dall’indagine affidata al pool di magistrati che si occupa dell’antiterrorismo.

Al di là delle responsabilità a livello legale ancora tutte da dimostrare, a livello politico si pongono degli interrogativi di una gravità eccezionale. Il nostro Paese ad opera di M5S e Lega è trascinato nella deriva populista, sovranista ed antieuropea con il padrinaggio Trumpiano e Putiniano e con l’appoggio dei paesi del patto di Visegrad? Se ne parlava da tempo, se ne parlò durante la campagna elettorale, se ne vede qualcosa in filigrana nella tempesta web dello scorso maggio, se ne deduce qualcosa dal precipitoso bacio della pantofola trumpiana da parte di un frastornato e frastornante Giuseppe Conte in veste di improbabile statista. Ce ne rendiamo conto? Io, oltre ad essere dispiaciuto per l’atteggiamento inaccettabile verso il Capo dello Stato, sono molto preoccupato per la collocazione dell’Italia nel contesto europeo ed internazionale. Se mai dovesse avere qualche ragione chi analizza e contestualizza tutto nelle lotte fra poteri forti, potremmo trovarci in mezzo ad un duello fra quelli filoeuropei e filooccidentali e quelli populisti, casinisti e filomafiosi russo-statunitensi. Pur rifiutando questa drammatizzazione globale della politica, se proprio dovessi scegliere starei dalla parte di Mario Draghi, della Ue e di Sergio Mattarella. Vadano in malora i saltafossi anti-establishment nostrani e mondiali!

Pace fatta tra santissimo governo e cani volterriani

Papa Francesco ha finalmente approvato una modifica al testo del Catechismo della Chiesa Cattolica dichiarando inammissibile la pena di morte e impegnando la Santa Sede ad attivarsi con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo.

Era ora! Si tratta di una di quelle novità “patocche”, che fanno fatica ad entrare nei documenti ufficiali della Chiesa, perché troppo spesso la ragion di Chiesa prevale sulla ragion di Vangelo. Negli insegnamenti evangelici la legge del taglione, di cui la pena di morte altro non è che la versione pubblica, viene superata. “Avete inteso che fu detto agli antichi: non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarò sottoposto al fuoco della Geenna. Avete inteso che fu detto: occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al male; anzi, se uno ti colpisce alla guancia destra, tu porgigli anche la sinistra”.

Sto leggendo in questi giorni diverse analisi critiche sul pontificato bergogliano: tutto si può dire, tutto è discutibile. Una cosa è certa: lo sforzo principale di papa Francesco è quello di ricondurre la religione nel solco evangelico, riportando le questioni etiche alle indicazioni di Gesù e pulendole da tutte le incrostazioni tradizionali. Fatto questo si può dire di aver fatto un bel passo avanti, anche se poi gli insegnamenti evangelici vanno messi in pratica. E quindi bisognerà che tutti, dalla Santa Sede in giù, si abbia il coraggio di denunciare le situazioni ed i comportamenti degli Stati, che, direttamente o indirettamente, mantengono la pena di morte. Sì, perché è morte anche un trattamento carcerario inumano, è morte anche il “fine pena mai”, è morte la tortura, è morte tutto ciò che punisce senza possibilità di riscatto e di reinserimento nella società.

Bisogna avere il coraggio di gridarlo in faccia ai dittatori di tutto il mondo, ma anche ai capi di stato democratici, i quali magari si voltano dall’altra parte e pensano che esistano problemi più gravi   rispetto al suicidio in cella di tanti carcerati, spesso in attesa di giudizio. “Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione della sue carceri” diceva Voltaire.

