Il demoniaco riciclaggio dei rifiuti

Sono consapevole di andare contro corrente (è il mio destino culturale), ma la mia lettura del fatto della ragazza vittima a Roma di un episodio sconvolgente, si allontana dalla sbrigativa criminalizzazione generalizzata degli immigrati clandestini per andare molto più a fondo e in largo. La drammatica vicenda di questa giovane, Desirée (un nome che significa “desiderata” nella traduzione italiana: un paradosso vista la sua prematura e tragica fine), è l’estrema sintesi dei mali della nostra epoca. C’è dentro un po’ di tutto: una pattumiera in cui essa è stata gettata e soffocata.

C’è il sesso ridotto a mero consumo di un corpo reso inerme  e inerte; c’è la droga promossa a stile di vita, a modo di essere e di (non) vivere; c’è la donna non solo considerata come oggetto, ma quale giocattolo con cui divertirsi, ma sfasciandolo prima e dopo l’uso con sadica indifferenza; c’è la logica del branco che diventa il grande dittatore del singolo; c’è la ricerca ossessiva ed autoreferenziale della rivalsa sul debole e il riscatto delinquenziale del debole che si fa forte nel delitto su un altro debole; c’è l’omertà sociale di chi vede, tace e si limita ad imprecare; c’è la vigliaccheria personale di chi si gira dall’altra parte o si rassegna a (non) fare i conti con la violenza; c’è la rivoluzione di chi scarica tutte le colpe sulla politica (ne ha tante, ma non tutte); c’è la reazione di chi si illude di risolvere col pugno di ferro verso tutto e tutti.

In questi giorni papa Francesco ha invitato i cristiani ad invocare la Vergine Maria e san Michele arcangelo perché ci siano di aiuto nella battaglia contro il demonio. Non sono un cristiano facilmente portato ad enfatizzare la lotta contro il male, bensì piuttosto propenso a puntare al bene quale migliore antidoto.   Davanti a questi fatti così emblematicamente demoniaci, resto però piuttosto sconcertato. Non mi rifugio nella psicologia e nella sociologia da salotto, non mi lascio ingannare dal perbenismo scandalizzato e tranciante, non credo alle soluzioni facili e immediate.  Torno a considerazioni già fatte e scritte.

L’elemento che rende più umanamente inspiegabile questi comportamenti delittuosi, non è tanto la crudeltà (un dato presente in molte vicende umane personali e collettive), non è tanto la futilità dei motivi scatenanti, né la giovane età dei protagonisti, ma l’ostentata indifferenza del dopo-delitto, che si accompagna alla mancanza di rimorso e di ravvedimento. È vero che nella coscienza di un individuo non si riesce a leggere, ma tutto lascia pensare alla mancanza di coscienza (qualcuno dice mancanza del senso di colpa). Se un uomo è senza coscienza, non è una bestia perché gli rimane l’intelligenza, è un demonio. È questo che mi induce a considerare demoniaci questi comportamenti, non in senso figurato ma in senso proprio.

La psicologia, la sociologia, la scienza medica possono trovare per questi episodi tante motivazioni sociali, familiari, ambientali, educative: le conosco, le rispetto, ma non mi convincono. Queste analisi possono servire a responsabilizzare tutti coloro che operano a contatto con i giovani e con le realtà sociali più degradate. Rimane comunque un comportamento che temo possa essere riconducibile direttamente al demonio, se la vogliamo dire in senso laico, al gusto di fare il male per il male.

Racconta Vittorino Andreoli, il noto esperto e studioso di psichiatria criminale, di avere avuto un importante e toccante incontro con papa Paolo VI, durante il quale avranno sicuramente parlato non di meteorologia, ma di rapporto tra scienza e religione nel campo della psichiatria e dello studio dei comportamenti delinquenziali. Al termine del colloquio il pontefice lo accompagnò gentilmente all’uscita, gli strinse calorosamente la mano e gli disse, con quel tono a metà tra il deciso e il delicato, tipico di questo incommensurabile papa: «Si ricordi comunque, professore, che il demonio esiste!».

 

Un movimento TAP…ino

Le balle stanno in poco posto, così recita un vecchio, ma sempre attuale, adagio. La Tap (Trans Adriatic Pipeline), il gasdotto che sbocca in Puglia e serve a portare in Europa il gas estratto in Arzebaigian dai giacimenti sotto il fondo del mar Caspio, potrebbe essere ridefinita DIG (Diaspora Inutile Grillina). La storia è piena di promesse elettorali non mantenute: il M5S è maestro in questa specialità, che costituisce un fondamento del suo populismo da tre soldi. Ha promesso, soprattutto nelle zone interessate ed allarmate dai lavori imponenti di questa opera infrastrutturale, che la Tap sarebbe andata nel ripostiglio delle cattedrali nel deserto, nell’archivio delle abortite cattive intenzioni. A distanza di alcuni mesi, dopo che sono stati incassati i voti anche sulla base di questa promessa, salta improvvisamente fuori il problema di una penale enorme da pagare in caso di interruzione dei lavori.

