Le lenticchie sono diventate frutta

Se la contrarietà al governo legastellato sembrava dare un minimo di dignità politica e una parvenza di coerenza alle posizioni di Forza Italia e se il tentativo di distinguersi dalla deriva populista dello scomodo alleato (?) leghista dava un minimo di credibilità al pur strumentale liberismo  in salsa berlusconiana, l’accordicchio sulla nomina del presidente Rai con un probabile scambio di favori toglie ogni parvenza di serietà alla politica forzitaliota appiattendola definitivamente e irreversibilmente sul portafoglio di Arcore.

Il candidato alla presidenza Rai, Marcello Foa, diventa improvvisamente accettabile in cambio di un succoso piatto di lenticchie pubblicitario per Mediaset e dintorni. Più i consensi a Forza Italia si assottigliano e più si scopre quanto si sapeva fin dal 1994, vale a dire che questo partito altro non era e non è se non la longa manus politica dell’impero mediatico e degli interessi imprenditoriali di Silvio Berlusconi.

I grillini che, in sede di formazione del governo giallo-verde, si erano pateticamente battuti per tenere rigorosamente fuori dalla porta il vecchiume berlusconiano, se lo trovano improvvisamente alla finestra, socchiusa da Salvini, probabilmente in cerca, anche lui, di soldi e di un filo di collegamento con il centro-destra vecchia maniera. Una buffonata! Il M5S la berrà da bótte? Nel bailamme governativo c’è posto anche per simili pasticci, uno più uno meno non fa una grande differenza. Non c’è argomento infatti su cui si riscontri un minimo di accordo fra i partner di governo: non riesco a capire se la partita volga al termine e tutti cerchino di lucrare posizioni elettorali e politiche per il dopo o se sia ancora presto per togliere le tende e quindi si tenda a vivacchiare su tutto. In una situazione del genere può essere interessante anche un ammorbidimento dell’opposizione di Fi? In fin dei conti un po’ di pubblicità in più a Mediaset potrebbe persino valere una più tranquilla situazione parlamentare in vista della manovra finanziaria. Tutto fa brodo, anche le lenticchie.

Il vero problema infatti è come uscire dal collo di bottiglia di una legge di bilancio, che non offre margini per avviare quelle promesse elettorali, peraltro contraddittorie, formulate da Lega (alleggerimento fiscale) e dal M5S (reddito di cittadinanza) e da entrambi (revisione della stretta pensionistica di marca Fornero). Miliardi che ballano sotto l’occhio scettico dell’Europa e sotto gli occhi famelici dei mercati finanziari. Berlusconi può dare un minimo di aiuto e copertura sul fronte Ppe? Se la realpolitik grillina si riduce a (con)cedere spazio di manovra al sempre più invadente alleato leghista e a votarsi al peggior nemico (lo psiconano) per uscire dall’imbuto europeo, vuol proprio dire che le lenticchie offerte a Berlusconi altro non sono che la frutta a cui sono arrivati o stanno arrivando.

Sinceramente non so se essere divertito per l’ennesima fregoliana comparsa in scena di Silvio Berlusconi, se essere stordito dalle farneticanti e velleitarie proposizioni dimaiane, se essere stupito dalle infinite risorse demagogiche salviniane, se essere impietosito dalle difficoltà di Conte e Tria o… se essere irritato per il balletto precongressuale del Pd, il quale non trova di meglio che continuare a litigare su come fare opposizione, finendo per non farla. Berlusconi ha scelto di non farla e sta incassando il corrispettivo. Il Pd non è fortunatamente così cinico, ma non fa opposizione perché è innanzitutto e soprattutto all’opposizione di se stesso.

 

Le nostre incivili prigioni

Una detenuta del carcere romano di Rebibbia ha gettato dalle scale i suoi due figli, uno è morto e l’altro è ferito gravemente. Li avrebbe lanciati giù per due rampe della sezione nido del penitenziario dove sono ospitati bimbi fino a 3 anni. La donna ha 30 anni ed era in carcere per reati di droga. È morto il figlio più piccolo di 4 mesi. L’altro, 2 anni, è in uno stato di coma irreversibile. La detenuta era stata arrestata ad agosto scorso per spaccio di stupefacenti. Il ministero della Giustizia ha aperto un’inchiesta.

Fin qui l’asciutta notizia, che rischia di passare inosservata nel marasma mediatico della politica e della cronaca. Ne capisco la scarsa audience e l’ancor più scarso appeal elettorale nel clima di paura e di ansia, che si è instaurato nella nostra società. Resta comunque validissimo ed attualissimo l’aforisma di Fëdor Dostoevskij: “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”. Così come dobbiamo sempre fare riferimento al dettato costituzionale: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”.

Se confrontiamo la portata del drammatico episodio di cui sopra con quanto dispone la nostra Costituzione, c’è da rimanere allibiti. La colpa di questa madre è ricaduta sui figli, che ne hanno patito le conseguenze in modo tragico. Probabilmente era in attesa di giudizio definitivo e quindi non colpevole. La pena per una madre accompagnata in carcere dai figli in tenera età mi sembra contraria al senso di umanità. Costringere una madre a vivere in carcere con i figli non è certamente il modo migliore per rieducarla e reinserirla nella società: le si creano sensi di colpa che possono sfociare nel suicidio o nell’omicidio “liberatori”. Trattare in questo modo disumano una donna carcerata è come subdolamente condannare a morte lei e i suoi figli.