In Tosca, opera lirica di Giacomo Puccini, il sagrestano della chiesa di Sant’Andrea della Valle – a fine settecento e inizi ottocento nella Roma papalina, all’indomani della caduta della prima repubblica romana, il pittore Mario Cavaradossi, artista laico, simpatizzante repubblicano e bonapartista, sta dipingendo un quadro di Maria Maddalena – borbotta fra sé: “Con quei cani di volterriani nemici del santissimo governo, non s’ha da metter voce”. Infatti lo stato vaticano brillava per carceri, torture ed esecuzioni capitali anche e soprattutto degli avversari politici. Se qualche retaggio e titubanza per questa triste storia del passato rimaneva nei documenti ufficiali della Chiesa Cattolica, ben venga il colpo di spugna definitivo di papa Francesco. Ma poi…

 

 

Molta vergogna e poca dignità

Sono rimasto letteralmente basito seguendo il dibattito parlamentare sul cosiddetto decreto dignità, che doveva essere il primo intervento governativo a gamba tesa sulle problematiche del lavoro. Questo provvedimento legislativo mostra tutte le sue contraddizioni di merito: l’esagerata esorcizzazione dei contratti a termine a favore del lavoro in affitto nel momento congiunturale più sfavorevole e sbagliato che potesse esistere; la quasi certezza di cancellare nel tempo posti di lavoro scoraggiando la flessibilità e penalizzando il lavoro tout court; la confusione nell’utilizzo dei voucher. Inoltre mette il dito nella piaga politica, registrando una clamorosa retromarcia grillina rispetto a quanto figurava nel programma del M5S e su cui i pentastellati avevano battuto molto: il ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori con il relativo obbligo di riassunzione del lavoratore licenziato ingiustamente.

Ebbene, l’emendamento che prevedeva ciò, presentato da LeU (Liberi e Uguali), è stato bocciato dall’Aula della Camera con 13 voti favorevoli, 317 voti contrari e 191 astenuti, con tanto di impietosi applausi di scherno indirizzati ai deputati pentastellati, i quali in parole povere hanno votato contro il proprio programma in nome di una realpolitik tale da fare invidia ai più smagati politicanti. Se questa è la cifra innovativa del governo e della sua maggioranza…

Se tanto mi dà tanto, succederà più o meno la stessa cosa in materia di riforma pensionistica e temo che le bolle di sapone si moltiplichino ed esplodano in breve tempo. Qualcuno penserà sicuramente che io sia troppo intransigente nei confronti di questo nuovo governo: la mia intransigenza è innanzitutto direttamente proporzionale a quella con cui i protagonisti si sono comportati nel passato, quando erano minoranza; in secondo luogo non sopporto chi me la vuol dare ad intendere; in terzo luogo l’incoerenza in politica l’ho sempre ritenuta il peggiore dei mali, perché ne annulla i presupposti democratici, ne falsa le regole, ne scombina i tempi e i modi.

Non si tratta solo di dilettantismo, di impreparazione, di inesperienza, ma soprattutto di ingannevole proposta politica clamorosamente sbandierata in campagna elettorale e frettolosamente smentita alla prima prova dei fatti. Tutto ciò rischia di essere coperto dall’omertoso vortice mediatico in cui viviamo. Non so al momento come finirà la nomina del nuovo presidente Rai: lo stop a Marcello Foa, chiaro e lampante tassello nel mosaico casaleggiano, è solo un piccolo break imposto alla strategia grillina. E fa decisamente sorridere il gridare al rifiuto del nuovo che avanza: ma quale nuovo? Io vedo solo vecchi trucchi per coprire le magagne di chi non sa e non vuole fare politica, ma solo demagogia. Più che “dignità” il decreto in materia di lavoro, sfornato dai giallo-verdi, mi sembra un decreto “vergogna”.

Dal Tip-tap al Tav-tap il passo (di danza ) è breve

Tav-tap non è l’onomatopeico giochino dell’estate, che impazza sulle spiagge, ma un labirinto di sigle in cui districarsi e per uscire dal quale non si trova il filo d’Arianna di cui il Teseo dell’antipolitica avrebbe bisogno, dopo una campagna elettorale, che ha ucciso la politica ridotta a Minotauro.

Lasciamo perdere la mitologia e veniamo alla sconclusionata discussione su Tav e Tap. Sconclusionata perché? C’è un movimento politico che ha cavalcato il no a queste mega-strutture, lisciando pregiudizialmente il pelo agli ambientalisti ed ai rigoristi e che adesso si trova con in mano il cerino acceso o, se preferite, la patata bollente di opere già in corso e quasi impossibili da interrompere se non pagando prezzi e penalità da capogiro.

