Anche la politica ha bisogno di…angeli custodi

La lettera della Commissione Ue è arrivata puntualmente ed il suo contenuto era ampiamente prevedibile: l’Italia non ha mantenuto gli impegni presi a giugno e sta sfondando il deficit di bilancio, che non può rimanere al 2,4% rispetto al Pil, mentre le stime di crescita non sono realistiche. Il bilancio italiano, a giudizio dell’Unione europea, mostra una deviazione senza precedenti nella storia del patto di stabilità.

Gli appunti, che si potevano prevedere senza usare troppa fantasia, sono gravi: l’accusa di non mantenere gli impegni e di violare i patti è pesantissima. Di fronte a queste contestazioni il governo balbetta e si nasconde dietro i soliti toni burrascosi del popolo leghista incitato a gran voce dal suo leader e dietro la penosa diplomazia grillina, dettata più dalla paura di essere fagocitati dallo scomodo e virulento alleato di governo che dal timore di cavalcare una battaglia insensata e rischiosissima.

Il commissario Moscovici, latore della missiva, dopo l’incontro col ministro Tria, ha precisato: «La Commissione ama l’Italia, in questa fase delicata ci sono disaccordi, ma dobbiamo restare in un clima sereno. Auspico non ci sia tensione nei toni». Moscovici è stato poi ricevuto al Quirinale dal presidente Mattarella a cui verosimilmente si sarà presentato armato di “un ferro da stiro”: perché? Avrà infatti esternato ansia e preoccupazione per una situazione che sta obiettivamente prendendo “una brutta piega”. E speriamo che la piega non diventi una piaga.

Mattarella aveva messo le mani avanti e, ricordando la figura del presidente Giovanni Gronchi, nel 40esimo della morte aveva detto che l’Unione europea “è patrimonio inestimabile di pace e benessere”, spiegando come Gronchi, interventista cattolico, distinse “tra significato e insopprimibilità dei valori patriottici e le infatuazioni di vuoti rigurgiti nazionalistici”. Ma non è tutto. In un messaggio ad Assolombarda il capo dello Stato, facendo chiaro riferimento al clima politico, ha cosi affermato: «Servono un dialogo costruttivo   e un alto senso di responsabilità da parte della politica, delle istituzioni, delle imprese, delle associazioni, della società civile per scelte consapevoli con una visione di lungo termine nell’interesse collettivo».

Non so cosa si saranno detti Mattarella e Moscovici, anche se questo colloquio ha tanto il sapore di un ricorso estremo alla “mamma” perché faccia ragionare, con le buone o con le cattive, il bambino capriccioso e bizzoso. Purtroppo però il bambino è cresciutello, non tanto nel cervello (capacità di governare) ma nel fisico (consenso elettorale), e non ne vuol sapere di stare a consiglio, ha imboccato una china da cui è difficile risalire. Mentre Moscovici ci schiaffeggia, anche se usa i guanti di velluto, noi diamo anche un triste spettacolo di scontri strumentali e puerili all’interno del governo. Peggio di così…

In queste mattine, dopo una preghierina a Dio per me tramite anche il mio angelo custode, ne faccio una per l’Italia tramite anche la fiducia e la speranza che nutro verso Mattarella e Draghi (Dio ce li ha dati, guai a chi ce li tocca…).  Papa Francesco ha invitato a pregare la vergine Maria e S. Michele arcangelo contro le insidie del male. Ebbene io, molto laicamente e senza precipitose santificazioni, contro le insidie dell’attuale politica italiana, mi affido a Mattarella e Draghi e che Dio ce la mandi buona!

I Preziosi…smi della deriva pallonara

Oggi entriamo al bar sport, non per parlare di politica, ma di calcio: si incontrano Juventus e Genoa nel campionato di serie A. Dietro questa partita ci possono stare due fatti comunque all’attenzione del pubblico: le presunte scorribande sessuali di Cristiano Ronaldo, diventato l’emblema della riscossa internazionale juventina e l’esonero da allenatore del Genoa di Davide Ballardini. Naturalmente il peso mediatico delle due vicende è molto diverso, anche se, calcisticamente parlando, ritengo molto più importante e interessante il caso Ballardini. Le accuse a Ronaldo pongono, sul piano etico, oltre l’eventuale responsabilità personale, la questione dell’utilizzo della notorietà e della “fama”: tutto è concesso e quasi perdonato ai personaggi famosi. Paradossalmente parlando, se un disgraziato immigrato tocca il sedere ad una ragazza seminuda, diventa automaticamente un abominevole delinquente da espellere dallo Stato assieme a tutti i suoi colleghi di sventura; se CR7 (con tutto il rispetto per la sua persona e con tutti i “se” del caso) stupra una ragazza è colpa della ragazza, che si è lasciata incantare dal fascino dell’uomo importante e seducente.

