Fatto l’accordo, attenti agli inganni

Sembra fatta. Tra Italia e Ue tanto tuonò che non piovve: forse i fulmini e le saette, che partivano rispettivamente da Roma e Bruxelles, si sono annullati a vicenda e il cielo sembra essersi rasserenato. La quiete dopo la tempesta o in attesa della tempesta? Chi vivrà, vedrà. Da parte mia tiro un sospiro di sollievo, non per una considerazione positiva sulla manovra economica del governo, nemmeno per una ammirazione ante litteram delle istituzioni europee e loro regole, neanche per la ritrovata calma dei mercati finanziari, pronti a ripartire in picchiata speculativa al primo stormir di fronde, men che meno per le vittorie di Pirro di pensionandi quota cento e di potenziali fruitori del cosiddetto reddito di cittadinanza: è solo per la salvaguardia di un minimo di speranza nell’evoluzione europea contro tutti i profeti di sventura, quella speranza testimoniata dal giornalista Antonio Megalizzi, morto nell’attentato di Strasburgo. Alla fine hanno prevalso la tenace convinzione europeista di Sergio Mattarella e la rassicurante professionalità di Mario Draghi. Speravo tanto in loro e sono stato sostanzialmente ripagato.

L’accordo raggiunto, indipendentemente dai contenuti, sta a dimostrare che la politica non si fa coi proclami elettoralistici, con le grida populiste o con le minacce sovraniste; la politica è confronto, dialogo e mediazione. Mi auguro non si scateni la corsa alla conquista della corona d’alloro del vincitore: sarebbe una sciocca ed inutile gara sul nulla. Non mi si dica che, se il governo italiano non avesse battuto i pugni sul tavolo, non si sarebbero ottenuti i risultati arrivati alla fine di questa serrata trattativa. Ma quali risultati? Forse che lo sforamento dei parametri è un fatto positivo? È solo la speranza dei malvestiti che faccia un buon inverno. Andiamo quindi avanti senza assurdi trionfalismi, semmai accendiamo un cero a Jean Claude Juncker e c.

Accantoniamo i trionfalismi anche perché non vorrei che finissero con l’irritare i commissari europei e spingerli in prospettiva ad un più rigido atteggiamento nei confronti dell’Italia. Sì, perché gli amici pentaleghisti o legastellati non hanno capito che in gioco non c’è il loro successo agli occhi degli elettori, ma l’avvenire degli italiani. Ricordo al riguardo una barzelletta che circolava all’indomani di una importante affermazione elettorale dell’allora Pci. Enrico Berlinguer sovrastava in aereo il territorio italiano per spiegare ad un gruppo di attenti osservatori cosa fosse successo. Mostrò fabbriche e cantieri pieni di persone intente a lavorare: questi sono i vincitori delle elezioni! Poi il volo dimostrativo arrivò sopra la costa Smeralda, zeppa di persone in vacanza continua: e questi sono i perdenti, disse Berlinguer.

A prescindere dal merito della nuova legge di bilancio, la classe governante del nostro Paese esce molto male a livello di considerazione europea, abbiamo perso dei punti a livello di stima internazionale, nonostante le fuorvianti sirene trumpiane e putiniane. Attenti perché certe illusorie vittorie si dimostrano nel tempo reali e sonore sconfitte. Non vorrei fossimo considerati dei ragazzini pretenziosi, che si mettono a tacere con una caramella: c’è un futuro da preventivare e progettare. Quando esprimevo infantili desideri un po’ capricciosi, mio padre era solito rispondermi in modo elegante e costruttivo: «Ne parliamo domani!». Mi fidavo e ribattevo: «Va bene, domani!». Sì, perché conta il domani. “Diman tristezza e noia recheran l’ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno”.

 

Un papa impolitico che sferza i politici

Durante le mie scorribande culturali mi imbatto spesso nel discorso storico dei rapporti fra Chiesa cattolica e potere politico. La faccio breve e vado alle conclusioni: la Chiesa, a livello di vertice (gerarchia centrale), ma spesso anche a livello periferico (vescovi) e di base (preti), in campo clericale, ma anche in campo laicale, non ne ha imbroccata una in senso evangelico: sempre schierata a fianco dei potenti, nella migliore delle ipotesi neutrale, alla ricerca di privilegi e favori dai detentori del potere. Poi ci sono stati i martiri, le minoranze coraggiose, i testimoni impertinenti, che hanno avuto il coraggio di schierarsi dalla parte giusta, quella degli umili, degli sfruttati, degli affamati, dei perseguitati.

La svolta epocale è stata impressa dal papato di Giovanni XXIII e dal Concilio ecumenico Vaticano II: successivamente non tutto è andato per il verso evangelico, ma comunque si sono mosse le acque. Papa Francesco ha impresso alla Chiesa un’ulteriore spinta. Proprio i questi giorni non si è sputato nelle mani, inserendo nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, che si celebra il prossimo primo gennaio, alcune parole forti nei confronti della politica: «Non sono sostenibili i discorsi dei politici che tendono ad accusare i migranti di tutti i mali e a privare i poveri della speranza. Viviamo in un clima di sfiducia che si radica nella paura dell’altro, si manifesta anche a livello politico con atteggiamenti di chiusura e nazionalismi che mettono in discussione la fraternità. Le nostre società necessitano di artigiani della pace».