Non è forse successo così anche per il forno inceneritore di Parma: l’allora Grillino della più bella specie, Federico Pizzarotti vinse le elezioni amministrative del 2012, promettendo soprattutto, scriteriatamente, la rottamazione di questa struttura già quasi ultimata. Si rivelò un bluff e i parmigiani si rassegnarono al peggio, salvo dover persino arginare ultimamente un piano di potenziamento dell’inceneritore: becchi e bastonati.

La storia si ripeterà pari pari per Tav e Tap. Tav sta per treno ad alta velocità sulla linea Torino-Lione, una ferrovia in avanzato stato di composizione, che ha suscitato da sempre polemiche, battaglie anche cruente, conflitti di competenza, sommosse di protesta, etc. Discorso analogo per la Tap, Trans Adriatic Pipeline, gasdotto trans-adriatico in avanzata costruzione, che dalla frontiera greco-turca attraverserà Grecia ed Albania per approdare in Italia, nella provincia di Lecce, permettendo l’afflusso di gas naturale proveniente dall’area del mar Caspio in Italia e in Europa.

Il governo sulla materia contiene in sé pareri molto discordanti e mostra l’imbarazzo di doversi rimangiare da parte dei pentastellati la parola data. Allora ci si arrampica sugli specchi della tardiva analisi dei costi-benefici, del contenimento dell’impatto ambientale, della rigorosa ricerca di interessi sporchi annidati nella costruzione, del confronto con la gente: tutta aria fritta. Le due opere, giunti a questo punto, si faranno e lo si sapeva benissimo anche quando si sparavano assurde promesse elettorali.  Persino Trump, con la sua solita diplomazia, ha spinto il governo sulla Tap e Conte ha divagato ricordando i malumori delle comunità locali, su cui cercherà di lavorare per appianare le resistenze anche incontrando direttamente le autorità locali in Puglia. E Trump avrà capito tutto, lui maestro di incoerenza populista, si sarà tranquillizzato.

I nodi vengono al pettine anche per il M5S. Che mi infastidisce non è tanto l’inevitabile ridimensionamento dei programmi elettorali (un conto è parlar di governo, un conto è governare), ma l’inganno precalcolato. Ricordo che quando in regione emilia-romagna, negli anni settanta si parlava per Parma dell’autoporto di Fontevivo, ai piacentini la cosa non andava giù: nella nostra città girava l’ironica voce che, in cambio, a Piacenza sarebbero stati concessi i fondi per la costruzione di un mega-deposito di biciclette localizzato in un’area da individuare a servizio del traffico su due ruote. Una qualche contropartita ai grillini ed ai loro scalmanati sostenitori verrà offerta: ci penserà Salvini a quadrare il cerchio. E chi ha votato i cinque stelle credendo alle loro velleitarie promesse? Abbozzeranno fin che potranno…anche perché di retromarce se ne stanno profilando parecchie. A proposito, Tav e anche l’acronimo di Tiro al volo: più che di tiro al volo da parte dei grillini si può parlare di tiro ai cinque stelle.

Bullismo a trecentosessanta gradi

Mio zio Ennio sacerdote venne a far visita a mia madre e, mentre attraversava il piazzale antistante l’abitazione, fu aggredito verbalmente da un giovane del quartiere ed apostrofato in modo volgare ed offensivo. Mia madre assistette alla scena in lontananza, dalla finestra. Chiese cosa fosse successo e lo zio sdrammatizzò l’accaduto, colpevolizzando non il giovane, stupido e violento interlocutore, ma l’ignoranza che lo attanagliava. Alla mamma però non bastò la cristiana indulgenza del sacerdote né la sottovalutazione dell’accaduto. Alla prima occasione d’incontro con quel ragazzo, lo rimproverò aspramente, gli spiegò la gravità del comportamento tenuto e lo diffidò dal ripetere simili bullismi, pena un intervento eloquente a suon di ceffoni: come al solito questi prepotentelli, se opportunamente aggrediti, scappano dalle loro responsabilità (così almeno succedeva un tempo). Ed anche questo borbottò qualche assurda scusante e si allontanò: l’episodio funzionò indubbiamente da antidoto per le future eventuali mire provocatorie.