Ma volevo fare un altro discorso, vale a dire quello del costume nella gestione delle cose sportive: non interessa a nessuno – infatti non ho sentito e letto una parola di commento, da parte dell’esercito giornalistico sportivo – il licenziamento in tronco di Ballardini ad opera del bizzoso e strafottente presidente Preziosi. Il fatto è inspiegabile. Se stiamo ai parametri normali, la squadra stava andando bene, la classifica era assai promettente e rassicurante, si parlava di rivelazione appena prima della sconfitta interna col Parma. Poi, improvvisamente, arriva come un fulmine a ciel sereno la notizia del giubilamento dell’allenatore, un uomo peraltro a prima vista serio e corretto. Perché? Nessuno se lo è chiesto sinceramente e nessuno lo ha spiegato seriamente. Il presidente, uno dei tanti che vuole insegnare a tenere la penna (la bacchetta) in mano al direttore (all’allenatore), ha detto che Ballardini è scarso e non sa mettere i giocatori in campo. Ma mi faccia il piacere! La più bella dimostrazione della pretestuosità dell’esonero sta nella riammissione in carica del croato Ivan Juric, allenatore richiamato per la terza volta nelle ultime due stagioni: una buffonata!

Questo è il mondo del calcio al di là degli scarsissimi risultati della squadra nazionale, dovuti a mio modesto avviso non a carenze strutturali della federazione, ma alla scarsa qualità dei giocatori superpagati e incapaci di esprimere un livello calcistico dignitoso e competitivo. Non c’è serietà. Probabilmente Ballardini avrà rotto le scatole: sembra una persona schietta con un carattere forte e convinta delle proprie idee. Lo ritengo un episodio emblematico di un andazzo molto ben tollerato a livello mediatico e della tifoseria: i giornalisti si guardano bene dallo sputare nel piatto dove mangiano; i tifosi, lo dice il termine stesso, non ragionano, si limitano a fare il tifo e allora…

In conclusione a Ronaldo, prescindendo dalla sua colpevolezza ancora tutta da dimostrare, arrivano in chiaro e in scuro attestati di subdola e stupida comprensione; di Ballardini non frega niente a nessuno, tanto prima o poi troverà il modo di accasarsi in qualche altra squadra. Così va il mondo del pallone. Un pallone che va sempre più nel pallone.

Miracoli dal cielo legastellato

Il governo del cosiddetto cambiamento si sta rivelando, giorno dopo giorno, l’esatto contrario, vale a dire il governo di stasi, regresso, involuzione e peggioramento. Lo penso e lo scrivo con grande tristezza, perché ogni volta che la democrazia spreca un’opportunità si indebolisce. La manovra economica, in cui il governo è letteralmente incartato, ne è la dimostrazione clamorosa.

Stanno prendendo corpo tutte le anomalie tipiche nella storia di questo delicato passaggio politico: incertezze, contrasti, accuse reciproche, voltafaccia, scorrettezze, manipolazioni più o meno genetiche, bracci di ferro e inversioni di marcia. Tutta roba trita e ritrita scodellata nel segno della più bieca continuità. In questi giorni evito accuratamente di entrare nel merito dei provvedimenti in via di adozione: se ne coglie tutta la precarietà e quindi è meglio aspettare, prima di fasciarsi la testa peraltro già abbondantemente ferita. Ricordo come un illustre collega, esperto in materia fiscale, si rifiutasse categoricamente di esaminare e commentare i provvedimenti legislativi lungo l’iter della loro approvazione: «C’è già sufficiente confusione con le leggi in vigore, figuriamoci se ci aggiungiamo quelle in via di formazione…». Quindi conviene aspettare, perché tutti i giorni cambiano le carte in tavola, i ministri litigano fra di loro, i partiti di maggioranza sono divisi su parecchie materie, poi il Parlamento interverrà scatenandosi nella gara delle modifiche, degli emendamenti, delle aggiunte, poi ci sarà il vaglio presidenziale, poi arriveranno i ricorsi alla Corte Costituzionale, per non parlare della spada di Damocle dell’Unione europea, che un giorno lancia messaggi allarmanti e il giorno successivo ammicca al compromesso.