Diamo per assodato (?) questo rischio, che l’ex ministro Calenda nega con fermezza e che all’interno dello stesso Movimento grillino sta creando un certo subbuglio. Ammesso e non concesso che la scusa sia contrattualmente certa, resta comunque la superficialità, al limite della dabbenaggine, con cui è stata fatta una promessa elettorale di primaria importanza. La scusa viene così portata ad opera di Luigi Di Maio: «Da ministro dello Sviluppo economico ho studiato le carte della Tap per tre mesi e vi posso assicurare che non è semplice dover dire che ci sono delle penali per quasi 20 miliardi di euro. Ma così è, altrimenti avremmo agito diversamente. Sulla realizzazione della Tap non ci sono alternative».

A chi gli chiede se non era il caso di studiare preventivamente il problema prima di lanciarsi in promesse così rilevanti e impegnative, Di Maio risponde con un’ulteriore risibile scusa: «Al M5S non hanno mai fatto leggere alcunché. Quelli che erano andati a braccetto con le peggiori lobby del Paese non ci hanno mai detto che c’erano penali da pagare». Può anche essere…ma resta la clamorosa ingenuità (?) di giocarsi sul piano politico una carta simile, di cui non si conoscono bene tutti i risvolti. Della serie: noi siamo contrari, poi si vedrà. Parecchi hanno abboccato all’amo grillino ed ora restano con un palmo di naso a strappare la scheda elettorale, a chiedere le dimissioni dei parlamentari eletti nella zona, a pretendere chiarimenti, a protestare in piazza, ad esprimere amara delusione per il comportamento fatalistico di Conte e Di Maio.

Una triste sceneggiata, destinata a ripetersi con la Tav. Il tutto aveva avuto – alcuni anni or sono, agli albori del grillismo nelle stanze dei bottoni – un prologo inquietante nel voto strappato ai cittadini di Parma sull’onda del “no” all’inceneritore dei rifiuti: opera rivelatasi irreversibile e addirittura in odore di potenziamento ulteriore. Possiamo dire che le fortune dei grillini cominciarono a Parma proprio su una promessa da marinaio e continuano su questa strada. I parmigiani hanno avuto la memoria corta e hanno confermato la loro fiducia al sindaco Pizzarotti, nonostante la marcia indietro sul forno inceneritore. Alla memoria corta dei governanti fa riscontro quella altrettanto corta degli elettori. L’eco mediatica delle promesse elettorali (Berlusconi docet) dura circa sei mesi, nel bene del mantenimento e nel male del tradimento: trionfa il dimenticatoio. Sarà così anche per la TAP: dopo l’inevitabile incazzatura del momento, dopo un po’ di polvere, Di Maio e c. ritorneranno sull’altare del cambiamento.

La via Pal riveduta e (assai) scorretta

Sta succedendo a Piacenza, ma penso e temo sia purtroppo un fenomeno in atto su larga scala (in Francia in particolare): i ragazzi si mettono d’accordo sui social network, stabiliscono luogo, data e ora, si incontrano e si prendono a cazzotti. Sembrerebbe l’ultima moda in fatto di divertimento del sabato sera. Non è una questione politica, né tanto meno religiosa, di razza o di fede calcistica: questi, non pochi, giovani si picchiano per il solo gusto di farlo. Questi ragazzi, stando alle cronache locali (canale 105), trovano sempre un pretesto per prendersi a pugni, può essere qualche like in più sul profilo instagram di un’amica. Volano minacce e insulti durante la rissa, gli adolescenti si fomentano in questo modo: poi partono gli spintoni e alla fine pugni, cazzotti, calci, con il raggiungimento di livelli di violenza impressionanti. Ai margini ci stanno i tifosi che incitano i compagni, vengono girati dei filmati successivamente postati sui social e si innesca così un vero e proprio barbaro sfogatoio delle pulsioni adolescenziali.

Mia sorella, di fronte a questi clamorosi fatti di devianza minorile, andava subito alla fonte, vale a dire ai genitori ed alle famiglie: dove sono, si chiedeva, cosa fanno, possibile che non si accorgano di niente? Aveva perfettamente ragione. Capisco che esercitare il “mestiere” di genitori con questi chiari di luna non sia facile ed agevole: di qui a fregarsene altamente…C’è alla base una tremenda carenza di carattere educativo, una grave assenza di valori di riferimento, una testimonianza fallace e fuorviante a livello familiare e sociale. Non si può ridurre tutto ciò alle “solite ragazzate”, prima di tutto perché non sono ragazzate ma veri e propri preludi delinquenziali, secondariamente perché, come diceva mio padre, la pianta va drizzata fin tanto che è giovane e si è ancora in tempo.