Come dice giustamente padre Alex Zanotelli, la Chiesa non deve avere timore di schierarsi, di prendere posizione, di intervenire a livello culturale, sociale e politico per incarnare il chiaro ed inequivocabile messaggio evangelico. La Chiesa ha fatto politica in senso deteriore, cercando compromessi coi regimi, benedicendo le armi di guerra, restando zitta di fronte a massacri, persecuzioni e stragi, preoccupandosi prima di tutto di garantirsi spazi di manovra e di azione diretta. La storia è costellata di vergognose scelte che gridano vendetta al cospetto di Dio. Lasciamo quindi che finalmente faccia politica denunciando le ingiustizie e mettendo con le spalle al muro i responsabili delle nazioni, testimoniando a parole e coi fatti la fedeltà alla parola evangelica.

Ci sono tre obiezioni che verranno sicuramente rivolte a papa Francesco. La prima è l’accusa di intromissione nelle cose politiche: la contraddizione del sostenere il discorso della laicità della politica per poi perseguire la politicizzazione della religione. Questo appunto può trovare addirittura un riscontro nelle scelte fatte da Gesù, il quale non si scagliò contro i Romani in particolare, ma contro chiunque opprime e maltratta il prossimo. La denuncia di Gesù era sì generale, ma non generica, si indirizzava verso tutti coloro che utilizzano il potere per cercare il proprio tornaconto e non per essere al servizio della comunità. Le sue parole e la sua testimonianza di vita furono talmente chiare da guadagnarsi l’ignominiosa morte in croce, stretto nella morsa tra il potere politico e quello religioso.

La seconda critica può essere quella di non comprendere come la politica abbia le sue gradualità che possono confliggere con la radicalità evangelica. Papa Francesco è fautore di una Chiesa impolitica, nel senso dell’estraneità all’opportunismo e alla convenienza, ma politica nel senso dell’interesse al bene comune. Ai detentori del potere non chiede di trasformarsi in predicatori, evangelizzatori e missionari (Dio ce ne scampi e liberi), ma soltanto di avere la giusta attenzione ai poveri ed a quanti soffrono a diverso titolo. La Chiesa, mettendosi dalla loro parte e schierandosi al loro fianco, testimonia la propria fede. Di fronte ad un mondo dove la distribuzione dei beni materiali è paradossalmente iniqua, dove le armi costituiscono la preoccupazione principale a livello di investimenti, dove le guerre si scatenano per accaparrare le ricchezze del pianeta, i cristiani possono fare gli schizzinosi e i moderati?

La terza opposizione è quella farneticante di una destra cattolica identitaria e conservatrice, se non addirittura reazionaria: il perbenismo che consente di coniugare l’acqua santa religiosa con il diavolo politico, il crocifisso nei luoghi pubblici con il respingimento dei disperati, la nascita di Gesù nel presepe con la morte in mare dei migranti. Sappiamo tutti chi siano in Italia e nel mondo gli esponenti politici di questo tipo. Bisognerà pure che i cattolici interroghino le loro coscienze e scelgano da che parte stare: con papa Francesco che li invita a guardarsi intorno e a mettersi una mano sul cuore o con i Matteo Salvini che li invitano a chiudersi in casa e a mettere una mano sul portafoglio.

La mercenaria giocoleria del calcio

Mio padre, pur amando il calcio (“al fotbal”, diceva in una versione dialettale dall’inglese) era intransigente verso le scorrettezze del pubblico, ma anche dei giocatori. Soprattutto pretendeva molto dai grandi campioni superpagati, arrivava alla paradossale esigenza del goal ad ogni tiro in porta per un fuoriclasse come Zico (“col da la ghirlanda”), incoronato re di Udine al suo arrivo nella città friulana: cose da pazzi! Ma non solo con Zico anche con altri cosiddetti fuoriclasse: mio padre non accettava gli ingaggi miliardari, ne avvertiva l’assurdità prima dell’ingiustizia, faceva finta di scandalizzarsi, ma in realtà coglieva le congenite contraddizioni di un sistema sbagliato. Per non parlare di Maradona: lo chiamava “mardona”, non ho mai capito se l’errore fosse voluto o meno, fatto sta che calzava a pennello ed era tutto un programma.

Ebbene questo sistema si è ulteriormente aggravato e “imbestialito”, basti pensare ai due personaggi in voga nelle due squadre più titolate d’Italia. Cristiano Ronaldo, il trentatreenne calciatore portoghese da quest’anno in forza alla Juventus, ha un ingaggio annuo di 31 milioni di euro netti; Mauro Icardi, il venticinquenne argentino nelle file dell’Internazionale di Milano, nel confronto ci sfigura: guadagna attualmente 4,5 milioni, ma il suo contratto sta per essere rinnovato, la società offre 6,5 milioni mentre Wanda Nara, moglie del giocatore e suo manager, ne vuole 8.