Nel merito della manovra, per la verità, si scontrano due opinioni critiche in netto contrasto fra di loro. Da una parte la motivata tendenza a svaccare i provvedimenti sul piano della compatibilità finanziaria: non ci sono le coperture, il debito pubblico verrebbe dilatato oltre misura, i conti dell’Inps rischierebbero grosso, l’erario piangerebbe, etc. etc. Dall’altra parte, da un esame approfondito, sembrerebbe emergere un sostanziale bluff, con le novità tanto sbandierate destinate a sciogliersi in un baleno interpretativo ed applicativo. Insomma c’è da chiedersi: si tratta di una manovra dilettantisticamente sconvolgente e pericolosa oppure siamo di fronte ad una manovra di mera cosmesi legislativa e di puro gattopardismo elettorale? Un dibattito pirandelliano per una manovra polivalente e confusionaria? Una manovra inconcludente per incantare i serpenti?

La verità starà nel mezzo laddove i cittadini non tarderanno ad accorgersi della solenne presa in giro e dei boomerang che arriveranno in faccia agli illusi ed ingenui popolani del cambiamento. Il difetto principale sta probabilmente proprio nell’incertezza in cui siamo sprofondati: tutti a guardare Salvini e Di Maio, mentre la situazione viaggia sul filo (a cavallo) del rasoio. Non era facile riproporre tutti i difetti della vecchia politica e ci stanno riuscendo. Non era facile confondere le idee a tutti in un pernicioso bailamme programmatico e ci stanno riuscendo. Non era facile far incazzare l’Europa, gli Stati europei più significativi, i mercati, gli imprenditori, i sindacati, gli studenti, i ricchi e i poveri, i burocrati e “i buoni samaritani”, la destra e la sinistra tradizionali, i poteri forti e quelli deboli e ci stanno riuscendo. Molti nemici, molto onore. Non era facile dare contemporaneamente l’impressione di rivoluzionare tutto per poi lasciare tutto com’era e ci stanno riuscendo. Non era facile fare ridere e piangere e ci stanno riuscendo. Non era facile promettere un cambio di marcia politico-istituzionale per poi mostrare la scena ridotta ad un rissoso cortile o ad un rumoroso pollaio e ci stanno riuscendo. Ce ne freghiamo e andiamo avanti per la nostra strada: tiriamo dritto. È veramente il governo dei miracoli!

Italiani e Ue, da fondatori a demolitori

Gli italiani e l’Unione europea: solo il 44% vorrebbe restarvi, il 24% opterebbe per l’Italexit, il 32% si dichiara indeciso. Sono i dati forniti da Eurobarometro, il servizio della Commissione europea, istituito nel 1973, che misura ed analizza le tendenze dell’opinione pubblica in tutti gli stati membri e nei Paesi candidati, avvalendosi di sondaggi d’opinione e di gruppi di discussione. Questi dati risultano tuttavia in contrasto con quello del 65% degli intervistati che si dichiara favorevole all’euro. A prima vista mi sembra la fotografia schizofrenica di una popolazione disorientata e disamorata di tutto. Se avessi dovuto fare una previsione avrei immaginato esattamente il contrario, vale a dire che agli italiani fosse soprattutto indigesta la moneta unica, invece sì all’euro e no alla Ue. Chi ci capisce qualcosa è bravo…

In base a questi sondaggi l’Italia sarebbe il Paese a più bassa convinzione europeistica sui 28 membri. Infatti il 68% degli europei ritiene che il proprio Paese abbia tratto beneficio da questa appartenenza e il 62% considera positivamente l’adesione al consesso. Le statistiche vanno sempre considerate con molta cautela, ma danno l’idea di una tendenza in atto nel nostro Paese. I principali problemi, secondo la mentalità degli europei, sono l’immigrazione, la sicurezza e la disoccupazione: in Italia, ma non solo in Italia, c’è la netta sensazione che l’Ue non sappia dare risposte efficaci alle esigenze dei cittadini.

Che le popolazioni abbiano un atteggiamento critico non stupisce e non scandalizza, anzi. Che preoccupa è il clima negativo e distruttivo in cui le critiche si inseriscono e da cui provengono, vale a dire la tendenza a nazionalismo e sovranismo, vale a dire alla negazione dei presupposti fondamentali della costruzione europea. L’Europa non è certo un giocattolo da prendere a scatola chiusa, ma non è nemmeno un giocattolo da smontare spietatamente solo per il gusto di vederne masochisticamente i meccanismi che non funzionano.