Se poi prendiamo alla lettera Dostoevskij dovremmo concludere di essere degli incivili belli e buoni. Il problema carcerario è molto delicato e complesso, ma non si può accantonare con un’alzata di spalle o affrontare con cattiveria vendicativa. La lunghezza delle procedure giudiziarie e del carcere preventivo, la mancanza di pene alternative serie, la possibilità di lavoro per i carcerati, la vivibilità delle prigioni, l’assistenza sanitaria ai carcerati sono tutti aspetti di una materia che, se non affrontata in modo positivo e costruttivo, sforna una quantità enorme di suicidi, una recrudescenza della delinquenza, morti per mancanza di cure adeguate, etc. etc.

La politica, ad eccezione della storica e meritoria attenzione del partito radicale con tutte le sue iniziative interessanti e importanti, è latitante. Spesso chi ha il coraggio di denunciare questa situazione viene tacitato con le solite cavolate: occupiamoci degli onesti, se lo sono voluto, e…amenità di questo tenore. La lotta alla delinquenza non si fa riempiendo a dismisura le carceri, ma vuotandole nel senso di recuperare tutto ciò che è recuperabile, investendo in tal senso e non temendo di sprecare risorse: se una persona esce dal carcere cambiata nella sua mentalità è una vittoria umana e sociale in tutti i sensi; se la persona esce dal carcere frustrata e incattivita è una sconfitta per tutti e un incentivo alla delinquenza.

 

L’idillio intestinale

Sono rimasto sinceramente sconvolto dai dati del sondaggio Pagnoncelli sul caso Diciotti: “Quanto condivide la scelta del ministro Salvini di mantenere la linea della fermezza impedendo gli sbarchi dei migranti soccorsi in mare?”. A questa domanda, peraltro posta in termini chiari, il 61% degli italiani si è detto d’accordo con la linea dura in materia di immigrazione. Solo un quarto degli intervistati è critico. Il consenso è altissimo tra gli elettori leghisti (86%), ma è elevatissimo anche tra i pentastellati (74%) e in Forza Italia e Fdi (72%). Persino un quarto degli elettori Pd è d’accordo. Anche tra i cattolici il sostegno a Salvini rimane prevalente.

Il governo legastellato ha un notevole consenso, che arriva proprio sull’onda dell’opzione dura sul discorso immigrazione. Non sono sorpreso, anche se pensavo che la gestione demenziale del carico umano della nave Diciotti avesse un poco aperto gli occhi agli italiani. Niente! C’è di che riflettere. Come ho già avuto modo di scrivere, la paura fa novanta, ma non so se tutto possa essere spiegato con la paura dell’intruso, che viene a sconvolgere ulteriormente la nostra situazione già difficile. Temo ci sia qualcosa di ben più profondo: una chiusura mentale e culturale frenante e condizionante.

Per tanto tempo si è ignorato il problema che covava sotto la cenere, poi da quando è scoppiato si tende a (non) affrontarlo inseguendo ricette facili e impossibili: stiano a casa loro, da noi non c’è trippa per i gatti, rispediamoli indietro, stanno incasinando la nostra società, di ladri e stupratori ne abbiamo già a sufficienza. Su questi luoghi comuni si è costruito un consenso fortissimo, che la Lega sta accumulando e interpretando al meglio (i sondaggi la danno in rapida e forte crescita) e il M5S sta mantenendo a fatica (i sondaggi lo danno in calo, ma soprattutto in seconda posizione rispetto allo scomodo alleato di governo).

Non so se effettivamente questo prevalente comune sentire possa essere il presupposto socio-culturale per la subdola instaurazione di un vero e proprio regime populista e sovranista. Ci sono inquietanti analogie con la preparazione del regime fascista, ma esistono anche grosse diversità storiche e politiche rispetto a quell’epoca. Non sottovaluterei comunque il rischio dello scivolamento verso un sistema chiuso ed egoistico. La principale differenza con il clima sociale preparatorio dell’avvento del fascismo sta nel fatto che, mentre allora, un secolo fa, gli equilibri economico-capitalisti erano compatibili con una svolta autoritaria e nazionalista, oggi, complice la globalizzazione, una svolta populista e sovranista rischia di buttarci fuori dai mercati e dall’Europa, a meno che questo indirizzo politico non si generalizzi molto di più di quanto stia succedendo oggi.

Certo, sperare che il potere economico possa difenderci dalla deriva reazionaria e populista è alquanto paradossale e forse anche illusorio. D’altra parte oltre all’Europa, pur confusa e contraddittoria, che ci ritroviamo, oltre ai mercati che esigono stabilità e rigore, oltre alla Chiesa di papa Francesco, che viene applaudito da tutti ma condiviso sostanzialmente da pochi, non saprei a quale santo votarmi. Forse, come sosteneva diverso tempo fa Massimo Cacciari, bisogna rifondare la società e la politica partendo dal basso, dai quartieri e dai gruppi. Arriveremo in tempo?

