A mosca cieca per abbattere le pignatte politiche.

Nella frastornante e fuorviante girandola di sondaggi da cui siamo investiti, mi pare che Renato Mannheimer, sociologo, saggista e sondaggista di notevole livello, abbia sostenuto, supportato dai dati rilevati, che il consenso al governo giallo-verde si mantiene ad alti livelli, ma scende significativamente se dal giudizio generale si passa a quello sui singoli provvedimenti adottati dal governo stesso. Andamento analogo evidenziano le elezioni regionale di Abruzzo e Sardegna, dove il M5S sembra essere in caduta libera. Ho provato a rifletterci sopra ed a trovare una spiegazione plausibile.

Molto probabilmente quando l’elettore medio è di fronte al governo e ne dà un giudizio politico è fortemente condizionato dalle paure e dal clima di insicurezza, in parte conseguenti ai problemi difficili che ci sovrastano, in parte dovuti alla strumentale cavalcata delle valchirie pentaleghiste. Quando la situazione si fa complicata e tormentata è fortissima la tentazione di affidarsi mani e piedi al primo, urlante e improvvisato demiurgo da strapazzo, incassando per buone le illusioni sparse a piene mani.

Nel momento in cui l’esame della situazione abbandona i massimi sistemi della paura e dell’insicurezza e si appunta sull’approfondimento e sulla soluzione di un singolo problema o sulla scelta dei candidati emergenti a livello territoriale, il criterio di giudizio cambia e passa dalla genericità illusionistica alla particolarità realistica. Per farla breve, si smette di sognare e si comincia a ragionare ed allora i pro e i contro emergono inesorabilmente, i dubbi e le perplessità crescono e i consensi calano (quelli pentastellati in modo clamoroso). Penso sia un processo fisiologico applicabile a maggior ragione allorquando si vendono a basso prezzo le illusioni e non le speranze: le proposte concrete non vanno d’accordo con le illusioni, mentre possono anche accompagnarsi, pur con qualche difficoltà, alle speranze.

L’elettore italiano, per tanti motivi, sembra un bambino che gioca un po’ a mosca cieca e un po’ alle pignatte: è bendato dalla paura, dal risentimento, dalla sfiducia; ha in mano il bastone, costituito dalla scheda elettorale e ancor prima dal consenso irrazionale, lo picchia a casaccio e dove picchia distrugge la pignatta, poi corre a incassare il premio e si accorge che nella pignatta, se non c’è segatura, c’è comunque poco di buono.

Un motivo, messo dai politologi alla base del grande consenso assegnato al governo pentaleghista, consiste nel fatto che manchi un’opposizione veramente competitiva, leaderistica e coinvolgente: a destra sono tutti più o meno spiazzati, a sinistra sono confusi e laringectomizzati. È vero fino ad un certo punto. Se consideriamo Lega e M5S fenomeni da baraccone mediatico più o meno scientifico, il Pd non è in grado di competere su questo piano, che non è il suo proprio terreno di battaglia. Se andiamo sui problemi, sulle proposte e sulle candidature penso che l’opposizione possa esistere e farsi sentire, senza fretta di capovolgere il baraccone, ma con la pazienza di metterlo in discussione.  Bisogna recuperare un minimo di fiducia negli elettori, rispettarli nei loro drammi più psicologici che politici, somministrare loro, a dosi contenute, proposte diverse e molto concrete nonché candidati di livello per gestire il territorio.  Non dico di pretendere di passare dalla mosca cieca al bridge, ma almeno provare a giocare a bandiera.

La diarrea polemica in un assurdo gabinetto

La miglior difesa è l’attacco. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria sugli esiti dell’Ecofin del 12 febbraio scorso ha riferito in Commissione Finanze del Senato ed in questa sede ha accusato la Germania di avere ricattato il nostro governo imponendo all’Italia le norme sul bail-in, vale a dire regole che prevedono siano gli azionisti, gli obbligazionisti e i correntisti a pagare in caso di crisi di una banca. Queste norme sono state emanate con due decreti legislativi del 2015 entrati in vigore il 1° gennaio 2016. Se l’Italia non avesse accettato di introdurre queste scomode novità legislative, si sarebbe diffusa la notizia che il nostro sistema bancario era al fallimento. All’epoca ministro dell’Economia era Fabrizio Saccomanni componente del governo presieduto da Enrico Letta. A detta di Giovanni Tria, quasi tutti erano contrari all’introduzione delle novità, anche la Banca d’Italia che in modo discreto si oppose al bail-in.