È difficile valutare quanto incida sull’opinione pubblica italiana la linea politica dei due partiti vincenti alle ultime elezioni, la Lega e il M5S, nonché le linee programmatiche (?) del governo Conte e soprattutto il clima da rissa alimentato continuamente verso le istituzioni europee. L’attuale classe politica dominante e digerente (non è un refuso) punta a sfasciare il sistema in nome di un fantomatico popolo (bue), che si sta divertendo senza capire minimamente i rischi di una simile deriva. Tutto si svolge a livello di pancia o di altri organi ben lontani dal cervello. L’ignoranza la fa da padrona, l’informazione fa disinformazione, la politica fatica ad essere credibile. Vince la rissosa e goliardica antipolitica in cui sono impegnati concorrenzialmente leghisti e grillini.

Non vorrei che questo dato antieuropeista fosse una dimostrazione della perdita di coscienza democratica degli italiani: finora infatti la vocazione europea faceva parte del nostro comune sentire. Fra alcuni mesi c’è l’appuntamento elettorale europeo. Guai se consacrasse il ritorno indietro nel tempo, cestinando decenni di faticosa costruzione comunitaria, di cui siamo stati ispiratori e protagonisti. Sarebbe una vergognosa marcia a ritroso. Bisognerebbe reagire immediatamente. Come? Mettendo in campo tutte le migliori risorse umane a servizio del rilancio della politica europea basata sulle idealità e sui valori. Penso che il nostro futuro dipenda e si giochi sul tavolo europeo. Buon lavoro a chi ci crede. Io ci credo!

Umana solidarietà e razzismo politico

Stiamo superando i limiti della decenza: la “menata” del comune di Lodi con tanto di tavola separata di serie b per i bambini stranieri, le cui famiglie sarebbero ree di non aver documentato i loro redditi in patria, lascia letteralmente sbigottiti. Mi chiedo come possa un sindaco, indipendentemente dai regolamenti varati in odore di discriminazione, negare ai bambini stranieri ospitati nel suo territorio il beneficio della mensa e relegarli su un tavolo a parte dove mangiare il cibo portato da casa.

Non è la follia xenofoba di un sindaco in vena di scherzare, ma è il frutto di una mentalità razzista, che sta prendendo piede in Italia. Non faccia il furbo Matteo Salvini, che, pur elogiando la sindaca lodigiana, ha ripiegato in extremis su questa dichiarazione: «Gli stranieri devono fornire documentazione del loro paese d’origine, dove magari hanno proprietà e disponibilità economiche, ma se non è possibile il Comune si fiderà della buonafede». Simili cazzate non si sentivano da tempo: abbiamo scoperto la “delocalizzazione patrimoniale” degli immigrati e la buonafede come parametro di comportamento civico di fronte agli obblighi di legge. Non ha avuto il coraggio di ammettere che la sua amica sindaca ha fatto una solenne “cagata” da tutti i punti di vista. Punto e a capo.

Vorrei intervistare gli italiani su questa vicenda, peraltro rientrata a furor di solidarietà, con l’ammissione dei bambini a tavola in attesa di verificare la legittimità del provvedimento comunale. C’è stata una risposta solidale ammirevole, ma il problema è purtroppo politico: si è introdotta nella mentalità corrente l’idea che gli immigrati abbiano diritti speciali e che rubino risorse ai “nostri” poveri. Discorsi pazzeschi! Probabilmente troverebbe puntuale riscontro a livello di sondaggio.

Non è la prima volta, e mi auguro non sia l’ultima, che il presidente della Camera, il pentastellato Roberto Fico si smarca dal piattume acritico filogovernativo, per ragionare con la propria testa (questa volta ad onor del vero non è rimasto isolato all’interno del suo movimento): «Nel momento in cui si fa una delibera che in modo conscio o in modo inconscio crei delle discriminazioni così importanti si deve solamente chiedere scusa. Dopo le scuse questi bambini potranno rientrare tranquillamente nella mensa».

Chiedere scusa è sempre un ottimo comportamento: vuol dire ammettere i propri errori per cercare di rimediare. Penso che anche Roberto Fico debba chiedere parecchie scuse: quella di far parte di un movimento che non si capisce cosa voglia fare e che non è capace di fare quel che sembra dire; quella di aver formato un governo degli equivoci, che sta portando il paese fuori dalla politica per immetterlo nella demagogia; quella di fare “la foglia di Fico” per coprire le vergogne pentastellate. Non si può infatti continuare a chiedere scusa: ai migranti “imprigionati” su una nave che non li può sbarcare; ai bambini che non possono mangiare il cibo italiano; agli italiani che continuano testardamente a stare dalla parte della Costituzione; al presidente Mattarella che non tollera giustamente i “depositi di intolleranza”. Le scuse si possono accettare, ma anche respingere come fa Salvini verso la Francia. Soprattutto le scuse non devono diventare un paravento dietro cui continuare a fare cazzate.