I conti senza l’oste grillino

Apprendo, con molto scetticismo al limite del fastidio, le notizie riguardanti incontri a base di pranzi e cene, finalizzati alla ricucitura dei rapporti politici a destra e manca. In questi giorni ad Arcore si è tenuto un “cordiale e positivo” summit tra Berlusconi e Salvini, presenti anche Tajani e Giorgetti. Fonti di Forza Italia parlano di una “disamina della situazione politica italiana, internazionale ed economica” oltre che della “condizione necessaria per un governo futuro con una coalizione di centro-destra: troppo diversi gli interessi di Lega e M5S”, l’accordo di governo attuale non durerà a lungo.

Gentiloni, Renzi e Minniti hanno accettato l’invito a cena di Carlo Calenda per impedire la deriva del Pd verso l’irrilevanza e la sottomissione al M5S. Un incontro con luogo e data riservati, che a detta dell’ex ministro rappresenterebbe un gesto di responsabilità di tutti i partecipanti, un’ottima notizia per il futuro del Partito democratico.

La sbrigatività di questi incontri mi lascia perplesso: è pur vero che, come si suole dire, la quadra per concludere affari economici si trova a tavola, mentre quella per sanare i conflitti matrimoniali si trova a letto. Nei casi in questione però ci dovrebbe essere qualcosa in più di puri interessi affaristici o di scontri personalissimi. Si tratta di ritualità piuttosto datate, che lasciano il tempo che trovano. Tra l’altro, la storia insegna che, mentre a destra si arriva facilmente ad un accordo purchessia nella spartizione del potere, a sinistra ci si impantana facilmente e ci si divide su tutto.

Probabilmente la giornaliera e sistematica voce contraria al governo giallo-verde scodellata da un pimpante Renato Brunetta altro non è che un contrappunto strumentale al fine di logorare la situazione e costringere la Lega a ritornare nella casa del padre. Ho l’impressione che Berlusconi non abbia grandi risorse politiche tali da ingolosire Salvini, a meno che la scarsità di risorse economiche, conseguente anche al sequestro giudiziale dei fondi della Lega, e i rischi incombenti su Mediaset non inducano tutti a più miti consigli. “Dura minga, non può durare” dice Tajani riferendosi al matrimonio di interessi elettorali, e non solo, alla base dell’attuale patto o contratto di governo. Tuttavia c’è un convitato di pietra, il potenziale elettore M5S (molto più aggredibile da parte di un Salvini battitore libero), che potrebbe far saltare nuovamente il banco del centro-destra.

Passiamo a sinistra. Il partito democratico è alla disperata ricerca di un rilancio politico ed elettorale, ma penso si illuda di trovarlo in un accordo tra alcuni maggiorenti del partito stesso, ritenendo che la debacle sofferta ed in continua accentuazione sia dovuta a divisioni di vertice e personalismi pseudo-leaderistici. Non è così semplice! Discutere fa bene, ma bisogna farlo nei modi, nei tempi e nei livelli giusti. La maionese democratica rischierebbe di impazzire ancor di più, lasciando campo ulteriore al convitato di pietra, l’elettorato grillino, che potrebbe rientrare dalla finestra dopo essere uscito dalla porta.

I politici in crisi di consenso devono capire che la frattura con i cittadini è profonda e non è sanabile con degli accordicchi di vertice. Proviamo a ipotizzare: un elettore di destra, che ha deciso di votare M5S, si lascerà sconvolgere nel suo comportamento da una ritrovata e finta unità d’intenti tra Berlusconi, Salvini e Meloni? Ho molti e seri dubbi. Un elettore di sinistra si lascerà commuovere da un improvviso patto di non belligeranza tra Gentiloni, Renzi e Minniti o da un una nuova leadership calendiana? Ho molti e seri dubbi. Ci provino e staremo a vedere. Sappiano che, tutto sommato, in libera uscita si sta meglio che in caserma. Personalmente quindi al loro posto abbandonerei le scorciatoie e proverei a tracciare un percorso nuovo a costo di allungare i tempi. Un bipolarismo serio non si costruisce solo mettendo in difficoltà il terzo polo, ma togliendo ad esso la terra da sotto i piedi.

Le Cassandre tra il mito troiano e la realtà italiana

Quando rifletto sulle frasi del cardinal Martini, mi viene spontaneo pensare che, da una parte sarebbe stato un papa gigantescamente innovatore, ma dall’altra forse troppo avanzato e avrebbe spiazzato tutti, anche perché aveva l’autorevolezza culturale, la preparazione biblica e teologica ed un carisma eccezionale per permettersi di dare forti e choccanti spinte innovative. Durante il conclave che lo vide candidato, la sua salute era purtroppo ormai minata, ebbe la lucidità di farsi da parte: si dice che il suo prematuro candidato di ripiego fosse Bergoglio, ma lui preferì cercare l’unità del collegio cardinalizio (i grandi sanno rinunciare a qualcosa per un fine superiore), ripiegando su Ratzinger e aderendo ad un compromesso, il cosiddetto “lodo Cantalamessa” dal nome del suo estensore (il predicatore della casa pontificia), bellissimo documento che ho avuto modo di leggere. Come prevedibile, Benedetto XVI non riuscì a tenere fede a quegli accordi e allora, ogni tanto, il cardinal Martini usciva allo scoperto con dichiarazioni e interviste, che richiamavano la Chiesa alla sua natura e funzione. Era un quasi anti-papa… Bergoglio ne riprende, solo in parte, l’eredità.