Il presidente dell’Abi Patuelli ha definito la norma europea desueta e tale da essere abrogata, ma il ministro Tria, pur condividendo il fatto dell’abolizione, non prevede che questa possa avvenire in tempi brevi o che ci sia una convergenza tale da consentirla almeno in futuro. Altra benzina sul fuoco nei rapporti con i partner europei? Proprio nel giorno in cui Emanuel Macron e Angela Merkel si incontrano per rilanciare i loro patti funzionali al rilancio futuro dell’Europa in vista delle prossime elezioni, l’Italia apre, seppure rispondendo a domande in Parlamento, in modo più garbato e motivato del solito, un fronte di polemica con la Germania (parlare di ricatti non è certamente il modo migliore per dialogare a livello europeo).

È noto a tutti che in materia bancaria la Germania ha fatto clamorosamente i propri interessi mettendosi con le spalle al coperto con i soldi pubblici per poi rilanciare il rigorismo a corrente alternata verso i partner fra cui l’Italia. Quello che stupisce e innervosisce è la vocazione di questo governo ad esasperare i problemi anziché affrontarli in chiave dialogica e trattativista. Tutti i giorni emerge un nuovo contenzioso: forse sarebbe il caso di darci un taglio a prescindere dalle magagne e dai contenziosi con Francia e Germania. Il giorno in cui la Commissione europea ufficializza le sue gravi e motivate critiche alla manovra economico-finanziaria del governo Conte, il ministro Tria solleva una questione vecchia di almeno tre anni.

Non sono in grado di entrare nel merito della questione bail-in e non ho idea di quale reale portata abbia avuto e abbia tuttora sul sistema bancario italiano, sull’intera politica del credito e sugli andamenti economici del nostro paese. Ne faccio una questione di opportunità, strategia e tattica politiche. Per fortuna che il ministro Tria doveva svolgere la funzione di pompiere rispetto alle smanie euroscettiche del governo giallo-verde: un pompiere piuttosto anomalo, che usa più benzina che acqua. Se il ministro aveva consapevolezza dell’impossibilità di fare retromarcia su queste norme, se non vedeva e non vede una prospettiva agibile al riguardo, perché sollevare in modo tanto inopportuno un nuovo fronte di polemica.

A volte nei rapporti contrattuali difficili si butta sul piatto della bilancia tutto il contenzioso latente per poi trattare e trovare un compromesso globale. Non mi sembra che l’ipotesi si attagli ai rapporti dell’Italia con l’Europa: in questo caso bisogna partire dai punti ci collaborazione e condivisione per poi, dopo avere instaurato un clima positivo, aprire i dossier più scabrosi. Altrimenti finirà che anche con la Germania dovrà intervenire il presidente della Repubblica andando a far visita alla Merkel: un Capo dello Stato itinerante impegnato a coprire le “cacche” di un governo piuttosto diarroico.

 

Il portobrutto dei pappagalli pentaleghisti

Silvio Berlusconi, ostinatamente, meglio dire testardamente, legato ad un anticomunismo di maniera, che ogni tanto anacronisticamente spunta, non si rende forse conto di azzeccare un giudizio politico quando assimila i cinquestelle ai comunisti trinariciuti : ne avrebbero l’ancestrale vocazione all’appiattimento economico, la faziosa smania egualitaria, la masochistica arrendevolezza verso lo stile del centralismo democratico. Su un punto, sempre a detta di Berlusconi, si differenziano. I comunisti italiani sapevano preparare i loro dirigenti a livello di scuola di partito e mettendoli alla prova sul campo dell’impegno nelle istituzioni locali e nazionali; i grillini sono invece degli improvvisati e sprovveduti esponenti politici senza cultura, senza storia e senza esperienza (calza a pennello il discorso del loro impiego per la pulizia dei cessi di mediaset o fininvest come dir si voglia).