Salvini e Grillo uber alles

Fra le tante cose insegnatemi da mio padre c’è quella di non azzardare facili giudizi su quanto avviene in casa d’altri: non si hanno infatti gli elementi indispensabili per esprimersi oggettivamente e compiutamente. Anche la politica non si dovrebbe sottrarre a questa regola, ragion per cui dovrei astenermi dal ragionare sui clamorosi risultati elettorali nella regione tedesca della Baviera. La tentazione però è troppo forte: siamo infatti inseriti in un vortice elettoralistico, da cui stentiamo a liberarci per ragionare finalmente in senso democratico; poi prevale la smania di verificare se l’andazzo italiano trovi riscontri nel resto d’Europa, per vedere se siamo la mosca o il cigno giallo-verde.

E allora ecco i risultati delle urne per l’elezione del Parlamento regionale della Baviera:  crollo verticale della Csu (i cristiano-sociali, partito “gemello” della Cdu di Angela Merkel), che qui governa ininterrottamente dal 1962 e che ora si ferma al 37,3% con un calo di 10 punti percentuali; crolla anche la SPD (il partito social-democratico) dal 20 al 9,5%; il vero exploit non è del partito di estrema destra Afd, che pure entra in parlamento, per la prima volta col 10,7%, ma dei Verdi, che guadagnano quasi 10 punti e arrivano al 17,8% ottenendo un risultato storico. Sarà una gara dura trovare una coalizione per governare la Baviera.

Sembra confermata, nel sito del bipartitismo quasi perfetto, la tendenza all’inesorabile calo dei partiti tradizionali: la destra moderata perde parecchi colpi, ancor di più ne perde la sinistra riformista. I consensi prendono una via radicaleggiante e reazionaria verso la destra xenofoba e razzista e dall’altra parte ci si sposta verso la sinistra movimentista. Il tutto avviene al di fuori della storia e della tradizione politica. Viene spontaneo tentare immediatamente un parallelo con la situazione italiana. Per essere estremamente schematici, a costo di scadere nella più negativa delle superficialità, a destra tutto sommato meglio la Lega e Fratelli d’Italia di Afd, mentre a sinistra il movimento cinque stelle è ben lontano dalla proposta politica dei Verdi, un partito di sicure tradizioni democratiche ed europeiste, che si stacca tuttavia dagli schemi riformisti del socialismo democratico.

Per quanto io ne possa capire di Germania e di Baviera, ammetto che molto probabilmente, se avessi la cittadinanza tedesca e la residenza in quella regione, avrei votato i Verdi: se diamo per scontata la fine dei partiti tradizionali e andiamo alla ricerca del nuovo a tutti i costi, tanto vale scegliere un movimento con una precisa sensibilità (l’ambientalismo), una chiara, seppure critica, convinzione (l’europeismo), un ancoraggio valoriale complesso ma accettabile (solidarietà, pacifismo, diritti civili, etc.). Non ricordo bene a quali elezioni europee feci già questa scelta. Tutto sommato invidio i tedeschi che al posto degli “sporcapercasa” grillini hanno gli ambientalisti politicizzati e ragionevoli (almeno così mi sembra). Queste sono, a caldo, le mie impressioni e riflessioni.

Termino questo breve commento, aggiungendo una stranezza emergente dalle indagini demoscopiche: tra i leader noti a livello internazionale gli italiani preferiscono la Merkel, poi nelle urne votano Salvini. Valli a capire i miei concittadini. Probabilmente un conto è parlare di politica a livello di massimi sistemi, un conto è votare a livello di minimi anti-sistemi.