Anche se la vita della Chiesa ha una sua irripetibile specificità, mi viene spontaneo fare un parallelo tra gli interventi border line di Martini e quelli ancor più insistenti di Mattarella. Il Presidente della Repubblica ha varato correttamente un governo basato sul consenso elettorale, ma allo sbaraglio sul piano dei contenuti e degli accordi fra i due partiti che lo esprimono. Ha assolto un debito di correttezza istituzionale prendendo atto di una volontà popolare qualitativamente confusa ma quantitativamente indiscutibile, ora però la sua funzione di garante costituzionale gli impone di intervenire a difesa dei principi e dei valori ogniqualvolta il governo tende a sbandare, vuoi nei rapporti con la magistratura, vuoi in quelli con l’Europa, perfino in quelli con la stampa. Lo fa in punta di piedi, senza prendere di petto le velleità e gli spropositi di Tizio o Caio, con eleganza di stile e toni, ma con grande nettezza e convinzione sui contenuti. È quasi un anti-premier più che giustificato ed opportuno nel richiamare tutti al rispetto dei valori fondanti della nostra democrazia e delle scelte fondamentali della nostra storia repubblicana. Quante volte dico e penso: meno male che c’è Mattarella con tutta la sua credibilità ed esperienza a contenere le sfuriate di un governo allo sbaraglio.

In questi ultimi giorni il Capo dello Stato ha trovato una sponda nel monito di Mario Draghi ai governanti italiani sballottati in un assurdo mare di parole al vento nella delicatissima materia economico-finanziaria. Vale la pena riprenderle: “Le parole negli ultimi mesi sono cambiate più volte, ora stiamo aspettando i fatti. E i fatti sono la Legge di Bilancio. Abbiamo visto che le parole hanno fatto danni, i tassi sono saliti per famiglie e imprese”. Così appunto il presidente Bce Mario Draghi sull’Italia”. Non so se Mattarella e Draghi si consultino e concordino queste loro uscite, senza dubbio si parlano e condividono ansie e preoccupazioni. Confesso di sentirmi garantito e protetto dall’equilibrio e dalla saggezza di questi personaggi.

I loro interventi mi mettono però anche in ansia. Se il capo dello Stato, un giorno sì e l’altro pure si sente in dovere di intervenire per contenere le sbandate paurose del governo, se il presidente della Bce apre i suoi rubinetti come non mai per chiudere quelli di un logorroico stillicidio fanta-programmatico, vorrà dire qualcosa. Siamo in serio pericolo? Rischiamo di ritrovarci in Grecia dal punto di vista economico-finanziario e in Ungheria dal punto di vista dello Stato di diritto? Si avvicina il redde rationem, con gli italiani a sbattere la testa e il portafoglio contro una situazione disgraziata e rovinosa? Non credo che Mattarella e Draghi intendano fare le Cassandre di turno, anche se Cassandra era una profetessa che non veniva ascoltata, ma che ci “pigliava”.

 

Non lasciamoci rubare il cuore

«Non lasciamoci rubare il cuore. Come cristiani stiamo dimenticando le parole essenziali del Vangelo, da “beati i poveri, i miti, i misericordiosi”, fino ad “avevo fame, avevo sete e mi avete accolto”. Oggi vengono dette parole che non solo non appartengono alla verità cristiana, bensì la tradiscono; va detto chiaramente a chi addirittura invoca il Vangelo per dire che bisogna chiudere i porti e lasciare mamme e bambini in mezzo al mare. (…) Palermo è una città dove al porto si vedono sbarcare dalle navi i cadaveri di mamme e bambini morti in mare. Sono indignato, a maggior ragione verso chi in nome delle radici cristiane e del Vangelo vuole chiudere i porti. Non ha il minimo sentore della logica evangelica».

Sono affermazioni contenute in una lunga intervista al vescovo di Palermo, Corrado Lorefice, pubblicata da Jesus, il mensile dei Paolini. Vanno al cuore del problema della falsa confessionalità e della autentica laicità della politica. Non basta infatti sbandierare strumentalmente il Vangelo ai comizi elettorali, fare battaglie per mantenere il crocifisso nei luoghi pubblici, difendere nominalmente l’identità cristiana per poi tradire sostanzialmente il dettato evangelico con ciniche politiche di mero respingimento dei bisognosi. Se è vero, come è vero, che lo Stato italiano non è la Caritas, è altrettanto vero che i principi evangelici non sono un optional per i politici che si dicono cristiani. Tra l’accogliere tutti indiscriminatamente e chiudere i porti abbandonando carichi umani in mezzo al mare c’è una certa distanza: è lo spazio della politica in materia di immigrazione.