Proprio due giorni or sono Ronaldo ha segnato un gol, trasformando a fatica un calcio di rigore decisivo nel derby contro il Torino, squadra che non ha affatto meritato la sconfitta: il portiere di riserva, l’uruguaiano Salvador Ichazo (aveva sostituito, nel corso della partita, l’infortunato titolare del ruolo), ha intuito la traiettoria del tiro dagli undici metri, ha intercettato il pallone, che però è ugualmente entrato in rete, non certo per un capolavoro di Ronaldo, il quale, nella esagerata e inopportuna euforia del momento, ha compiuto un gesto di prepotente scherno verso l’avversario andandogli incontro, petto contro petto, buscandosi fra l’altro una sacrosanta ammonizione di cui ha riso con ironica soddisfazione.

In questo episodio sono sintetizzate alla perfezione le contraddizioni di uno sport approdato ai più paradossali difetti della società: scorrettezza, presunzione, arroganza.  Lo sport diventa anti-sport per eccellenza.  E i media titubanti, incerti tra celebrare il gol-partita di Cr7 e censurare il suo comportamento inqualificabile. Fare un gol su rigore non è certo un’impresa epica, farlo con un tiro affatto irresistibile dagli undici metri rende quasi ridicola la prestazione, lasciarsi andare ad una spropositata esultanza è segno di ignoranza, irridere l’avversario è segno di stupidità. Alla menata milanista di Higuain (una protesta clamorosa verso l’arbitro per una sacrosanta ammonizione subita) ha fatto seguito quella juventina di Ronaldo. Uno a uno e palla al centro.

Ma l’Inter non può essere da meno: decisamente sotto tono sul campo, è tutta presa dal rinnovo contrattuale di Icardi a suon di milioni, sulla scia di uno gol su rigore al cucchiaio contro l’Udinese (sic!). L’intervento della moglie del calciatore non ingentilisce affatto la vicenda, la rende ancora più assurda e ridicola. Che pazzesco carrozzone!  Un circo dove si esibiscono pagliacci super-pagati e dove il pubblico si diverte a contare i soldi “rubati” dai protagonisti di uno spettacolo provocatoriamente scandaloso. Ci vuole un bel po’ di pelo sullo stomaco per continuare a seguire il calcio. E pensare che sarebbe il più bel gioco del mondo…

L’infinita e sciagurata Brexit

Non ho sinceramente capito cosa ci stia dietro le difficoltà a trovare un ragionevole accordo in funzione della Brexit. O meglio, capisco il merito delle questioni, ma resto basito di fronte ai comportamenti. In Gran Bretagna sotto sotto si stanno accorgendo di avere combinato un disastro e lo vogliono coprire sbattendo la porta: ci voleva poco ad immaginare che un simile divorzio avrebbe creato problemi enormi. Qualcuno probabilmente vagheggia una separazione in casa, qualcun altro fa la voce grossa per spaventare l’Europa e costringerla a fare ponti d’oro a chi se ne va, altri ancora vorrebbero quasi quasi tornare alle urne per rimettere tutto in discussione. Tutto sommato mi sembrano come quelli che attiravano le risate ironiche di mio padre: gli ipotetici amanti che fuggono e cominciano a litigare scendendo le scale.

A livello europeo forse si è ceduto fin troppo alle insulse pretese britanniche e si sta facendo come quel tale che si fa l’iniezione antibritannica perché si è infortunato con una chiave inglese.  In caso di matrimonio di interessi, se è difficile convivere, è forse ancor più difficile separarsi. Mi sembra che la vicenda brexit possa essere una lezioncina per quanti si illudono in Italia di poter far a meno facilmente dell’Unione europea. Se ha difficoltà ad uscire dalla Ue un Paese come la Gran Bretagna, figuriamoci l’Italia.

Sarà una vicenda che si trascinerà nel tempo, lascerà parecchi cadaveri sul campo, creerà un triste precedente, complicherà maledettamente i già difficili e precari accordi all’interno della Comunità. È stata raggiunta una bozza di accordo tra governo inglese e istituzioni europee: il parlamento britannico vorrebbe tornarci sopra, mentre i massimi esponenti europei sono per un prendere o lasciare. Cosa voglia dire lasciare non l’ho capito. Una cosa l’ho capita da tempo: la presunzione inglese è inaccettabile. Già avevano sempre avuto e tenuto un piede dentro e uno fuori, adesso pretendono di uscire con calma, senza impatti traumatici, senza danni eccessivi, rimanendo buoni amici. Assurdo!