Il capo-classe nell’ultimo banco

Frequentavo la scuola elementare e riferivo in famiglia, come sono soliti fare i bambini, che il maestro chiamava alla lavagna un alunno per segnare i nomi dei compagni buoni e cattivi, si diceva e si scriveva proprio così, vale a dire per segnalare chi, magari durante la momentanea assenza del maestro, si comportava in modo più o meno indisciplinato. Era una prassi decisamente discutibile sul piano etico, educativo ed umano e mio padre, senza dirlo apertamente e, quindi, senza censurare direttamente la caduta di stile del maestro (peraltro bravo, aperto e moderno), mi consigliò, in modo pacato ma convincente, di opporre, nel caso mi fosse rivolto l’invito, il mio rifiuto a contribuire a quella sciocca schedatura dei compagni di classe. Rispondi educatamente così: “Signor maestro Le chiedo di poter rimanere al mio posto e, se possibile, di non avere questo incarico”. Si trattava di una piccola, bella e buona, obiezione di coscienza, volta ad evitare confusione di ruoli, a rispettare la dignità degli altri ragazzi, a rifiutare ogni e qualsiasi tentazione per forme più o meno velate di delazione. Capii  abbastanza bene il suggerimento paterno e non mancai di metterlo in pratica alla prima occasione: il maestro, persona molta intelligente, girò  in positivo il rifiuto di fronte alla classe,  quasi sicuramente capì che non si trattava di farina del mio sacco, trovò subito chi era disposto a sostituirmi, assorbì, è il caso di dire in modo magistrale, il colpo che non gli bastò per interrompere una prassi piuttosto generale, ma non per questo meno sbagliata e insulsa, probabilmente rifletté sull’accaduto: il risultato era stato raggiunto. Da mio padre s’intende. Non ricordo neanche se riferii l’accaduto, anche perché il fatto poteva considerarsi chiuso.

Ebbene, ho la netta impressione che attualmente al posto del ministro degli Interni ci sia un arcigno e pretenzioso capo-classe, capace solo di affibbiare malevoli patenti a destra e sinistra, ritenendo così di aver assolto il suo compito di mantenere l’ordine pubblico. Sulla lavagna di Matteo Salvini tra i cattivi vengono segnati tutti coloro che non sono d’accordo con lui, tra i buoni tutti quanti lo hanno votato e lo continuano scriteriatamente ad incensare. Come sempre succede però anche i più ignoranti e insulsi personaggi ogni tanto ne azzeccano una. Oltre alla lavagna Salvini si è dotato di un registro, il decreto sicurezza ed in esso ha l’intenzione di inserire una misura particolare per il mondo del calcio: «Ogni domenica migliaia di unità delle forze dell’ordine sono impegnate a gestire l’ordine pubblico e chi paga? Noi. Chiederemo alle società di calcio di destinare il 5-10% dell’incasso dei biglietti per la gestione dell’ordine pubblico. Non è giusto che siano gli italiani a pagare».

Finalmente un punto su cui sono perfettamente d’accordo con Salvini. Comincio a preoccuparmi. Forse però deve preoccuparsi anche lui, perché in Italia chi osa toccare il calcio, viene preso regolarmente e inesorabilmente a calci. E poi, lui frequenta assiduamente il bar sport, ne adotta gli schemi mentali, ne usa il linguaggio, ne ascolta gli umori. Stia attento perché questa potrebbero anche non perdonargliela. Una buccia di banana per il capo-classe relegato nell’ultimo banco.

La forza dello Stato di diritto

Ho avuto recentemente e ripetutamente bisogno di fare ricorso alle forze dell’ordine e ne ho potuto riscontrare la disponibilità, l’impegno e la professionalità. Da questi reiterati episodi sono uscito rinfrancato come cittadino: c’è qualcuno che veglia su di noi ed è pronto ad intervenire a nostra difesa. Sono convinto che non occorrano leggi speciali o interventi particolari per garantire la sicurezza dei cittadini: basta che chi è a ciò deputato sappia fare il suo mestiere e lo faccia con serietà e convinzione. Non è quindi il caso di fomentare paure e strumentalizzare il senso di insicurezza, promettendo i miracoli e/o dando alla gente l’illusione di poter autodifendersi efficacemente con il varo di provvedimenti azzardati e invasivi.

Purtroppo però sono emersi e continuano ad emergere fatti che mettono seri dubbi sulla correttezza del comportamento delle forze di polizia; la vicenda Cucchi, con gli ultimi sviluppi, a dimostrazione di abusi di potere, interventi violenti, coperture, depistaggi, etc.; la condanna di uno dei due carabinieri accusati di aver violentato due studentesse Usa, a Firenze, nel settembre 2017, dopo averle riaccompagnate  a casa con l’auto di servizio (l’altro carabiniere, che non ha scelto il rito abbreviato, è stato rinviato a giudizio).