Purtroppo la risposta del governo italiano a questa esigenza consiste in un’indegna gazzarra scatenata a livello nazionale ed europeo: si abbaia alla luna con polemiche continue. Il problema è difficile e andrebbe affrontato con grande senso di responsabilità, senza creare inutili tensioni e senza sollevare polveroni. Il fenomeno dell’immigrazione non lo ferma e non lo risolve Matteo Salvini con le sue assurde e inconcludenti sparate: mettiamocelo bene in testa. Al vertice di Vienna tra il ministro Salvini e il collega lussemburghese Asselborn c’è stata tensione. Nel botta e risposta tra i due, Salvini ha detto: «Siamo al governo per aiutare i nostri giovani a fare figli, non per rimpiazzare con giovani africani quelli europei». Asselborn lo ha interrotto e ha ricordato le migliaia di italiani emigrati in Lussemburgo per lavorare e poter dare da mangiare ai loro figli. Il battibecco è sfociato in una triviale, ma meritata, esclamazione di Asselborn all’indirizzo del ministro italiano.

Resto sinceramente sconcertato di fronte a questi episodi, non riesco ad abituarmi. Ecco perché mi rifugio nelle parole di un uomo di Chiesa, il vescovo di Palermo. Quando ci si accorge che la situazione rischia di precipitare, bisogna ancorarsi a qualcosa di solido, altrimenti… Oltre tutto in questi giorni Palermo, alla presenza di papa Francesco, ricorda e rende omaggio al martirio di padre Pino Puglisi, il prete che rubava i ragazzi a cosa nostra. «Ma tu fatti il parrino, pensa alle messe, lasciali stare il territorio, il campo, la Chiesa, lo vedete cosa voleva fare? Tutte cose voleva fare iddu nel territorio…tutto voleva fare iddu, cose che non ci credete»: sono le parole di Totò Riina, intercettato in carcere, che spiegano perché Pino Puglisi sia stato assassinato dalla mafia, dal killer Salvatore Grigoli, insieme a Gaspare Spatuzza.  I sicari raccontano le ultime parole di don Pino prima di essere ucciso: «Ci sorrise e disse: “me lo aspettavo”. E cosa c’entra tutto ciò con il problema degli immigrati?  C’entra eccome! Sono convinto che padre Puglisi sarebbe d’accordo con me. Non lasciamoci rubare il cuore!

 

Il frinire delle cicale e le antenne delle formiche

“Le parole negli ultimi mesi sono cambiate più volte, ora stiamo aspettando i fatti. E i fatti sono la Legge di Bilancio. Abbiamo visto che le parole hanno fatto danni, i tassi sono saliti per famiglie e imprese”. Così il presidente Bce Mario Draghi sull’Italia”.

“Con il ministro dell’Economia Tria lavoro regolarmente, in un clima costruttivo. Spero che questo clima prevarrà”. Così il Commissario Ue agli Affari economici, Moscovici, che poi lancia un nuovo monito sul debito pubblico italiano: “Va ridotto, è interesse dell’Italia. E il rilancio degli investimenti aumentando il deficit è una bugia. Serve un bilancio credibile per il 2019. L’Italia, incalza Moscovici, è un problema nella zona euro. Non sarà fermando le riforme e facendo ripartire la stampa di banconote che si salverà”. Infine si dice preoccupato per i populisti in Europa e afferma: “Oggi non c’è Hitler, forse dei piccoli Mussolini”.

Non si può certo dire che gli indirizzi di politica economica e gli atteggiamenti verso la Ue dell’attuale governo del nostro Paese siano ben visti dal cosiddetto establishment europeo, al quale non manca occasione per mettere alla frusta il vanesio comportamento italiano. Non so se questi attacchi possano servire a smuovere qualcosa. Quando c’è un clima pesante, offrire spunti ed occasioni per litigare non è certamente il modo migliore per convincere l’interlocutore a più miti consigli.

Mi sembra di capire però che, al di là delle puntate polemiche da inquadrarsi nella ormai avviata campagna elettorale in vista delle elezioni europee del prossimo maggio, vengano rivolte all’Italia due critiche di fondo. La prima, di ordine squisitamente politico, riguarda il rischio molto evidente e concreto del coinvolgimento italiano nell’ondata populista e sovranista, che sta minando i presupposti dell’Unione Europea. Un Paese fondatore, della rilevanza quantitativa e qualitativa dell’Italia, schierato su posizioni ribellistiche rispetto alla Ue, preoccupa parecchio.

La seconda critica, peraltro connessa alla prima, si riferisce alla politica di bilancio italiana, tentata dallo sfondamento dei parametri e dall’aumento del deficit per mantenere gli scriteriati impegni assunti con l’elettorato in materia di reddito di cittadinanza (un tempo si chiamavano sussidi alla disoccupazione), di innalzamento dei minimi e facilitazione nei diritti pensionistici, di alleggerimento fiscale.