All’Italia tatticamente parlando, stanno facendo un inaspettato piacere inglesi e francesi: i primi distolgono l’attenzione dalla stretta finale nella trattativa sugli sforamenti di bilancio previsti dal governo italiano; i secondi vogliono scaricare economicamente sull’Europa il casino dei gilet gialli, finendo col legittimare le richieste di eccezioni pretese dall’Italia (della serie: se possono sforare i francesi, sforiamo anche noi e si arrangi chi non sfora). Robette di fronte alle quali i padri dell’Europa si rivolteranno nella tomba.

Quando vedo i baci e gli abbracci che si scambiano continuamente i capi di stato, i capi di governo, i ministri a livello delle riunioni Ue, mi viene un po’ da ridere: spero siano sintomo di rispetto e considerazione reciproca sul piano umano, non certo di amicizia e collaborazione fra gli stati che essi rappresentano. Troppe pacche sulle spalle, troppi sorrisi, troppi sussurri. Cerchiamo di essere seri. Mia sorella aveva vissuto una vicenda politica, che aveva compromesso anche certi rapporti umani e diceva: «È inutile e faticoso far finta di essere o rimanere amici. È meglio riconoscere che l’amicizia si è rotta e comportarsi senza cattiveria, ma anche senza ipocrisia». Semmai consiglierei i massimi esponenti europei di farsi aiutare da Donald Trump: lui sì che è amico dell’Europa e ci vuole veramente bene…

Drag…are le coscienze democratiche italiane

Mari Draghi, presidente della Bce, nel suo discorso tenuto in occasione del conferimento di un PhD, dottorato di ricerca honoris causa in Economics da parte del Sant’Anna di Pisa, ha fatto un razionale, equilibrato, motivato, scientifico e politico elogio dell’Unione europea e dell’Euro.

Con l’autorevolezza e l’esperienza che lo contraddistinguono ha sgombrato il campo da luoghi comuni, equivoci, illusioni, nei rapporti tra Stati nazionali e Comunità europea. Detto in parole povere (le mie, s’intende) ha confutato l’idea della svalutazione monetaria come toccasana del problema sviluppo; ha sottolineato come l’Italia abbia preso la crescita degli anno ’80 a prestito dal futuro, cioè grazie al debito lasciato sulle spalle delle future generazioni; ha auspicato che l’unione economica e monetaria possa comportare ulteriori risultati positivi in senso anti-crisi tramite il completamento dell’unione bancaria e del bilancio comune; ha rilevato come nel resto del mondo il fascino di ricette e regimi illiberali si stia diffondendo con il rischio di rientrare a piccoli passi nella storia passata e quindi ha rilanciato il progetto comunitario, da perseguire liberando le energie individuali, ma anche  privilegiando l’equità sociale in un contesto di unità di intenti fra le nostre democrazie.

Un discorso da italiano (“mi sento orgoglioso di esserlo” ha detto all’inizio) e da convinto europeista, non solo e non tanto a parole, ma nei fatti di un’esperienza messa a disposizione della Ue. Mario Draghi dimostra come si possano avere a cuore gli interessi dell’Italia senza squallidi arroccamenti di stampo nazionalista o sovranista e accettando di collaborare con i partner su un piano di rispetto reciproco e di dialogo costruttivo. Draghi ha saputo aiutare l’Italia senza sbraitare, senza attaccare, senza polemizzare, ma svolgendo egregiamente e lealmente il proprio ruolo. Non gli saremo mai abbastanza grati.

Anche nei rapporti con l’attuale compagine governativa italiana non ha mai alzato i toni, ha persino incassato, senza battere ciglio, qualche stupido e paradossale attacco al suo lavoro ed ai suoi atteggiamenti. Leggendo il resoconto del suo intervento mi sono ritrovato finalmente al coperto, fuori dalle assurde velleità e incertezze sul futuro del nostro Paese. Non so quale ruolo gli verrà riservato alla ormai prossima (circa al termine dell’anno 2019) fine del suo mandato di presidente della Banca Centrale Europea. Alcuni Stati membri tireranno un sospiro di sollievo sperando di riprendere a spadroneggiare: mi auguro che la linea tracciata da lui sia irreversibile e resista alle tentazioni sempre latenti nei Paesi europei ad economia più forte. I politici italiani saranno preoccupati che lui possa occupare qualche spazio di potere a livello istituzionale: mi auguro che non si lasci tentare da una facile e precipitosa discesa in campo com’è avvenuto per Mario Monti.

Staremo a vedere: sono sicuro che Draghi farà il proprio dovere fino all’ultimo giorno in Bce e non si farà distrarre da sirene e da corteggiamenti strumentali. È prematuro ed inopportuno configurare futuri scenari istituzionali. Una piccola licenza da sognatore me la prendo: e se prendesse in mano le sorti governative dopo i disastri dell’esperienza in atto? Bisognerebbe che gli Italiani uscissero dal bar sport della politica ed entrassero in una saletta di qualche università popolare per seguire corsi di diritto costituzionale, di economia e di…educazione civica. Soprattutto, per dirla con Massimo Cacciari, sarebbe necessario che ripulissero e rinnovassero la loro coscienza democratica. Il discorso si sta facendo troppo pesante e lo interrompo immediatamente, chiedendo scusa a mari Draghi: lui è orgoglioso di essere italiano, io, molto modestamente, sono orgoglioso di avere un connazionale come lui.