L’aspetto più grottesco della somiglianza fra comunisti vecchia maniera e grillini odierni emerge con evidenza allorquando si ascoltano i giudizi stereotipati e pappagalleschi degli esponenti del M5S sui diversi argomenti che l’attualità politica propone: parte il commento ufficiale del capo, quasi sempre Luigi Di Maio, seguono disciplinatamente e stucchevolmente i replicanti (Roberto Fico, presidente della Camera, che talora osa dare aria ai denti in controtendenza, rappresenta l’eccezione alla regola). Si intuisce l’esistenza sotto traccia di qualche malcontento e di qualche atteggiamento critico, ma non emerge nulla, anche perché sono pronte le purghe disciplinari per chi osasse ragionare con la propria testa.

Ho militato in passato in un partito, la Democrazia cristiana, che fra tanti difetti aveva il grande pregio di ammettere un serrato dibattito interno a livello centrale e periferico. Non si parlava di democrazia diretta, non esisteva consultazione on line, ma l’iscritto e l’esponente del partito potevano liberamente esprimere le proprie opinioni ed il proprio dissenso. Basti dire come la sezione di partito in cui ero iscritto, che si distingueva per una linea di apertura verso la sinistra e di condanna verso l’imperialismo americano, fosse ironicamente definita “sezione vietcong”. Non potrei mai e poi mai aderire al M5S, dove la differenza di opinioni si manifesta solo a mezza bocca o nelle pance più o meno brontolanti.

Berlusconi mette quindi il dito in una piaga purulenta, ma, come spesso accade, vede o finge di vedere la pagliuzza dell’avversario, trascurando la trave nell’occhio dell’alleato e/o nel proprio occhio. Anche la Lega infatti non scherza su questo piano: c’è in atto un processo di omologazione al pensiero salviniano, che trova un argine sempre più blando nei governatori leghisti e nei gruppi sociali di riferimento. Il leghismo da partito dell’indipendenza nordista e delle autonomie territoriali si sta trasformando in un pericoloso e reazionario movimento di opinione, in cui non c’è spazio per il dibattito ed il confronto interno, ma solo per la strumentalizzazione mediatica delle paure.

Forza Italia si è talmente ristretta da non potere più permettersi il lusso di essere un partito personale e di mera plastica: il guinzaglio si è notevolmente allentato, anche perché il padrone ha perso la forza e l’Italia, nel frattempo, è cambiata. I Brunetta ed i Tajani possono permettersi il lusso di esprimere le proprie opinioni, lasciamo perdere le Gelmini e le Bernini messe a bollire nel brodo insipido del più bieco mestiere politicante. Resta comunque una formazione politica di dubbio gusto liberal-democratico. In me ha sinceramente suscitato forte ilarità il recente richiamo berlusconiano agli ideali sturziani e degasperiani. Sì, perché mentre un tempo alle cazzate di Berlusconi reagivo con rabbia e disprezzo, oggi reagisco ridendo a crepapelle.  Siamo talmente caduti in basso da costringermi a rivalutare il cavaliere (è tutto dire!).

In conclusione la scena è dominata dall’assenza di un confronto vero tra i protagonisti e lasciata alle comparsate dei retroscenisti prezzolati e dei politologi ondivaghi. Forse M5S e Lega stanno esagerando con la loro mediaticità e con il loro leaderismo da strapazzo. Ai pappagalli pentaleghisti fanno riscontro i polli piddini, che si beccano davanti alla cucina elettorale pronta a cucinarli e divorarli.  Tutto sommato però trovo paradossalmente più dignitoso litigare continuamente e scriteriatamente piuttosto che ripetere gli insulsi slogan dimaiani e salviniani. Qualcuno forse comincia ad accorgersi del ruolo da burattino che M5S e Lega vogliono imporre ad eletti ed elettori. Solo Giuseppe Conte persiste ed insiste come se niente fudesse (fosse). Contento lui…

 

Contro il potere forte della matematica

Probabilmente Beppe Grillo si è stancato di rimanere dietro le quinte ad osservare il magro spettacolo del suo movimento allo sbando e si è autopromosso a buttafuori, vale a dire a persona incaricata, a livello teatrale, di far sgombrare il palco prima che si alzi il sipario e che si occupa anche di avvertire gli attori del momento in cui devono entrare in scena.