Il problema della compatibilità fra contenimento di deficit e debito pubblico e sostegno allo sviluppo ed all’occupazione è reale e non mi sento di liquidarlo sbrigativamente come una bugia: ridurre, come fa Moscovici, questo nodo allo scontro fra le formiche nord-europee e le cicale mediterranee mi sembra strumentale e provocatorio. Altro è il richiamo alla serietà, alla coerenza e alla concretezza operato da Mario Draghi, il quale sembra dire: mi sono fatto in quattro per sostenere una politica finanziaria favorevole al superamento della crisi, vedete di non rovinare tutto dando aria ai denti, lanciando messaggi contraddittori e rincorrendo inutili illusioni extra-europee. Appare molto sciocco e ingeneroso il commento di Salvini alle suddette parole di Draghi: «Conto che gli italiani in Ue facciano gli interessi dell’Italia come fanno tutti gli altri Paesi: aiutino e consiglino, non attacchino».

Quando si hanno poche e contraddittorie idee in testa si cerca di scaricare tali carenze sugli altri, rifugiandosi nello splendido isolamento, nell’illusione di poter fare facilmente da sé quel che si fa, a prezzo di grosse difficoltà, assieme agli altri. Lo scoglio della prossima legge di bilancio consiste proprio in questo: evitare scorciatoie e cercare il compromesso ai livelli più alti possibili tra il mantenimento degli “impegni al risparmio” e le “scelte a spendere bene”.

Ricordo una mia piccola esperienza professionale a livello giudiziario: i creditori di un artigiano intendevano pignorare tutti i suoi introiti compromettendo l’esercizio dell’attività della sua impresa, per coprire anche solo parzialmente i loro crediti. Il giudice chiamato in causa non glielo consentì. “Se non lo mettete in condizioni di lavorare, sarà difficile che possa pagare i debiti. Presentatemi un piano di rientro compatibile con la sussistenza dell’impresa e della famiglia di questo soggetto e ve lo approverò…” così sentenziò grosso modo quel pretore illuminato. Analogo atteggiamento possiamo pretendere, con serietà e disponibilità, dall’Unione Europea nei nostri confronti.

 

La paura vince e la ragion non basta

“Nessun cittadino è al di sopra della legge, neppure i politici o chi svolge pubbliche funzioni”. Così il Presidente Mattarella alla cerimonia per il centenario della nascita di Scalfaro, che fu “devoto alla Costituzione, ma non escluse mai di riformarla”. “I poteri dello Stato non siano rivali e contrapposti, ma collaborino per l’interesse generale”, dice Mattarella. I nostri giudici “non sono elettivi, traggono legittimazione dal ruolo affidato loro dalla Costituzione. Non devono seguire gli orientamenti elettorali”.  Poche parole che sistemano e sopiscono, tra le altre cose, la polemica fra il ministro degli Interni Matteo Salvini e i magistrati rei di intromettersi tra il popolo e gli eletti dal popolo (vedi avviso di garanzia per la vicenda della nave Diciotti e, ad abundantiam, vedi anche il sequestro dei fondi della Lega) ed a cui è francamente difficile controbattere.

“Il Presidente Mattarella oggi ha ricordato che ‘nessuno è al di sopra della legge’. Ha ragione. Per questo io, rispettando la legge, la Costituzione e l’impegno preso con gli Italiani, ho chiuso e chiuderò i porti a scafisti e trafficanti di esseri umani. Indagatemi e processatemi, io vado avanti!”. Lo scrive Matteo Salvini sul suo profilo Facebook. Difficile controbattere a Mattarella? Per tutti, non per Salvini, che sta tirando tutte le corde possibili e immaginabili per accreditarsi come l’uomo nuovo contro tutti. Gli mancava il fronte della presidenza della Repubblica e non se lo è lasciato sfuggire.

In questa fase storica purtroppo il dibattito (?) è lontano mille miglia dai discorsi costituzionali, istituzionali, internazionali e politici: predominano la paura, l’insicurezza, l’incertezza, a volte anche giustificate, che trasferiscono il discorso dalla sfera della razionalità a quella dell’emotività. Voglio parafrasare la frase di Anonimo: “quando la paura con la ragion contrasta, la paura vince e la ragion non basta”.  Paura di cosa? Il laboratorio di Analisi Politiche e Sociali dell’Università di Siena fa il ritratto di una società impaurita e per questo anche più “severa”, più incline a legittimare l’uso delle maniere forti, disposta anche a sposare posizioni apparentemente in contrasto con i propri principi. Una società che invoca sicurezza psicologica oltre che un miglioramento delle condizioni economiche: all’impatto della crisi nella vita di ogni giorno si somma la percezione di uno squilibrio crescente portato da “invasioni” e nemici esterni.

Ho sentito in questi giorni parecchi rimproveri rivolti al partito democratico per non aver capito e affrontato per tempo questa situazione psicologica dell’elettorato: effettivamente la sinistra si è trincerata dietro il perbenismo della solidarietà, dell’accoglienza, dell’apertura sociale, senza affrontare di petto i problemi che stanno a monte del disagio sociale.