Un europeo distinto tra italiani grossolani

La politica è fatta anche di mediazione fra idee e interessi diversi, l’importante è che questa avvenga ai più alti livelli possibili. Non sembra il caso della trattativa in atto fra il governo italiano e la commissione europea alla ricerca di un onorevole compromesso, che consenta un certo qual rientro della manovra economica nei parametri di bilancio fissati a livello comunitario.

Da entrambe le parti si gioca a fare i furbi in un tira e molla davvero poco edificante. Il governo italiano fa molta fatica a ingoiare il rospo: si è spinto elettoralisticamente troppo avanti e la marcia indietro risulta assai problematica. Anche la Commissione ha i suoi componenti cattivi e buoni. Sembra che il presidente Jean Claude Juncker svolga un ruolo di “colomba” contro tutti: Dombrovskis e gli altri sarebbero sostenitori di una linea dura con l’italia.

Non l’avrei mai detto. Tutti ricordano gli insulti, assai poco velati e molto minacciosi, rivolti da Matteo Salvini a Juncker: per dirla senza eufemismi si andava dall’ubriacone al ladro.  Ebbene pensavo che prima o poi ce l’avrebbe fatta pagare. Per ora sembra proprio di no, addirittura Juncker ci sta dando una mano, dimostrando un’eleganza notevole e impartendo una lezione di stile ai buzzurri nostrani. Meno male che c’è Juncker…e la Francia con i suoi strappi alle regole, che trasforma in mezzo gaudio i nostri mali finanziari.

Giovanni Tria è tenuto “ostaggio” a Bruxelles finché non si troverà la quadra: il ministro dell’economia non ha un compito facile e sinceramente non lo invidio. Da una parte si può dire come abbia voluto una bicicletta e si sia accontentato addirittura di un monopattino duro da spingere e quindi ora non gli resti che rischiare un’ernia politica più o meno strozzata; dall’altra parte, complice, come pare, il presidente della Repubblica, sembra stia svolgendo il difficile ruolo di difensore dell’Europa in un coro di antieuropeisti ed euroscettici. Anche il premier Giuseppe Conte è venuto a miti consigli e sembra più in difficoltà con i suoi goliardici vice-presidenti che con gli austeri commissari europei. Sullo sfondo l’Italia di cui forse non interessa veramente niente a nessuno, salvo a Sergio Mattarella, che imperterrito svolge egregiamente il suo compito istituzionale rappresentando al meglio l’unità nazionale.

Come finirà? Uno straccio di accordo lo troveranno. “Si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace, prepara la guerra), dice una locuzione latina di autore ignoto. Il problema è che il governo italiano, soprattutto ad opera dei sedicenti leader dei partiti di maggioranza investiti di alti incarichi ministeriali (la riprova dell’opportunità di distinguere gli incarichi di partito dalle funzioni di governo), non ha preparato la guerra (una gara troppo dura aprire un conflitto vero e proprio con la Ue), ma ha perso la testa confezionando un gran casino in cui lui stesso non riesce a districarsi, premessa di una finta pace, che rinvia tutto alle prossime scadenze.

Non ho mai amato il dilettantismo nello sport, figuriamoci nella politica. Sì, perché siamo veramente, a livello italiano, in mano ad una squadra di dilettanti allo sbaraglio presentati da Co…nte. Meglio i professionisti-burocrati di Bruxelles dei dilettanti-politici di Roma.

La riforma del perdono

A Napoli, quartiere Pignasecca, il salumiere Antonio Ferrara dopo una giornata di lavoro sta abbassando la saracinesca per far ritorno a casa. Avviene tutto all’improvviso: un uomo gli punta la pistola al volto, vuole i soldi, è una rapina. Antonio, cardiopatico, dallo spavento si accascia a terra e muore. Aveva 64 anni, era conosciuto e benvoluto da tutti. Nel quartiere al dolore si unisce la rabbia con il solito contorno di richieste di riforme: più sicurezza, più telecamere, più vigili urbani, più lavoro.

Il giovane parroco celebra i funerali e durante l’omelia rivela un fatto: il figlio del rapinatore, un ragazzo che fa un cammino di fede, scioccato e addolorato per quanto accaduto, ha chiesto di incontrare Pietro il figlio della vittima, per chiedergli perdono. Pietro ha accolto la richiesta e in sagrestia, al riparo da qualsiasi inopportuna intrusione, i due giovani, piangendo, si sono abbracciati.