L’indomani delle elezioni regionali sarde ha fatto sgombrare il palcoscenico da Alessandro Di Battista ed ha buttato sulla scena Luigi Di Maio per commentare a ruota libera i risultati, che hanno visto il M5S restare con un quarto dei voti ottenuti nella consultazione politica dell’anno scorso. L’attor giovane ha sfoderato tutto il suo becco di ferro dichiarando: «Noi siamo positivi perché per la prima volta in Sardegna entriamo in consiglio regionale». Siamo nella più bieca tradizione dei mestieranti della politica, i quali pur di non ammettere sconfitte elettorali si arrampicavano sugli specchi: Di Maio ha deciso di fare altrettanto con l’aggiunta delle mani sporche di grasso. Mica male per chi ha fatto del cambiamento la propria cifra distintiva e dell’antipolitica il proprio metodo innovativo.

Il potere forte della matematica viene ridotto a semplice opinione: passare dal 42% al 12% dei votanti non ha alcun significato, perché se si guarda alle precedenti elezioni regionali c’è stato un aumento dallo zero (il M5S non si era presentato) al 12%. “Il M5S è vivo e vegeto. Per il governo non cambia nulla. Io non vedo nessun problema”, dice il capo grillino pro tempore, ma poi annuncia, in un lampo di penoso buonsenso: “Tra domani e dopodomani ci saranno importanti novità, andremo avanti con la riorganizzazione, per essere più capillari e rispondere alle esigenze dei cittadini”.

Al pensiero che milioni di italiani abbiano concesso il loro voto a personaggi di questo genere, mi sento gelare il sangue nelle vene. Sembra stiano diminuendo, ma, per il momento, restano sempre troppi. Se usassi le stesse categorie mentali capovolgendole, dovrei dire che gli elettori grillini non sono vivi e vegeti; per loro stanno cambiando molte cose; hanno qualche problema di ripensamento.

Forse è il caso di ragionare seriamente: il M5S sta evidenziando i suoi limiti ed i suoi difetti, non ha radicamento territoriale, non ha classe dirigente, non ha cultura di governo, non ha strategia e sta sbagliando tattica. Gli elettori della Sardegna, forti del loro storico indipendentismo e del loro testardo attaccamento ai problemi isolani, hanno scoperto gli altarini. Meno male che ci sono i sardi…: si sono tappati naso, bocca, occhi ed hanno scelto il centro-destra, dando un sacco di voti alla Lega di Salvini (però non tutti quelli che venivano previsti: il latte versato non ha premiato più di tanto il leghismo facilone); hanno ridato un po’ di fiato al centro-sinistra (uniti intorno a candidature serie si può tornare a fare politica). Beh, tutto sommato potevano fare anche peggio. Di questi tempi bisogna sapersi accontentare. Evviva la Sardegna!

Il coraggio di sdoganare il sesso

Ammetto di aver seguito con scarsa attenzione e parecchio scetticismo i lavori del mega convegno promosso da papa Francesco sullo spinoso tema degli abusi sessuali perpetrati sui minori da appartenenti al clero. Con grande umiltà, ma con altrettanta convinzione, consapevole di essere condizionato dal pressapochismo esperienziale più che dalla preparazione dottrinale, mi pare di poter affermare che emergano una buona novità ed una cattiva conferma.

Comincio dalla novità: si è diametralmente rovesciato l’approccio al problema. Fino a qualche tempo fa prevaleva la preoccupazione di negare l’evidenza e di difendersi dall’attacco squalificante che veniva portato alla Chiesa; oggi si ammette l’esistenza enorme di comportamenti abnormi e si parte dalla necessità di stare dalla parte delle vittime degli abusi. È un bel passo avanti: ammissione delle proprie colpe e tentativo di riparare al male provocato.

Sul piano della prevenzione invece vedo una notevole timidezza, che rasenta la rassegnazione, un atteggiamento difensivo che non osa andare alla radice del male. So che anche gli esperti, in parte, mi danno torto, ma a mio giudizio il problema nasce dall’atteggiamento sbagliato della Chiesa nei confronti del sesso. Questo aspetto della vita viene subìto e vissuto sulla difensiva: tanto il Vangelo è “disinvolto” sulle questioni sessuali, tanto il dopo-vangelo è inchiodato e incallito sulle disquisizioni moralistiche. Dai rapporti sessuali prematrimoniali ai distinguo sulla tipologia dei rapporti sessuali stessi, dalla demonizzazione della donna all’omofobia, dal controllo delle nascite al celibato sacerdotale, si dipana la matassa del sesso visto non come dono da valorizzare e da vivere in serenità, ma come ostacolo alla purezza ed alla castità di vita.