Sappiamo come le due agenzie educative fondamentali si incolpino a vicenda: la famiglia e la scuola. Credo che in ordine di tempo e di importanza prima venga la responsabilità della famiglia, che oltretutto si ripercuote su quella scolastica con la crescente spinta a delegittimarla in modo scriteriato e talora violento.  Poi viene la tendenza a ributtare tutte le colpe sulla società malata, piena di contraddizioni, di conflitti, di spinte centrifughe verso la trasgressione, il disimpegno, l’evasione. Per non parlare della solita chiamata in causa della politica, incapace di affrontare i problemi della gioventù, prima di tutto quello della prospettiva lavorativa. Un polpettone di sociologismo spicciolo e inconcludente, che trova spesso eco mediatica negli stucchevoli dibattiti tra psicologi e sociologi.

L’adolescenza è una fase molto delicata della vita: la spinta sessuale è prorompente, la ribellione esplode, l’egoismo comincia a svilupparsi, la trasgressione fa sentire tutto il suo fascino, la vita assume una dimensione immediata quasi insopportabile. I giovanissimi hanno sempre vissuto brutte avventure, l’impatto mondano non li risparmia, ma il tempo ha trasferito queste pericolose esperienze dal “precario” al “definitivo”: non sono più episodi sperimentali di trasgressione, ma rischiano di diventare approcci esistenziali definitivi. Lo sballo è ormai fine a se stesso e costituisce regola di vita.

È questione di un attimo cadere in qualche baratro a portata di mano. Non esistono risposte pronte e ricette facili: anche la progressiva mancanza di senso religioso non è fatto secondario. Ognuno deve fare la propria parte, senza scaricare il problema sugli altri. Bisogna seminare senza avere fretta di raccogliere. Nella mia esistenza ho provato cosa voglia dire riscoprire giorno per giorno gli insegnamenti ricevuti, magari inizialmente respinti o sottovalutati. Bisogna recuperare anche quando la frittata sembra irrimediabilmente fatta. Da queste risse tra adolescenti arriva un grido disperato anche se camuffato dalla febbre goliardica del sabato sera. Apriamo occhi ed orecchie perché questi ragazzi sono in gravi difficoltà e non soffrono di disturbi provvisori superabili con l’età. Sono in bilico e possono irrimediabilmente sprofondare. Dove? Non so, ma…

 

I furbetti del governino

Me l’aspettavo e puntualmente è arrivata! Erano troppo serie, equilibrate e incoraggianti le dichiarazioni di Mario Draghi per non essere respinte con presunzione, cattiveria e ignoranza. Forse sarebbe meglio cambiare la successione: ignoranza, presunzione e cattiveria. Ma andiamo con ordine.

Durante la conferenza stampa seguita alla riunione del consiglio direttivo della Bce, Mari Draghi con la sua invidiabile calma, con altrettanta serietà di analisi e con grande e diplomatica mano tesa all’Italia si è soffermato ed ha brevemente sviluppato tre innegabili concetti. È partito da una constatazione di buon senso: “Nei Paesi ad alto debito è essenziale il pieno rispetto delle regole del Patto di stabilità e di crescita per salvaguardare i livelli di fiducia”. Tradotto volgarmente: se sei pieno di debiti, devi dare almeno l’impressione di comportarti correttamente per sperare che i creditori sperino di essere rimborsati.

In secondo luogo il presidente della Bce ha opportunamente, anche se molto cautamente, parlato dei problemi delle banche: “Su quale sia esattamente l’impatto degli aumenti dei tassi delle emissioni pubbliche italiane sulle banche non ho la sfera di cristallo. Si parla di 200 o 300 miliardi di euro in portafoglio. Certamente sono nei bilanci e se si svalutano pesano sui livelli patrimoniali. Inoltre gli aumenti dei tassi di interesse sui titoli di Stato dell’Italia automaticamente riducono i margini espansivi del bilancio”. Tradotto in parole povere: la svalutazione dei titoli pubblici italiani conseguente alla reazione sfiduciata dei mercati influisce sul bilancio delle banche che li hanno in portafoglio e gli istituti di credito dovranno compensare queste minusvalenze con misure che tenderanno a restringere i prestiti alla clientela e/o li renderanno più redditizi per le banche stesse, ma più onerosi per famiglie e imprese. Quanto al maggior onere che lo Stato dovrà sostenere per finanziarsi, questo peserà sul bilancio e quindi andrà a ridurre ulteriormente le possibilità di manovra a livello di crescita e sviluppo.

Da ultimo, in punta di forchetta, ha lanciato un messaggio ed un consiglio ai governanti italiani: “Sono fiducioso che un accordo verrà trovato. Bisogna abbassare i toni, non mettere in discussione l’esistenza dell’Euro e poi fare politiche che abbassino lo spread”. Della serie: non tutto è perduto, basta usare un po’ di diplomazia, non sparare a vanvera e dare segnali tranquillizzanti ai mercati.