Un fatto che merita molta attenzione sul piano religioso, ma anche qualche riflessione laica. Il discorso legato alla fede lo lascio alla coscienza delle persone e delle comunità cristiane. In questo caso però bisogna ammettere che la fede ha molto da dire alla società. Qualcuno si pone la questione se valga la pena esporre il crocifisso nei locali pubblici e, in periodo natalizio, se sia opportuno allestire il presepe nelle aule scolastiche. Il problema lo hanno radicalmente risolto i due giovani con la loro testimonianza, che ci grida in faccia di smetterla di strumentalizzare il dolore per creare un clima di paura e di sfiducia.

Non si può pretendere che tutti i cittadini abbiano lo stesso coraggio dimostrato da questi giovani, ma che tutti capiscano come non bastino un decreto, un divieto, un’arma per difendersi dalla delinquenza e dal male che alberga nella nostra società. Se non vogliamo recuperare il senso religioso, riprendiamo almeno quello civico, fatto di reciproco rispetto fra cittadini e istituzioni, ripuliamo la nostra coscienza democratica, guardiamo anche oltre le leggi per puntare ad una coesistenza fatta di giustizia, solidarietà e pace.

“La politica è la forma più alta di carità” hanno detto autorevolissimi esponenti religiosi. Mi permetto di aggiungere che la carità, pur in versione laica, è il presupposto fondamentale della politica. Conversando con un caro amico impegnato in politica, a proposito del problema dell’accoglienza agli immigrati, mi sono sentito dire che “lo Stato italiano non è la Caritas”. Giustissimo! Però tutti i componenti dello Stato, a qualsiasi livello e a seconda delle proprie responsabilità, devono tenere in debito conto quanto dice san Paolo a proposito: la carità è paziente, è benigna, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità.

Alla luce di questo mastodontico valore proviamo ad esaminare il comportamento dei politici e dei cittadini di fronte alla politica. Un disastro! L’esatto contrario rispetto all’invito paolino. Se è vero che il perdono, come dice la stessa etimologia della parola (donare completamente), è un dono, pur non essendo un integralista cattolico, sono convinto come, per dirla con le appropriate parole pronunciate dal parroco di San Liborio alla Carità durante le esequie della vittima della drammatica rapina di cui sopra, perdonare sia l’unica possibilità che abbiamo per far morire il male, per non permettergli di continuare a farci e fare male.

Alcuni sostengono che ci sia il rischio di cadere nel perdonismo, vale a dire in una sorta di deriva deresponsabilizzante in cui tutto alla fine viene permesso, o nel sociologismo in cui tutto viene giustificato dalle contraddizioni della società. Rispondo con una frase dell’arcivescovo anglicano Desmond Tutu, Nobel per la pace nel 1984, un uomo sempre in prima linea nella lotta all’apartheid in Sudafrica: “Senza perdono non ci può essere futuro per un rapporto tra individui, all’interno di una nazione o tra le nazioni”.

La lingua batte dove il dente islamico duole

Del terrorismo di matrice islamica ce ne dimentichiamo, tutti presi e distratti dall’inconcludente dibattito politico interno, salvo accorgercene quando capita qualche attentato con tanto di morti e feriti. Come spesso accade, l’autore dell’azione svoltasi a Strasburgo, piena di riferimenti storici (il solito odio contro i francesi), politici (un attacco alla sede del Parlamento europeo), religiosi (sangue sul Natale cristiano), è un soggetto radicalizzato, vale a dire un elemento che ha fatto la scelta della violenza quale testimonianza religiosa e lotta politica. Tornano a galla i soliti nodi concettuali.

Qualcuno giudica fuorviante la distinzione tra Islam moderato e Islam radicale: una schematizzazione meramente strumentale per tentare di devitalizzare la carica esplosiva del dente islamico, un dente che duole assai e sul quale la nostra lingua batterebbe solo per evitare la definitiva e risolutiva estrazione. Effettivamente di fronte al travolgente istinto fanatico dei cosiddetti radicali, si registra qualche (?) incertezza e qualche (?) balbettio, da questo punto di vista fin troppo moderato: qualcuno potrebbe pensare infatti che la moderazione non sia indirizzata tanto verso l’applicazione dottrinale della fede islamica, ma nei giudizi interlocutori e prudenti sul fanatismo dei correligionari estremisti. Credo tuttavia che non ci sia scelta religiosa, culturale, sociale e politica che possa prescindere da un rapporto costruttivo con i musulmani, orientati al dialogo e/o almeno alla coesistenza pacifica (per non chiamarli moderati, se il termine può essere equivoco o sconveniente).

Poi c’è il discorso della caccia al terrorista, che si dimostra sempre piuttosto debole: gli autori degli attentati risultano quasi sempre essere iscritti negli elenchi in possesso delle polizie. A Strasburgo sembra che addirittura l’autore della strage, già incarcerato in passato, dovesse essere arrestato il mattino stesso per reati comuni: sono andati al suo domicilio e non l’hanno trovato. Aveva preso il volo e probabilmente, sentendosi braccato, ha buttato, come si suol dire, l’imam nella merda e ha anticipato l’attentato al mercatino. Ho l’impressione che sia come cercare l’ago nel pagliaio: si riesce a individuare il pagliaio, ma l’ago sfugge. Tutto ciò sta a significare che le ricette facili a livello poliziesco non possono risolvere un problema così complesso e difficile.