Tutti i cattolici sono stati condizionati da questi tabù, in primis i preti: nella paura del sesso non può che annidarsi un sesso rubato, che cerca e trova deformanti sfoghi. I vizi sessuali possono derivare dalle indigestioni, ma anche dai digiuni imposti che possono preludere alle indigestioni. Se la Chiesa non ha il coraggio di cambiare rotta non riuscirà a prevenire le devianze dei suoi chierici, portandole dalle tremende (quasi) regole alle sofferte (quasi) eccezioni. Chi non vive serenamente la propria vita sessuale, difficilmente avrà l’equilibrio psicologico ed umano per poter dare una testimonianza autentica e totale ed aiutare gli altri in tal senso. Chi non pratica il sesso è portato inesorabilmente “a parlarne ed a fantasticare su di esso”, abbandonando la strada maestra per le scorciatoie. Chi di dovere cominci quindi a rivedere il discorso del celibato sacerdotale, affronti il problema della presenza della donna nella Chiesa, esca dagli equivoci moralistici, impari a guardare al sesso senza complessi.  Torni al Vangelo e abbandoni tutti gli orpelli successivi. Si attesti sul binomio sesso-amore, punto e basta.

Purtroppo papa Francesco, a cui concedo incredibili aperture di credito su altri piani, non riesce a spiccare il volo sulle questioni inerenti il sesso: un passo avanti e due indietro. Durante i lavori del conclave, al cardinale Luciani, emozionato e spaventato per l’odore di papato, il collega che gli stava a fianco disse: «Non abbia paura c’è tanta gente che prega per il papa…». Bergoglio non fa che chiedere preghiere a tutti: allora non abbia paura, scacci i fantasmi della sessuofobia, apra la mente e il cuore, non tema di scandalizzare, anche perché è meglio scandalizzare affrontando i problemi che subire lo scandalo per non averli affrontati.

Il maestro razzista e i maestri di razzismo

Non sono solito buttare la croce addosso a qualcuno perché mi sembra sempre un inaccettabile espediente per mettere a posto la coscienza collettiva. Non fa eccezione il maestro di Foligno protagonista di un episodio incredibile e sconcertante di razzismo ai danni di un bambino. Stando a quanto trapela dalle cronache l’insegnante sarebbe addirittura recidivo in quanto avrebbe già definito “scimmia” la sorellina del bambino mostrato ai compagni come esempio di bruttezza. Non so cosa sia passato per la testa di questo educatore: si difende e si scusa sostenendo di aver tentato “un’attività per l’integrazione finalizzata a far prendere coscienza agli studenti del concetto di differenza razziale e di discriminazione”. Saremmo al paradosso, anche se tutto è possibile: se ben capisco, questo maestro avrebbe commesso dei gesti razzisti per far capire agli alunni che non bisogna essere razzisti. Forse era meglio mostrare con immagini appropriate cosa hanno sofferto e cosa soffrono le vittime del razzismo. L’autorità scolastica e, se necessario, quella giudiziaria chiariranno le responsabilità e prenderanno i provvedimenti del caso.

“Sono vicino a quel bambino, ma non può essere tutta colpa di Salvini come pensano i professoroni e i commentatori di sinistra”, ha detto il vicepremier Matteo Salvini, commentando le polemiche successive ai fatti di cui sopra. Un tempo si diceva: la prima gallina che canta ha fatto l’uovo. Non sono un professorone, non sono un commentatore di mestiere ma una persona che riflette ed esterna le sue riflessioni, sono di sinistra e me ne vanto. Faccio un ragionamento che sicuramente non piacerà a Salvini, ma purtroppo lui continuerà a salire nei sondaggi e nei voti ed io rimarrò solo soletto con le mie crisi di coscienza.