Mio padre, quando i suoi figli bambini erano alle prese con un cane e manifestavano una certa paura a cui il proprietario dell’animale ribatteva con la solita frase: «Ma il mio cane è buono, non fa niente…», era costretto a precisare: «Ch’ al guärda…mè fjól al gh’à paura anca d’un can ‘d stòppa, quindi…», usando un’immagine riconducibile all’odierno animaletto di peluche. È, in un certo senso, inutile che la sinistra dimostri, dati alla mano, che gli immigrati delinquono tanto quanto gli italiani.  Nell’immaginario collettivo si è radicato un postulato: immigrato-clandestino = delinquente palese. E via di questo passo. È un po’ come voler proporre la fede in Dio a chi non ha da mangiare: prima bisogna cercare di sfamarlo e poi si potrà introdurre il discorso religioso. Non si può pretendere che un analfabeta apprezzi la Divina Commedia. Occorre il grande atto di umiltà, che riparta da zero e riconosca i motivi del disagio, per affrontarli e ricominciare a discutere sul serio.

Questo non lo può fare il Presidente della Repubblica, che fa egregiamente il suo mestiere. È la politica che deve intervenire a rompere il cordone ombelicale tra paura e reazione. Il primo giorno di scuola piangevo e mi disperavo in quanto mi sentivo spaesato a contatto con un ambiente sconosciuto e con persone nuove. Per riambientarmi ci volle il suo tempo e furono necessarie le carezze della maestra e i giochi con i miei compagni. La sinistra deve fare la parte della maestra elementare, non respingere sdegnosamente le paure al mittente, ma assorbirle, affrontarle e rimuoverle coi fatti, rassicurando concretamente i timorosi, poi si potrà cominciare l’anno scolastico. Attualmente invece gli italiani sono talmente sprovveduti e spaventati da attaccarsi al primo bidello che sembra proteggerli. E i maestri in disparte a discutere fra di loro e pontificare verso gli alunni. Se poi arrivano i rimproveri del provveditore agli studi, si chiami Mattarella, Ue, Onu, Papa, apriti cielo, o meglio, apriti Salvini.

Orban val bene un voto anti-europeo

Ero ancora bambino quando, nel 1956, i carri armati sovietici invasero l’Ungheria e soffocarono il processo di democratizzazione, intrapreso da quel Paese, appartenente all’area comunista dell’Est-europeo. Ricordo il clamore, che il fatto suscitò in chiave anticomunista forse più che in senso solidalmente democratico, e il colpevole imbarazzo dei comunisti nostrani, completamente spiazzati da un’iniziativa da cui non seppero prendere le dovute distanze.

Sono passati oltre sessant’anni e l’Ungheria, dopo essersi affrancata dal giogo comunista ed essere entrata nell’Unione europea, viene messa sul banco degli imputati per aver violato lo stato di diritto, vale a dire per essere ricaduta, seppure in forme e modalità diverse, nel solito “vizietto” autoritario. Esisterebbe infatti un chiaro rischio di violazione grave dei valori su cui si fonda l’Ue: ha imbavagliato i media indipendenti, ha limitato il settore accademico, ha sostituito i giudici indipendenti con giudici più vicini al regime, ha reso la vita difficile alle Ong. Permangono cioè seri dubbi sul funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale, sull’indipendenza della giustizia, sulla corruzione e i conflitti di interesse, sul rispetto di varie libertà individuali come il diritto dei richiedenti asilo.

Ebbene, a parte l’errore commesso a livello Ue di far entrare nella comunità cani e porci, senza preventivamente verificare l’adeguatezza dei loro sistemi democratici e guardando solo agli ipotetici vantaggi economici di un allargamento indiscriminato dell’area, a parte la scarsa attenzione e la poca coerenza nel sorvegliare i comportamenti degli Stati-membro, lasciando prevalere la realpolitik sul rigoroso rispetto dei valori europei, a parte tutto ciò, finalmente il Parlamento europeo prende in seria considerazione  censure e sanzioni per il comportamento di uno Stato, che a casa propria ne sta combinando di tutti i colori.

I partiti politici, come ai tempi dell’invasione sovietica, oscillano, in modo che definirei macabro, tra la netta condanna purtroppo enfatizzata da contingenti tatticismi (non par vero a Urban ridurre tutto al discorso immigrazione) e l’omertosa e conveniente sopportazione motivata da rigurgiti nazionalisti e dal generico scetticismo anti-europeo. In questo insulso balletto si distinguono alcuni partiti italiani, imprigionati nelle loro convenienze di brevissimo respiro. La Lega, come i comunisti nel 1956, non vuole rompere il feeling istituito con i Paesi sovranisti e i partiti populisti (recentemente consacrato da uno sciagurato incontro al vertice tra Salvini e lo stesso Orban): ecco forse paradossalmente un ulteriore motivo per cui molti elettori comunisti hanno scelto Salvini per la loro continuità anti-democratica. Forza Italia, con una telefonata cordiale in cui Berlusconi ha confermato la sua amicizia a Orban e al suo partito Fidesz (ogni simile ama il suo simile), dando una frettolosa riverniciata al suo anacronistico anticomunismo viscerale (quel che viene dopo il comunismo va sempre bene), ritenendo pericoloso rompere ulteriormente i ponti con la Lega, posizionandosi in modo critico all’interno del Partito Popolare Europeo (più bello e più diviso che mai), salvandosi un minimo di spazio collaborativo con il crescente movimento populista e sovranista (senza il quale il centro-destra   non riesce a fare maggioranza e a governare), voterà a favore di Orban e contro le sanzioni. Il M5S ha deciso invece di votare a favore delle sanzioni all’Ungheria, prendendo finalmente posizione, rinunciando in questo caso alla tattica del pesce in barile e superando una sorta di viscerale anche se camuffato antieuropeismo.