Ho subito pensato ad alta voce: meno male che c’è Draghi! Ci sta parando qualche colpo e ci sta dando una bella mano, come del resto ha fatto in questi anni. Vuoi vedere che lo rimbeccheranno in malo modo?! Pensato e immediatamente confermato dai fatti. Luigi Di Maio ha reagito così: “Secondo me siamo in un momento in cui bisogna tifare Italia e mi meraviglio che un italiano si metta così ad avvelenare il clima ulteriormente.  Draghi può dire quello che vuole, ma è singolare che vedo più rispetto da alcuni ministri tedeschi”. Non ha capito niente di niente oppure, se ha capito, è in mala fede. In precedenza Matteo Salvini si era già espresso sulle dichiarazioni di Draghi: “Anch’io sono per un accordo, ma sulle nostre posizioni”.  Ha capito tutto, ma preferisce fare il furbetto del governino. Ma chi credono di essere? Non so, so soltanto cosa sono…

Scoprire gli altarini dell’antieuropeismo

Viene spontaneo chiedersi: perché le attuali forze di governo puntano con tanta cocciutaggine ad un contenzioso con l’Europa in materia economica e non solo? Dovrebbe essere chiaro che ci stiamo infilando in un tunnel senza via d’uscita e non appare plausibile una tattica mirante a chiedere 100 per ottenere 10. La spiegazione non va cercata nel contrasto sul merito delle questioni o nell’ostilità sul metodo delle istituzioni comunitarie: Lega e M5S sanno benissimo di essere dalla parte del torto per quanto concerne gli indirizzi di politica economica “sbruffonescamente” varati e penosamente difesi; sono perfettamente consapevoli che una riforma istituzionale a livello europeo non si fa con il disfattismo sovranista o con la demagogia populista; si rendono conto che alzare continuamente il tono dello scontro può portare a sciagurate rotture. L’intelligenza politica degli attuali governanti non è eccelsa, ma per arrivare a quanto sopra non occorre essere dei Macchiavelli in salsa giallo-verde. E allora?

La tattica politica, completamente sganciata da qualsiasi barlume di strategia, riguarda solo ed esclusivamente il raschiamento del barile elettorale in vista della prossima consultazione europea, che con ogni probabilità si giocherà sul (quasi) ideologico scontro tra europeismo ed euroscetticismo. La Lega con il suo storico astio deve quindi tenere caldo l’umore degli italiani disamorati rispetto alla prospettiva europea, mentre il M5S non può lasciare ai leghisti questo enorme bacino e tenta di prosciugarlo con le pompe della sburocratizzazione istituzionale più che della contrarietà internazionale. Non so chi la spunterà in questa battaglia casalinga di retroguardia: la sfrontatezza antieuropea dei Salvini o il subdolo euroscetticismo dei Di Maio? La dichiarata crociata anti-immigrati di stampo nazionalista o il falso perbenismo dell’accoglienza sì-ma… di impronta grillina?

Su questo terreno la sinistra, i verdi e le altre forze di cultura europeista avrebbero molto da dire e potrebbero guastare la festa alle forze antieuropeiste e quindi in Italia si verrebbe a creare uno scontro radicale tale da scuotere le coscienze intorpidite e le menti obnubilate: una sorta di elettrochoc politico che metterebbe in discussione la “cotta” per grillini e leghisti, relegati a fidanzati di serie b, candidati ad un matrimonio elettorale ancora tutto da celebrare. Ecco spiegato il perché sia necessario mantenere così alto il livello dello scontro con l’Ue: per mettere gli elettori di fronte ad un bivio quasi definitivo e giocarseli sul piano emozionale dell’essere padroni a casa propria.

La sinistra deve darsi una mossa e uscire dal piatto anonimato della politica politicante per mettersi in gioco chiedendo agli elettori di scegliere fra la storia e la geografia, fra la politica e l’antipolitica, fra il futuro e il passato. Ce la farà? La paura grillo-leghista, che arriva fino a colpire, discorso peraltro in atto da tempo, il presidente Mattarella quale inciampo di lusso a questa deriva, la dice lunga. Guai se qualcuno riesce autorevolmente a riportare il discorso sul corretto e obiettivo piano politico ed istituzionale: questi è il vero nemico, si chiami Mattarella, Draghi o, purtroppo, come pochi altri.  Bisogna insistere: prima o poi potrebbe succedere qualcosa di strano, ma soprattutto potrebbe cadere il velo dagli occhi della gente. Provarci almeno!

Grande e scriteriato cabotaggio

Era la fine di luglio e si stava profilando un difficile rapporto fra governo italiano e Unione europea. Anziché prendere in mano la matassa piuttosto aggrovigliata e tentare pazientemente di dipanarla, il premier Giuseppe Conte corre a baciare la pantofola di Trump, nemico giurato dell’Europa unita e ne incassa gli imbarazzanti complimenti in materia di immigrazione, nonché la disponibilità ad istituire una sorta di asse privilegiato Usa-Italia per la gestione dei rapporti nel Mediterraneo. E l’Europa? Può attendere!