Sono riandato a questo piccolo, ma eloquente, episodio di un passato remoto a significare che i “bulli” ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Caino non è stato forse il primo delinquenziale bullo del genere umano? Cosa è tuttavia che caratterizza il fenomeno del bullismo in questi tempi oltre al suo dilagare? Probabilmente il fatto che è diventato il multiforme schema di comportamento generale e che sembra addirittura un comportamento vincente. Partiamo dall’alto. Non è forse bullismo il modo di governare di Donald Trump e Vladimir Putin nei loro rispettivi ruoli e nei loro Paesi con pesante influenza sulla vita e la storia di tutto il mondo? Non è forse bullismo, incoraggiato da iniziative demenziali trumpiane, quello della classe dirigente israeliana a livello civile e religioso nei confronti dei palestinesi, pur considerando la follia bellicista di questi ultimi.  Non è forse bullismo, in versione quasi infantile, quello del leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, quando gioca alla playstation coi test nucleari e missilistici? Non sono forse aspiranti bulli i leader europei che giocano a spaventarsi reciprocamente, pur riconoscendo la necessità di convivere e collaborare tra gli Stati membri della UE.

Scendiamo di uno scalino. Non sono bulletti della politica i Salvini e i Di Maio impegnati a spaventare la vita politica degli italiani, facendo credere di avere in tasca il segreto per cambiare il sistema? Non è stato un bullo Silvio Berlusconi facendo credere agli Italiani che i suoi interessi coincidessero con quelli della nazione? Il leaderismo esasperato della politica porta inevitabilmente ad una sorta di bullismo. Non è una forma di bullismo il cosiddetto yuppismo, vale a dire il comportamento dei rampanti professionisti, dall’aspetto molto curato e dalla vita frenetica, che mirano a far carriera a tutti i costi ed a scalare la gerarchia sociale, calpestando, senza alcun scrupolo, tutti coloro che si interpongono alla loro salita?

Arriviamo ai bulli che vessano i loro coetanei più deboli per divertimento e per autopromozione psicologica, ai bulli che minacciano e aggrediscono i loro insegnanti, i bulli che spadroneggiano sulle loro donne al punto da deturparne il corpo o addirittura ucciderle barbaramente, i bulli che delinquono quasi per sport seminando paura nelle strade e nei quartieri. Potremmo continuare, ma non serve.  Cosa voglio dire? Che la nostra società è profondamente malata al punto che le sue patologie vengono adottate come schema di vita “sana”. Malattia e salute si confondono in una confusione di insegnamenti e comportamenti fuorvianti. Ritrovare il filo per uscire dal labirinto sarà molto problematico.

Ho iniziato con un episodio, termino con un altro risalente a parecchi anni fa. Ero alla fermata di un autobus ed attendevo con la solita impazienza l’arrivo del mezzo pubblico; accanto a me stavano un giovane padre assieme a suo figlio bambino, ma non troppo. Sfogliavano un giornale sportivo e leggevano i titoloni: il più eclatante diceva della pesante squalifica comminata a Maradona per uso di sostanze stupefacenti. Si, il grande Maradona beccato con le dita nella marmellata. Il bambino reagì sottolineando la gravità della sanzione ed espresse, seppure un po’ nascostamente, il suo rincrescimento per l’accaduto. Qui viene il pezzo forte, la reazione del padre che vomitò (non so usare un verbo migliore): “Capirai quanto interesserà a Maradona con tutti i soldi che ha!!!”. Il bambino non replicò e l’argomento purtroppo si chiuse così. Non so ancora darmi ragione del mio silenzio, ma forse fu dovuto al fatto che una bestialità simile non me la sarei mai aspettata da un padre: ci fosse stato “mio padre” non avrebbe taciuto. In poche parole quel signore aveva lanciato un messaggio negativo, diseducativo all’ennesima potenza. Era come dire al proprio figlio: “Ragazzo mio, nella vita conta solo il denaro, delle regole te ne puoi fare un baffo, della correttezza fregatene altamente”. Arrivò finalmente l’autobus, il tutto finì lì, ma in cuor mio ringraziai mio padre perché non ragionava così.