Al di là di un ulteriore episodio di frattura tra leghisti e grillini (non si riesce più a capire cosa rimanga del patto governativo italiano, se non la conveniente mungitura della vacca elettorale) e di una ritrovata unità al ribasso tra Salvini e Berlusconi (prove di riconciliazione sulla bara del cadavere europeo), emerge una incapacità di occupare gli scranni europei senza farsi condizionare da confusionarie visioni casalinghe. Il Partito Popolare Europeo ne è la dimostrazione clamorosa: tiene insieme capre e cavoli in un assurdo gruppo che sta affossando l’Europa.   Le forze di centro-sinistra, il partito socialista e i verdi, dimostrano una maggiore coerenza ed una certa affidabilità in chiave democratica ed europeistica. Sarà questa la partita elettorale del prossimo maggio, indipendentemente dall’esito del pur emblematico dibattito sulle sanzioni all’Ungheria di Orban.

Dietro la lavagna dell’Onu

Il nuovo Alto commissario per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha annunciato l’invio di un team in Italia, e analogamente un altro in Austria, per valutare recenti episodi di razzismo. “Abbiamo intenzione di inviare personale in Italia per valutare il riferito forte incremento di atti di violenza e di razzismo contro migranti, persone di discendenza africana e rom”, ha detto aprendo i lavori del Consiglio Onu per i diritti umani riunito fino al 28 settembre. “Il governo italiano ha negato l’ingresso di navi di soccorso delle Ong. Questo tipo di atteggiamento politico e altri sviluppi recenti hanno conseguenze devastanti per molte persone già vulnerabili”, lo ha detto Michelle Bachelet, annunciando appunto l’invio di un team in Italia per verifiche. “Cala il numero di migranti che attraversano il Mediterraneo, ma non il tasso di mortalità”, ha aggiunto Bachelet, esortando l’Ue al soccorso umanitario e a garantire l’accesso all’asilo e alla protezione dei diritti umani nell’Unione Europea.

Sarò ingenuo ed emotivo, ma, leggendo questa notizia, forse per la prima volta in assoluto mi sono vergognato di essere italiano. Il mio Paese viene messo sotto inchiesta dal massimo organismo internazionale per comportamenti razzisti e omesso soccorso ai migranti. Stiamo veramente toccando il fondo: fino a qualche tempo fa eravamo elogiati per l’atteggiamento di accoglienza, il presidente della Commissione europea proponeva l’Italia per il Nobel della pace, eravamo considerati un esempio di apertura solidale verso coloro che fuggono da guerra, fame e torture. Cosa sta succedendo?

È cambiato il clima politico e questo fatto ha dato il via libera ai nascosti sentimenti di ripulsa nei confronti degli immigrati: il razzismo è un virus presente nella nostra società ed è sufficiente abbassare le difese per farne esplodere manifestazioni clamorose e rancorose. C’è un passaggio nelle parole dell’Alto Commissario Onu, che tocca nel vivo: “Questo tipo di atteggiamento politico e altri sviluppi recenti hanno conseguenze devastanti per molte persone già vulnerabili”. Michelle Bachelet ci ha messo giustamente nel mirino: prima la chiusura alle navi Ong, poi addirittura lo stallo per quelle della Guardia Costiera. Siamo sotto inchiesta da parte della comunità internazionale.

Le reazioni da parte italiana, vale a dire di Matteo Salvini (la prima gallina che canta ha fatto l’uovo), sono le solite: «Non accettiamo lezioni dall’Onu che si conferma prevenuta, inutilmente costosa e disinformata. Le Nazioni Unite indaghino su quegli Stati membri che ignorano diritti elementari, come libertà e parità tra uomo e donna». Mi sono sentito sui banchi di scuola, quando ci si giustificava accusando l’insegnante di avercela con noi e lo si invitava a redarguire chi faceva più casino di noi. Difese assurde, infantili e controproducenti. Siamo improvvisamente dietro la lavagna dell’Onu e, anziché chiedere scusa e rivedere i nostri comportamenti censurabili, ci ostiniamo a fare le linguacce e gli sberleffi.

Il presidente della Repubblica lo aveva più volte sottolineato: attenzione a non incendiare il clima sociale con atteggiamenti politici provocatori ed inammissibili. Ha cercato di smorzare certe spinte politiche. Persino la Chiesa è intervenuta per togliere le castagne dal fuoco. Che l’Italia stia sbagliando e sbandando se ne sono accorti tutti, meno che gli italiani. Brava gente, ma…