Speriamo si tratti di code impazzite di un fenomeno quasi sconfitto nella sua sede geopolitica, ma nutro seri dubbi: la sconfitta sul campo potrebbe rinfocolare desideri mai sopiti di vendetta e di rivalsa. Noi giustamente continuiamo a sostenere che questi fatti traumatici non devono comunque condizionare o frenare il corso democratico del nostro sistema, né tanto meno scombussolare la nostra scala valoriale ed il nostro modo di vivere. Sono e non sono d’accordo: se intendiamo non deflettere dai principi che caratterizzano la nostra società, penso sia giusto e indiscutibile; se invece pensiamo di vivere nella società perfetta, ci illudiamo e sarà bene fare qualche esamino di coscienza prima di chiuderci presuntuosamente nel nostro guscio.

Occorre allontanare la tentazione di cercare scorciatoie nell’intolleranza razzista, nella generalizzata squalifica degli immigrati e dei musulmani (considerati tutti potenziali terroristi e quindi esorcizzati a tappeto, prima, durante e dopo il loro arrivo), nella contrapposizione identitaria a livello religioso (lasceremo costruire moschee in occidente solo il giorno in cui nei paesi musulmani si potranno costruire chiese cristiane), nella bagarre di un anti-terrorismo di stampo meramente poliziesco (schedature: non servono o quanto meno non risolvono; carcere: è il luogo di radicamento ideale; rimpatri: sono una pia illusione). Non si tratta di fare del buonismo, anzi sarà bene cominciare, sul piano culturale e sociale, a fare i conti con le incertezze del moderatismo islamico e gli equivoci di una religiosità musulmana fasulla e strumentale. Tuttavia al dialogo, al confronto, all’integrazione pacifica non esistono alternative. Riprendo la metafora dentale: la nostra lingua batte dove il dente islamico duole, un dente che non può essere estratto, ma da curare, otturare e devitalizzare.

 

 

 

Governo buono-governo cattivo

La tecnica del “poliziotto buono-poliziotto cattivo” è una tattica psicologica utilizzata negli interrogatori. Il poliziotto cattivo adotta un atteggiamento aggressivo con commenti sprezzanti, giochetti e suscitando un senso di antipatia. Il poliziotto buono, che interviene generalmente in seconda battuta, ma comunque più o meno contemporaneamente, è amichevole, comprensivo in modo da alleggerire i toni e suscitare simpatia. Il soggetto interlocutore è dunque spinto a collaborare dal senso di gratitudine verso il poliziotto buono e dalla paura di una reazione negativa del poliziotto cattivo.

Questa tecnica è utilizzata anche in politica: quando i governi fanno azioni da molti non condivise o contraddistinte da poca umanità, viene data risonanza alla voce di altri membri appartenenti ai partiti della medesima coalizione governativa per contentare gli elettori non concordi nel merito delle azioni dure e aggressive. L’attuale compagine governativa si caratterizza per le notevoli divergenze di comportamento e di programma al proprio interno: molti ci vedono una precarietà politica destinata quanto prima a deflagrare in una crisi, io sono propenso a intravedervi più (almeno anche) la suddetta tecnica del “poliziotto buono-poliziotto cattivo”.

Gli esempi non mancano, sono all’ordine del giorno. Se il M5S propone una schifosa gabella, chiamandola enfaticamente ecotassa ed ammantandola di ambientalismo spinto, subito interviene la Lega a frenare ed a rassicurare gli automobilisti vecchi e nuovi, messi in allarme dall’uscita (di testa) grillina. Se li M5S continua a minacciare l’interruzione della Tav, nascondendosi dietro un impossibile e inattendibile calcolo costi-benefici, facendo andare su tutte le furie le categorie economiche convinte di ottenere grossi vantaggi dalla realizzazione di questa infrastruttura, la Lega è pronta a sposare la causa dei sì-tav e ad incontrare le associazioni imprenditoriale per rassicurarle sugli aspetti più espansivi della manovra economica, salvo la replica del ministro grillino allo sviluppo economico, che rivendica la primazia in materia e la controreplica del leghista Salvini, che non tarderà a farsi sentire. Se la Lega prende atteggiamenti durissimi contro gli immigrati in arrivo, i cinquestelle, almeno con qualche loro esponente, si dimostrano molto più ragionevoli ed accoglienti. Si potrebbe continuare, perché la solfa è interminabile e stucchevole.