Seminare paura e intolleranza non giova certamente a creare un clima di rispetto reciproco e di convivenza civile. La politica si sta assumendo la gravissima responsabilità di soffiare sul fuoco, se non addirittura di accendere il fuoco, della insofferenza e della discriminazione, che fanno da preludio all’insorgere o al risorgere di sentimenti razzisti. In una situazione di estrema tensione dove gli immigrati vengono vissuti come usurpatori di lavoro, come delinquenti in pectore, come profittatori di welfare, ci può stare anche la scorribanda pseudo-razzista di un maestro elementare.

Quando i governanti considerano i naufraghi come pacchi postali da respingere al mittente, quando si usano le ruspe per sgombrare i campi profughi, quando si afferma che la pacchia è finita intendendo per pacchia la possibilità per un disperato di essere accolto dalla nostra società, quando si criminalizzano le organizzazioni non governative impegnate nel salvataggio in mare di quanti tentano la disperata fuga verso il miraggio della salvezza, quando si ritiene genericamente che  i gestori delle strutture di accoglienza siano personaggi senza scrupoli che speculano sugli immigrati, quando si dialoga con stati e governi che adottano la logica del muro per difendersi dall’invasione dei disperati, quando si restringe la politica dell’immigrazione alla guerra contro i trafficanti di profughi, quando si nasconde il problema dietro il paravento dell’indolenza europea, quando si adottano provvedimenti di legge burocraticamente finalizzati a sbattere fuori gli immigrati senza considerare i loro diritti e i nostri doveri, quando si raccolgono voti e consensi sparando cazzate sul tema immigrazione, quando si contravviene ai principi di umana solidarietà e si scavalcano bellamente i criteri alla base della nostra Costituzione, quando avviene tutto ciò in un coinvolgente crescendo rossiniano, non ci si può e deve stupire se qualche persona canta: il coro ha i suoi maestri.

D’altra parte il maestro di Foligno avrebbe detto ad una bambina di pelle nera: “Sei così brutta che possiamo chiamarti scimmia”. Nel 2013 Roberto Calderoli, senatore leghista e vice-presidente del Senato, alla festa del suo partito disse riferendosi al ministro Cecile Kyenge, donna di pelle nera e originaria della Repubblica Democratica del Congo: «Quando la vedo non posso non pensare a un orango». Francesco Speroni, capo delegazione della Lega all’Europarlamento, commentò così l’uscita del collega: «Dal punto di vista fisico Calderoli può anche avere ragione. D’altronde non si diceva che Celentano sembrasse uno scimpanzé. I paragoni tra animali e personaggi ci possono stare. Non si tratta assolutamente di razzismo, perché ognuno può dire quello che vuole».

 

Spazzacorrotti o spazzaciviltà?

Non provo alcuna soddisfazione nel vedere i politici sottoposti a processo penale e tanto meno nel vederli andare in carcere. Sono umanamente molto dispiaciuto per l’esito della vicenda giudiziaria di Roberto Formigoni, ex presidente della Regione Lombardia ed ex esponente politico di primo piano, che dovrà scontare una considerevole pena conseguente alla condanna definitiva per reato di corruzione.

Innanzitutto ritengo inaccettabile la solita gogna mediatica con gli inviati speciali a stazionare davanti al carcere in cui dovrà fare il suo ingresso Formigoni: è ora di finirla con questi atteggiamenti incivili. Una persona condannata ha il diritto di essere lasciata in pace e rispettata nel suo dramma umano. Non credo abbia nulla a che fare con il diritto di cronaca e il dovere di informare la pubblica opinione lo sguinzagliare giornalisti e reporter per carpire qualche immagine di un “potente” che paga i suoi errori. C’è in questi atteggiamenti un che di giustizialismo che non condivido affatto.

In secondo luogo non capisco perché la cosiddetta legge “spazzacorrotti” non dia possibilità ai condannati per reati di corruzione di usufruire delle misure alternative al carcere: proprio a chi ha approfittato della propria posizione pubblica per lucrare vantaggi dovrebbe essere concessa la possibilità di ravvedersi e di risarcire la comunità, prestando la sua opera in iniziative di carattere umanitario e sociale. Il resto è pura cattiveria e spirito vendicativo che rifiuto da tutti i punti di vista.