Il 23 ottobre, dopo un antipasto a base di scaramucce economico-finanziarie, arriva il primo indigesto piatto della formale bocciatura europea della manovra economica varata dal governo italiano. Le preoccupazioni sono molte e di molti. Il premier Conte non trova di meglio che fare una capatina a Mosca, andando a baciare un’altra pantofola, quella di un nemico della Ue, che soffre per le sanzioni impostegli in conseguenze della sua politica scorretta relativamente alle questioni dell’Ucraina e della Crimea. Qualcuno sospetta che Conte sia andato a batter cassa, a chiedere da parte russa l’acquisto dei titoli del debito pubblico italiano in crescente sofferenza di collocazione sui mercati anche in vista della fine ormai prossima del “quantitative easing” da parte della Bce. Non risulta che Putin abbia molti rubli a disposizione da spendere, alle prese com’è con una crisi economica pesante e con un sistema bancario che cade a pezzi. E allora? Forse Conte intende spaventare i partner europei inaugurando la politica dei tre forni a livello internazionale (Ue, Usa, Russia). Forse vuole diversificare il suo pacchetto politico, mettendo a frutto le simpatie grilline e leghiste verso Putin ed il suo “mafioso populismo”. Forse si candida a tessere una tela di collegamento fra le due superpotenze in vena di dialogare in modo oscuro e intrigante. Forse è alla ricerca di una tribuna importante per lanciare i suoi penultimatum alla Commissione Ue. E l’Europa? Può attendere!

Qui o si sta bluffando a più non posso o si sta sovvertendo la politica internazionale italiana. Se c’era qualcosa di sicuro e consolidato per il nostro Paese era la collocazione nell’area occidentale e nell’Europa, scelte storicamente rivelatesi azzeccate da tutti i punti di vista, adottate con dignità e relativa autonomia e mai rimesse in discussione. Se ci si azzarda a contestare questo ondivago comportamento, arrivano formali rassicurazioni, immediatamente smentite dai fatti e dalle scelte concrete. Della serie: noi intendiamo rimanere in Europa, ma ce ne freghiamo dei burocrati europei; noi pensiamo di rimanere saldamente nell’euro, ma ce ne freghiamo dei richiami al rispetto dei patti monetari; noi restiamo legati all’Occidente, ma strizziamo l’occhio a Putin perché ci piace il suo incipit populista; noi desideriamo un’Europa forte, ma  siamo vicinissimi a Trump che lavora per indebolirla; noi ci sentiamo inseriti nel sistema capitalistico occidentale, ma dei mercati finanziari ce ne facciamo un baffo.

Quando c’è il terremoto si consiglia di non precipitarsi giù dalle scale, ma di stare al coperto possibilmente sotto qualche solido riparo protettivo. La situazione mondiale è piuttosto terremotata dal punto di vista economico (siamo in crisi da dieci anni), dal punto di vista geopolitico (i fenomeni migratori tendono ad aumentare, il terrorismo impazza, i rapporti internazionali esplodono), dal punto di vista climatico e dell’inquinamento atmosferico (un disastro al giorno leva la tranquillità di torno), dal punto di vista politico (il sistema democratico è soggetto ad attacchi concentrici e le istituzioni sovranazionali traballano), dal punto di vista etico (i valori e i principi sono un optional), dal punto di vista della coesistenza pacifica (la terza guerra mondiale, come sostiene papa Francesco, è all’ordine del giorno). Ebbene, in questa drammatica contingenza, il governo italiano si muove a zig zag, scherza col fuoco, recita a soggetto. Vedrete…tutto andrà a meraviglia e, se per caso avremo sbagliato, ce ne andremo. Cosa dovrà mai succedere per acclarare il fallimento?

Stiamo andando a sbattere

“Bruxelles può mandare 12 letterine, da qui fino a Natale, ma la manovra non cambia, noi tiriamo dritto. Tutte le manovre passate negli anni scorsi a Bruxelles hanno fatto crescere il debito di 300 mld di euro. È un attacco all’economia italiana. Qualcuno vuole comprare le nostre aziende sottocosto. L’obiettivo è crescere il doppio di quanto abbiamo previsto. Se perdiamo la scommessa? Se gli italiani vogliono mandarci a casa, lo faranno!”. Così Matteo Salvini, vicepremier e ministro dell’Interno, commentando la bocciatura della manovra da parte della Commissione europea.

“I bilanci in equilibrio, l’efficienza dei servizi, i diritti garantiti ai cittadini, la sinergia tra pubblico e privato, in modo che crescano le opportunità per tutti, sono sfide a cui nessuna amministrazione può sottrarsi: il Comune e la Provincia come la Regione e lo Stato. La logica dell’equilibrio di bilancio non è quella di un astratto rigore. Occorre scongiurare che il disordine della pubblica finanza produca contraccolpi pesanti anzitutto per le fasce più deboli, per le famiglie che risparmiano e per le imprese”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella parlando all’Anci (nuora), perché il governo (suocera) intenda.