Lungi da me generalizzare i giudizi e squalificare tutti sulla base di alcuni bruttissimi episodi. Tuttavia bisogna riflettere seriamente e lavorare alacremente al fine di ricondurre alla legalità chi deve far rispettare la legge. Le mele marce vanno tolte immediatamente dal cesto e bisogna controllare continuamente che non ne spuntino altre. Capisco il logorio a cui sono sottoposti i tutori dell’ordine, la loro scarsa dotazione di mezzi, i loro turni di lavoro pesanti, la loro scarsa remunerazione, l’isolamento e l’ostilità in cui operano, i rischi enormi che corrono. Tutto ciò non giustifica comunque il lasciarsi andare a violenza e prepotenza verso chicchessia, soprattutto verso persone, che dovrebbero essere difese e che si vedono aggredite dai loro potenziali difensori. Non c’è esperienza peggiore del trovarsi scoperti proprio sul fronte della propria difesa.

Sul piano politico è necessario interrompere drasticamente la deriva criminalizzante verso intere categorie di persone, che finisce col promuovere atteggiamenti giustizialisti nella gente e nelle forze dell’ordine. Occorre ricostruire fiducia nelle istituzioni e verso chi le rappresenta e difende. La repressione della criminalità non deve reprimere i diritti fondamentali delle persone in una sorta di far west in cui non regna l’ordine, ma il disordine. Sono discorsi che rischiano di essere considerati anacronistici, ma non bisogna arrendersi.

Ricordo quando nelle sezioni della democrazia cristiana, negli anni sessanta del secolo scorso, si aveva il coraggio di discutere del disarmo della polizia nei conflitti di lavoro. La maggioranza degli iscritti reagiva con violenza verbale, auspicando i cannoni per la polizia e tutto finiva lì. Oggi è ancor peggio: la mentalità del combattere la violenza criminale con una sorta di violenza di Stato è fortissima. Dobbiamo cambiare registro: lo dobbiamo anche e soprattutto a chi nelle forze di polizia si comporta in modo esemplare e che non ci chiede di fare casino (ce n’è già anche troppo), ma di affrontare problemi e situazioni in modo serio e costruttivo.

I fiori mattarelliani della democrazia

“La democrazia è come un fiore, deve essere curata ogni giorno: basta dimenticarsene una volta perché appassisca e muoia”. È una frase di Shirin Ebadi, iraniana, prima donna musulmana a ricevere il Nobel per la pace a motivo del suo impegno per i diritti umani e a favore della democrazia. Il governo italiano ha purtroppo la memoria corta e se ne dimentica continuamente, anzi sembra fare di tutto per resettare la Costituzione italiana, al punto che il Presidente della Repubblica, con il suo solito garbo ma con perfetta tempestività, deve intervenire molto spesso per ristabilire, nella mentalità governativa e in quella corrente, l’ordine costituzionale.

“La nostra Costituzione consente di superare difficoltà e di garantire l’unità della società anche perché ha creato un sistema in cui nessuno, da solo, può avere troppo potere. C’è un sistema che si articola nella divisione dei poteri, nella previsione di autorità indipendenti, autorità che non sono dipendenti dagli organi politici ma che, dovendo governare aspetti tecnici, li governano prescindendo dalle scelte politiche, a garanzia di tutti”. È l’ennesima lezioncina di Sergio Mattarella., che sta diventando il più che opportuno “Bignami costituzionale” a fronte dei grossolani ed insistenti strafalcioni degli esponenti governativi, i quali vorrebbero ricondurre tutto il sistema sotto il loro diretto controllo e connettendolo in tutto e per tutto al voto popolare.

Quest’ultimo richiamo presidenziale ha inteso smorzare la polemica che ha investito prima Bankitalia e poi l’Ufficio parlamentare di bilancio e la Corte dei Conti: tutti avevano espresso perplessità sulla nuova legge di bilancio, le cui previsioni erano state giudicate irrealistiche, ma per questo erano subito partite le reprimende da parte di esponenti del governo, come il ministro Di Maio, che aveva invitato la Banca d’Italia a costituire una sua lista e a presentarsi alle elezioni.

Il sistema, da questi parvenu della politica e della democrazia, è considerato una sorta di ring elettorale in cui tutti si devono continuamente misurare. Non sei d’accordo con noi? Ebbene, raccogli i voti dal popolo e poi potrai parlare! Pensi che due più due faccia quattro? Lo vedremo dopo che avrai ottenuto il consenso elettorale dalla maggioranza dei cittadini. Cambiare la legge sulle pensioni comporta un aggravio del debito Inps dell’ordine di 100 miliardi? Il presidente dell’Istituto, allarmato in tal senso, se ne stia zitto e buono, anzi forse è meglio che si dimetta e scenda nell’agone politico! Noi andiamo avanti, non arretreremo neanche di un passo, ce ne freghiamo, abbiamo il consenso del popolo…

Ha un bel da fare il Capo dello Stato a spiegare che la magistratura è un potere indipendente dagli altri, che esistono autorità indipendenti dalla politica, che il potere concentrato e indiscusso può diventare dominio, che il sistema democratico deve garantire tutti e non solo la maggioranza, etc. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. «Meno parlo, meglio è…» ha risposto, allargando le braccia, il ministro per gli Affari europei Paolo Savona a chi, all’uscita della Camera, gli chiedeva un commento al monito del Presidente della Repubblica. Ecco, appunto: parlate meno che potete e fate quello che potete.