In terzo luogo ho il timore che Formigoni possa fare da capro espiatorio politico per tutta la corruzione presente nella pubblica amministrazione: sarebbe veramente ingiusto per lui, ma anche per l’intera società. Non ho seguito l’andamento processuale e do per scontato che i reati a lui ascritti siano provati. Ciò non significa che la sua debba diventare la condanna esemplare all’insegna del “colpirne uno per educarne cento”. Non avrei mai pensato di dover scrivere queste cose per un personaggio politico che mi è sempre stato sullo stomaco. Mio padre, mia madre, mia sorella mi hanno insegnato che non bisogna mai attaccare le persone quando sono in posizione di debolezza, in quel momento deve scattare una sorta di tregua umana: davanti al dramma di un uomo che viene privato della libertà, che entra in carcere per scontare una pena, che patisce l’umiliazione di essere seppure provvisoriamente emarginato dalla società in cui ha vissuto, il più bel tacer non fu mai scritto.

Ribadisco di non aver mai avuto simpatia politica per Roberto Formigoni, ma, forse anche proprio per questo, mi sento di esprimergli umana solidarietà: che la sua fede religiosa, su cui peraltro si è fatta ironica speculazione, lo possa aiutare a ritornare serenamente nella società dopo aver pagato il suo caro prezzo.

La ricottina governativa

L’Unione europea esprime un durissimo giudizio su reddito di cittadinanza e quota 100 e sottolinea gli effetti negativi sulla crescita delle due principali misure approvate dal governo M5S-Lega nella manovra economica. Nelle intenzioni e nelle convinzioni (?) dei partiti di governo, i due provvedimenti dovrebbero rispondere a criteri di equità ed assistenza sociale, ma anche alla necessità di un impulso significativo della ripresa economica ed occupazionale. In molti a livello scientifico, tecnico, politico ed istituzionale (ultima la Commissione europea col suo rapporto annuale sulle economie dei paesi dell’Unione) hanno espresso dubbi e perplessità al riguardo.

Questi due provvedimenti, che dovrebbero consentire a migliaia di persone di ottenere il pensionamento anticipato rispetto alle regole precedenti ed a centinaia di migliaia di persone, in condizioni di conclamata povertà, di avere un sussidio, sono stati sostanzialmente finanziati in deficit, andando al di là delle possibilità di bilancio e forzandone ulteriormente l’equilibrio. Non sono un rigorista né di vocazione né di convinzione e quindi non considero il disavanzo nei conti pubblici una sorta di demonio da evitare sempre e comunque e da esorcizzare. Tutto dipende dal perché si crea deficit e dagli effetti che ne conseguono.

L’ideale sarebbe riuscire a coprire questo sbilancio aumentando le entrate fiscali, combattendo coraggiosamente l’evasione o alzando le imposte, non tanto sui redditi già sufficientemente tartassati, ma sui patrimoni. Diversamente lo squilibrio si ripercuote sul debito pubblico provocandone l’aumento e creando un clima di preoccupazione ed allarme nella filiera banche-imprese-investimenti-consumi. Gli istituti di credito devono quadrare i loro conti a spese della clientela, restringendo l’accesso al credito e/o rendendolo più oneroso; le imprese entrano in ulteriori difficoltà rispetto a quelle già riferibili all’andamento negativo dell’economia mondiale, europea e nazionale; gli investitori non trovano i riscontri dovuti e rinunciano ai loro progetti o fuggono altrove; i consumatori tirano i remi in barca ed acquistano sempre meno prodotti limitandosi allo stretto necessario.

Il clima di incertezza economica e politica aggiunge benzina al fuoco e compromette l’andamento dei mercati finanziari, aumenta lo spread, le banche restringono il credito, le imprese soffrono, gli investimenti latitano e i consumi restano al palo. Tutto come sopra: il cane che si morde la coda. Per rompere questa spirale negativa occorrerebbe almeno l’autorevolezza, la credibilità e la stabilità politiche, che ridessero fiducia agli operatori economici e finanziari. Siamo esattamente all’opposto e il governo italiano sembra faccia apposta a creare giornalmente motivi di polemica, conflitto e incomprensione a tutti i livelli. In un simile clima economico l’occupazione non può crescere: i pensionamenti non creeranno il turnover auspicato, gli assistiti non troveranno lavoro, i sussidi non spingeranno i consumi. Ecco quel che sta succedendo e rischia di succedere sempre più: i progetti, se non sono supportati da prospettive concrete, diventano sogni e vanno in fumo.