“Noi tiriamo dritto”: non è Salvini il primo a dirlo. E mi fermo qui, sperando che l’Italia non vada a sbattere. Che l’enormità del nostro debito pubblico non sia farina del sacco del governo Conte, ma di chi ha amministrato lo Stato dal secondo dopoguerra in avanti, è verissimo, con un piccolo particolare: fare debiti a volte può anche servire, se stanno a fronte di investimenti o di spese produttive (non ho sentito nemmeno una parola convincente in tal senso). Che qualcuno voglia comprare le aziende italiane a “straccio mercato” potrebbe anche darsi, ma dopo averle comprate dovrà gestirle e non mi sembra che il clima politico, da questo punto di vista, sia incoraggiante. Che si riesca a crescere il doppio rispetto alle previsioni, già ritenute ottimisticamente campate in aria, mi sembra francamente un sogno pericoloso e fuorviante. Governare un Paese non è fare una scommessa con gli elettori, non è un gioco d’azzardo, non è un prendere o lasciare. Sulla possibilità che gli italiani mandino a casa gli attuali governanti meglio lasciar decidere a loro senza scadere nel bullismo elettorale.

E le letterine di Natale? Non mi sembra che l’Unione europea ci voglia prendere in giro seppellendoci sotto una valanga di burocratiche missive. Forse siamo noi che dobbiamo mandare la letterina di Natale alla Ue: in essa infatti si dovrebbero scrivere propositi seri e non baggianate qualsiasi. E per pensare e scrivere cose serie bisognerebbe umilmente seguire le indicazioni del Capo dello Stato.  Diversamente, tanto per rimanere in clima natalizio, c’è il timore che Babbo Natale ci deluda clamorosamente ed a qualcuno vada di traverso il panettone: non mi riferisco a Salvini e c., ma, come dice Mattarella, agli italiani più deboli, alle famiglie che risparmiano e alle imprese che producono.

I manovratori disturbati

Il ministro dell’economia Tria ha inviato la lettera di risposta alla Commissione europea, dopo la missiva ricevuta il 18 ottobre direttamente dal commissario Moscovici. La manovra “non espone a rischi la stabilità finanziaria dell’Italia né degli altri Paesi dell’Unione europea”, scrive Tria, “riteniamo infatti che il rafforzamento dell’economia italiana sia anche nell’interesse dell’intera economia europea. “Qualora i rapporti deficit/Pil e debito/Pil non dovessero evolvere in linea con quanto programmato, il Governo si impegna ad intervenire adottando tutte le necessarie misure”. “Per il sentiero del Saldo strutturale, il governo è cosciente di aver scelto un’impostazione della politica di bilancio non in linea con le norme applicative del Patto di stabilità e crescita” si legge nella lettera del ministro Tria. “È stata una decisone difficile ma necessaria alla luce del persistente ritardo nel recuperare i livelli di Pil pre-crisi e delle drammatiche condizioni economiche in cui si trovano gli strati più svantaggiati della società italiana”, aggiunge e spiega Tria.

La risposta, abile (?) nei contenuti e morbida nei toni, non ha commosso la Commissione europea forse l’ha ulteriormente indispettita, non è riuscita ad evitare una seppur non definitiva bocciatura, anche e soprattutto perché elude la questione di fondo. Conversando a ruota libera, nei giorni scorsi un amico mi sottolineava come qualsiasi manovra economica di un qualsiasi Stato non possa che comportare un deficit di bilancio. In effetti diversamente non ci sarebbe bisogno di manovrare, ma solo di utilizzare il surplus in un modo o nell’altro. Il problema sta quindi tutto nella finalizzazione del deficit e del suo contenimento a livelli compatibili con i patti europei. L’Ue non esige un bilancio alla pari, ma un disavanzo strutturale (deficit ripulito dagli effetti del ciclo economico e delle misure una tantum) al di sotto dello 0.5% del Pil (prodotto interno lordo). L’Italia si era impegnata, in deroga alle regole europee, a contenere il deficit pur superando ampiamente il livello suddetto. L’attuale governo ha alzato ulteriormente di uno 0,8% il deficit previsto (un “ritocco” pari a 14 miliardi, il fabbisogno per le due novità demagogiche ed elettoralistiche, vale a dire il reddito di cittadinanza e la riforma della Legge Fornero), che arriverebbe così al 1,7% del Pil, smentendo clamorosamente lo stesso ministro dell’economia, che continuava a rassicurare le istituzioni europee (salvo fare un dietrofront assai poco dignitoso).