Al riguardo ricordo un episodio a metà strada fra la cronaca e l’aneddoto: a un invadente e confusionario dipendente pubblico il suo superiore, stanco dei casini che questo impiegato, solerte ma incompetente, creava in continuazione, disse spietatamente: «Le ordino espressamente di non fare niente…se proprio non sa come far trascorrere il tempo, provvederò a mettere nel suo ufficio un divano: si corichi lì e dorma…». Peccato che non possa fare altrettanto il Capo dello Stato con alcuni esponenti del governo Conte: sarebbe una ben strana moral suasion, che darebbe tuttavia frutti immediati in tutti i sensi.

Il minculpop leghista

Non è un fatto di grande rilievo, di quelli che sconvolgono la vita, ma a volte anche le piccole cose hanno molto da rivelarci e insegnarci. Un noto personaggio mediatico, Cristina Parodi, un volto conosciuto a livello televisivo, attualmente in forza alla Rai, è entrata nell’occhio del ciclone leghista, suscitando le ire di alcuni deputati del Carroccio, per avere rilasciato una sua sintetica dichiarazione sulle fortune politiche di Matteo Salvini. Durante la trasmissione “I Lunatici” su Rai Radio2, che peraltro non ho mai avuto l’occasione di seguire, sconfinando peraltro dal suo attuale impegno riguardante la conduzione de “La prima volta” su Rai 1, ha detto: «A cosa è dovuta l‘ascesa di Salvini? All’arrabbiatura della gente. Al fatto che probabilmente non è stato fatto molto di quello che era stato promesso di fare. È dovuta alla paura e anche all’ignoranza. Mi fa paura vedere un tipo di politica che è basta sulla divisione, sui muri da erigere. Vorrei una politica che andasse incontro ai più deboli e che aiutasse questo Paese a risollevarsi in un altro modo».

Apriti cielo! La giornalista, moglie del sindaco PD di Bergamo, Giorgio Gori, avrebbe utilizzato il servizio pubblico radio-televisivo a proprio uso e consumo, facendo propaganda politica alla faccia del pluralismo informativo. Non sembra una reazione uscita dal Minculpop? Meno male che nel clima di lecca e/o paraculismo, in mezzo al ciarpame dei talk show, zeppo di nani (che vanno dietro alla corrente) e ballerine (capaci solo di “sgallonare”, chiacchierare e mostrare moderni ed eleganti tacchi a spillo con la compiacenza dei cameramen), qualcuno esce dagli abiti di scena per riflettere a voce alta e provare a ragionare davanti ai microfoni. Vietare ad una giornalista o comunque ad una conduttrice televisiva, di esporre, in modo peraltro garbato, le proprie opinioni, chiedendone le dimissioni, quello sì che è un attentato al pluralismo informativo.

I deputati leghisti, se vogliono fare opera meritoria e risanatrice in materia Rai, hanno ben altro di cui scandalizzarsi ed a cui guardare criticamente. Non hanno che l’imbarazzo della scelta: dagli sprechi giornalistici di Rai sport alle ripetitive e inutili corrispondenze, dalla futilità degli argomenti trattati al sistematico parlarsi addosso, dalla consolidata e conclamata superficialità alla subdola partigianeria. Le recenti nomine nel consiglio Rai, pilotate in modo vergognosamente fazioso dalle forze politiche dell’attuale governo, non sono certo un approccio serio e corretto alla problematica radiotelevisiva.

Per quanto concerne il merito delle dichiarazioni di Cristina Parodi, devo ammettere di essere perfettamente d’accordo con lei per filo e per segno: la sua sacrosanta piccola “sparata” è perfettamente condivisibile. Non c’è nulla da togliere o da aggiungere. Le cose stanno proprio così. Salvini se ne faccia una ragione e si rassegni alla Parodi…a: non tutti vanno al bar, c’è anche chi riflette e ragiona. Se ha qualche argomento nuovo da aggiungere alle sue continue e stucchevoli “sparate”, lo faccia e non si affidi alle censure messe pedissequamente in atto dai suoi leccapiedi.