Il bello è che questo atteggiamento altalenante viene adottato anche in sede Ue, in generale e in particolare sullo scontro inerente alla manovra economica ed al suo superamento dei parametri di bilancio fissati in sede comunitaria. Da una parte si tende a forzare il discorso, ritenendo irrinunciabili gli obiettivi e le promesse elettorali, arrivando persino ad offendere i commissari europei o comunque a trattarli a pesci in faccia; dall’altra entrano in campo i governanti buoni, Conte e Tria, i quali regalano sorrisi e ostentano speranza in una costruttiva trattativa, che arrivi alla quadratura del cerchio. Se gli elettori italiani sono ingenui al punto da accettare il giochino di cui sopra (non so fino a quando…), i commissari europei e l’establishment comunitario non credo gradiscano molto questa recita insistita e inconcludente. Prima o poi si arriverà al nocciolo della questione e, se ci salteremo fuori, non sarà per merito del doppiogiochismo pentaleghista, ma grazie alle iniezioni di ragionevolezza e senso di responsabilità fatte da Mario Draghi e Sergio Mattarella: se non ci fossero loro a condizionare il confronto con abilità, discrezione, coerenza e credibilità, saremmo in un mare di guai. Speriamo che basti.

 

A colpi di piazza

Un mio amico, anomalo comunista, non poteva soffrire il linguaggio e la prassi, fatti di “lotta e massa”, un miscuglio demagogico ed inconcludente capace soltanto di indebolire le istituzioni democratiche. Chissà cosa direbbe oggi con la politica ridotta a piazzaiola contrapposizione sui temi di più forte impatto.

In questi giorni abbiamo avuto una manifestazione “Sì Tav” a cui ha fatto ben presto seguito un’adunata “No Tav”, in mezzo una piazzata leghista a sostegno dell’azione governativa di Salvini, desideroso di un largo e popolare mandato a trattare con la Ue sulla manovra economica. Il M5S deve rendere conto alle migliaia di manifestanti che gli chiedono di tener fede agli impegni elettorali inerenti la brusca interruzione dei lavori sulla Torino- Lione. La Lega, tramite il suo indiscusso leader, sarebbe invece propensa a concludere positivamente il grosso progetto infrastrutturale, anche su richiesta del mondo imprenditoriale del quale sente il fiato sul collo. Le due piazze sono state pesate: molto più rilevante quella dei contrari. In mezzo il ministro Toninelli pateticamente appeso al calcolo costi-benefici, che non arriva a conclusione.

Questa rissa a colpi di piazza è democrazia? No!  È un pericoloso scontro extra-istituzionale, che porta soltanto confusione ed illusione. Dietro queste pericolose adunate oceaniche si cela un profondo contrasto politico fra le due forze di governo: si stanno invertendo i colori, la lega sta diventando gialla come i gilet francesi, il M5S sta diventando verde in nome della difesa oltranzistica dell’ambiente. Da una parte c’è il discorso grillino, che torna ad un bagno ambientale rigenerante con tanto di ecotasse e benzina a quattro euro al litro; dall’altra parte la spinta salviniana al “liberi tutti” contro l’Europa e contro gli establishment interni ed esteri. Il collante comincia a scarseggiare: non ho capito se le piazze Tav siano benvenute o subite. Beppe Grillo sta capendo il pericolo dello snaturamento doroteo del suo movimento e quindi lo sta aizzando e riportando su temi originari, ma di chiaro impatto anti-leghista. Matteo Salvini finge di non sentire il freno a mano tirato pentastellato, non può rinunciare all’onda consensuale che lo conforta e fa il diavolo a quattro per proporsi quale vero leader della politica italiana sempre più collocata a destra.

Le istituzioni stanno a guardare. Il Parlamento frigge sulla graticola della camaleontica manovra economica; il governo cuoce a fuoco lento nella pentola europea. Si salva e speriamo ci salvi il Presidente della Repubblica, che tenta disperatamente di spegnere il gas e di riportare tutti alla ragionevolezza (il suo exploit alla Scala di Milano vale molto di più delle piazze suddette). Una confusione simile è meno violenta, ma ancor più pesante di quella francese: cinicamente si può dire che la nostra non si sfoga e ci blocca ancor di più. Si fa presto ad essere anti-politici, a cavalcare gli umori del popolo, a scendere in piazza. Finito il clamore, restano i problemi. Oltre tutto bisogna essere capaci di “piazzare” i colpi vincenti.

Silvio Berlusconi sta interpretando epidermicamente la situazione, cercando simpaticamente di recuperare qualche briciola di credibilità: la gag dei cessi continua e fotografa nitidamente e plasticamente l’inconsistenza grillina. Peccato che non abbia una gag su misura per il suo recalcitrante alleato (?) leghista. Per caso non starà mica pensando al PD? In una confusione di idee, ruoli e programmi, come quella attuale, tutto è possibile. D’altra parte un pensierino ce l’aveva già fatto prima delle elezioni, salvo uscirne talmente ridimensionato da non avere più carte da giocare.  Non gli resta che continuare con i cessi, sperando che il confronto, fra i gabinetti governativi attuali e le sue eleganti toilette a latere dei bunga-bunga, finisca col premiarlo. Chiudo col PD: fa casa per conto suo. Vuoi vedere che in un casino del genere, alla fine verrà premiata la sua triste e “ombelicosa” diversità?