La motivazione politica di tale programmato sforamento è data dal fatto che l’Italia più che contenere il numeratore del suddetto rapporto deficit/Pil punta ad aumentare il denominatore, vale a dire il Pil varando una politica espansiva e di sviluppo. Il nostro Paese risponde ad una regola superandola con la scommessa che il Pil decollerà e quindi il rapporto tornerà compatibile con il contemporaneo innalzamento delle condizioni di vita dei soggetti più in difficoltà.  Così per il deficit, così per il debito.  I patti però tenevano già conto di queste necessità e concedevano una certa flessibilità, senonché l’Italia, tramite il governo Conte, vuole allargare notevolmente la forbice sperando di recuperare sul Pil, allargando cioè la domanda a livello di consumi e di investimenti e di conseguenza la produzione.

Mi pare che, sia quantitativamente che qualitativamente, il discorso non regga: troppo alto lo scostamento, troppo evanescenti e improbabili gli effetti della manovra. In poche parole vi sarebbe la certezza di nuove spese a fronte delle quali esisterebbe una assai discutibile probabilità di sviluppo. Piuttosto semplicistica appare la clausola di salvaguardia: se ci sbagliamo correggeremo la manovra. Chiediamo un atto di fede all’Europa, la quale obiettivamente fa molta fatica a concedere eccezioni così importanti, anche perché altri Stati potrebbero richiedere analoghe deroghe e salterebbe tutto il meccanismo pattizio. Poi cosa succederà a livello di debito pubblico? Qui c’è effettivamente da tremare al punto che la Bce ha già ideato una rete protettiva nei casi in cui uno Stato abbia difficoltà a finanziarsi collocando i suoi titoli.

Fortunatamente dalle offese salviniane e dalle minacce dimaiane siamo passati alle analisi triane. Meglio di niente. Sarebbe come se un condomino chiedesse di derogare al regolamento condominiale insultando l’amministratore e gli altri condomini. Forse la fase degli insulti è finita e il ministro Tria sta tirando fuori i fazzoletti con cui asciugare le lacrime da spargere per impietosire i partner.  Speriamo che, alla fine dell’iter, a fronte delle nostre artificiose lacrime non ci venga richiesto il rigoroso sangue. Morale della favola: non si può governare a colpi di clava per poi pretendere di dialogare in punta di fioretto; non ci si può rimangiare la parola; non si possono disfare di notte le riforme fatte di giorno; non si possono fare promesse impossibili in campagna elettorale e pretendere di farle bere agli altri Stati europei; non si può far credere alla Commissione europea che gli asini volano. Sul fatto che ci siano degli asini, penso che lo abbiano capito molto bene, ma sul fatto che volino penso mantengano seri dubbi.

Il titanic grillino

Sto correndo un rischio: seguendo, mio malgrado, le dichiarazioni scodellate sul piatto politico, finisco col ribattezzare la mia rubrichetta, da “I fatti del giorno” a “Le cazzate del giorno”. D’ora in poi chiederò ai miei sparuti e coraggiosi lettori: la sai l’ultima? Ma sì, l’ultima è quella di Beppe Grillo: «Dovremmo togliere poteri al capo dello Stato, riformarlo. Un capo dello Stato che presiede il Csm, è capo delle forze armate, non è più in sintonia con il nostro modo di pensare».

Non so quale sia il modo di (non) pensare di Beppe Grillo, ma lo dico subito e senza dubbio alcuno: alle sue esternazioni, a metà strada fra il comizio iniziale e la comica finale, preferisco il dettato costituzionale del 1946. Di fronte alle scorribande di questo assurdo personaggio (solo l’Italia può arrivare a tanto) sono sempre incerto: ignorarlo come uno dei tanti coglioni che sparano cazzate a salve o prenderlo sul serio come un furbacchione che maneggia armi pericolose senza averne consapevolezza, uno di quelli insomma che per stupire la gente all’ultimo dell’anno sparano a vanvera dal balcone di casa e…qualcuno ci lascia le penne.

Credo che a lui, sostanzialmente e democraticamente parlando, non interessi un tubo della Costituzione: sta galleggiando faticosamente sul mare inquinato dei suoi sproloqui, ormai è a metà del guado e non sa se tornare indietro, spaventato dalle ondate anomale dimaiane, o se proseguire facendo onde sempre più devastanti. Sulla sua problematica navigazione ha però incontrato un ostacolo, un iceberg (la Costituzione) la cui punta (Sergio Mattarella) potrebbe causare il naufragio. E allora, dal suo punto di vista, bisogna rimuoverlo, toglierlo di mezzo, perché aggirarlo non è possibile.

Migliore attestazione di stima il presidente Mattarella non poteva paradossalmente aspettarsi. Gli italiani che hanno deciso di salire sulla nave grillina lo sappiano: può naufragare disastrosamente, mentre loro ridono e scherzano con le reiterate gag di un comico prestato alla politica. Con Berlusconi l’affarismo si fece politica, con Grillo la farsa si è sostituita alla politica. Beppe Grillo non è uno stupido ed ha capito perfettamente che il suo nemico non è la sinistra (da lui considerata morta perché noiosa, mentre il mondo sta cambiando), non è la destra moderata (si sta consumando nel dilemma berlusconiano), non è la destra leghista (siamo strutturalmente diversi nel Dna, ma l’etica della politica è la lealtà e Salvini è uno che dice una cosa e la mantiene). È il presidente della Repubblica per quello che rappresenta e per quello che è.

Se è vero che, come dice Grillo, l’etica della politica è la lealtà, devo ammettere che, tutto sommato, preferisco la barricadiera e sconclusionata verve salviniana alla pelosa e subdola proposta grillina. Non so perché, ma quando ascolto le sbruffonate leghiste, in fin dei conti e sotto-sotto, riesco irresponsabilmente persino a divertirmi, ma con lo sciocchezzaio grillino mi sento aggredito dalle zanzare con lo spauracchio dello shock anafilattico. Il vero pericolo per il nostro Paese sta nel movimento cinque stelle: fino ad un certo punto ha fatto da argine sistemico alla deriva qualunquista ora se ne è impossessato, la sta alimentando e cavalcando e la sta portando fuori dal sistema democratico. È il momento di tenere duro e forse solo Mattarella effettivamente ci può aiutare.

 

Un governo alla viva il…condono

Mio padre aveva uno spiccata passione per il bel canto, ma ancor più per l’arte interpretativa. Non faceva parte della categoria dei “vociomani”, vale a dire di chi privilegia, la potenza vocale, ma voleva, anzi pretendeva, l’emozione forte, il coinvolgimento nell’opera. Tanto per esser chiari non era un patito dell’acuto per l’acuto, men che meno dell’acuto sparato alla “viva il parroco”; apprezzava certamente l’esuberanza e la sicurezza vocali, che sintetizzava in un modo di dire curioso e plastico, rivolto soprattutto ai soprani, “la va pr’aria”, ma soprattutto si entusiasmava per la frase incisiva, per l’interpretazione trascinante, per gli interpreti “chi fan gnir i zgrizór”, per i cantanti che lasciano un segno forte nel personaggio più che nel ruolo.

Trasferendo questo discorso alla politica e facendo una similitudine si può dire: come per cantare, soprattutto per cantare bene, ci vuole la voce, ma non è sufficiente, perché occorrono anche intonazione, sensibilità, intelligenza, in estrema sintesi capacità interpretativa,  per governare è indispensabile il consenso elettorale e post-elettorale, ma non basta, bisogna anche essere capaci di gestire la cosa pubblica, è necessario possedere una cultura di governo fatta di preparazione, competenza, esperienza. Un cantante lirico deve essere un artista a livello interpretativo così come un governante deve essere un artista della politica.

Una lunga e contorta premessa per arrivare al dunque: l’attuale governo italiano, timidamente e vagamente presieduto da Giuseppe Conte, si basa su un largo consenso elettorale e su un crescente (?) consenso post-elettorale, ha quindi molta voce (anche troppa) da spendere, canta sempre e comunque a squarciagola (il rifugio tipico di chi non sa cantare e spera di coprire le proprie lacune con la voce urlante), ma quando arriva al dunque risulta spompato e stonato.

Di fronte alle obiettive difficoltà di rapporti con la Ue in merito agli indirizzi di politica economica e di bilancio (e non solo), quando cioè occorrerebbe sfoderare mezze-voci, se non addirittura la capacità di cantare in falsetto, quando sarebbe necessario modulare i suoni spostandoli dal petto alla testa, casca l’asino o meglio il canto diventa un raglio d’asino. È successo con il penoso, deviante e fuorviante spostamento di attenzione sulla questione del condono fiscale: i ministri, nella loro qualità di capi-popolo, forse per non parlare di cose serie, si sono messi a litigare, inscenando un duetto/duello in cui hanno preferito urlarsi in faccia acuti stridenti e stentati, dimenticando che in teatro si stava eseguendo un’altra opera. A volte capita di assistere ad una rappresentazione in cui gli interpreti, anche vocalmente bravi, sembrano usciti da un altro spettacolo: ricordo al riguardo una “Forza del destino” in cui il tenore sembrava cantare “Otello”, il baritono era “Rigoletto” e il soprano…lasciamo perdere.

Al commissario agli affari economici, Pierre Moscovici, venuto in Italia per cantare le lamentele europee sulla manovra economica, hanno risposto intonando una rissa da cortile sul condono tributario a suon di penose accuse reciproche, finita, come era prevedibile, in “pandana” o in “pantana” come dir si voglia. Non c’è peggiore situazione di quando si chiede un’importante e delicata informazione a due persone e queste cominciano a fornire risposte diverse, finendo col litigare fra di loro, magari sfogando così tutt’altro contenzioso aperto nella loro convivenza.    All’Unione europea non stiamo solo rispondendo “picche”, ma stiamo tirando fuori un mazzo di carte diverse e giochiamo “bastoni”.