La povera Rosalina viveva nella più assoluta miseria in un paesino di campagna. Un giorno gli diedero in dono una bella ricottina: Rosalina la mise in un cestello e se ne andò al mercato. Lungo il cammino cominciò a fantasticare, facendo i suoi progetti: andrò al mercato, venderò la ricotta, con quei soldini comprerò delle uova che metterò sotto le chiocce e nasceranno i pulcini che diventeranno polli; venderò i polli e comprerò delle caprette che mi daranno i caprettini: io li venderò e comprerò una vitellina che diventerà mucca e mi darà il latte per fare tante ricottine. Diventerò ricca e la gente passando davanti alla mia bella casetta mi dirà: “Riverita signore Rosalina, riverita!”. Nel dir così la svampitella fece un profondo inchino e la ricotta andò a finire in mezzo alla strada.

Questa sera si recita a soggetto

Il movimento cinque stelle, fra non pochi mal di pancia dei suoi militanti e nel disorientamento dei suoi elettori, ha imboccato la strada del tirare a campare a livello di governo e di convivenza con l’alleato leghista. Cominciano a volare parole grosse verso lo stato maggiore pentastellato, verso lo stesso Beppe Grillo, spuntano cartelli contro il tradimento dei principi ispiratori, serpeggiano conflitti e divisioni interne: il voto contro l’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini ha innescato una vera e propria diaspora.

E non è finita, è solo appena cominciata! Si profilano altri importanti ed ancor più rilevanti banchi di prova, fra cui spiccano la questione Tav e il problema delle autonomie regionali rafforzate. Il contratto di governo rischia di diventare carta straccia, il peso politico dei due movimenti si è capovolto, le elezioni regionali ed europee aumentano la conflittualità, la crisi economica impazza e la manovra economica dimostra tutte le sue lacune contenutistiche e scopre tutte le sue promesse illusionistiche.

Tempi duri per i grillini, in calo di consensi e di credibilità: la Lega se li sta cucinando pian piano, aspettando il momento opportuno per divorarli. Un movimento senza storia e senza cultura è destinato a rimanere paralizzato tra la incontenibile voglia di protesta e la realistica smania di potere. Come ne usciranno? Sulla Tav sono isolati, condizionati dalle solite promesse fatte a vanvera in campagna elettorale, impiccati ad uno studio tecnico-scientifico universalmente ritenuto inattendibile: stanno pisciando contro vento. Dovranno estrarre dal cilindro un altro coniglio: il ricorso alla piattaforma Rousseau non funzionerà, perché troppo grande sarebbe la foga rivoluzionaria da contenere in uno striminzito meccanismo informatico. Dovranno calare le braghe, trovando un modo elegante per farlo. Non hanno contropartite agevoli e popolari da chiedere alla Lega, non credo che potranno contare su una serie di provvedimenti giudiziari spalmati sugli avversari e tali da oscurare mediaticamente le proprie minchiate. Staremo a vedere…

Forse ancor più difficile è la matassa delle autonomie regionali su cui la Lega si gioca la faccia e l’unità: il M5S rischia di diventare sempre più il difensore delle rimostranze meridionaliste. L’opposizione alle rivendicazioni delle regioni forti mette i grillini in una posizione di scomodissima retroguardia e li costringe ad una fuga dalla realtà. Il problema oltre tutto è che non potranno guadagnare tempo in vista delle elezioni per poi rifare i conti e rivedere magari il contratto di governo: la Francia, la Ue, i governatori del nord incalzano. I risultati elettorali, stando ai sondaggi segnerebbero una netta affermazione leghista ed una altrettanto netta retrocessione pentastellata. Il movimento non sembra in grado di esprimere una diversa classe dirigente, capace di prendere il toro per le corna. Grillo è in chiara e netta difficoltà. Staremo a vedere…

Siamo in un teatrino dove si recita a soggetto: una tecnica teatrale molto utilizzata dall’avanspettacolo e dalla rivista. Nel primo caso serviva solo a preparare il palcoscenico al vero spettacolo tenendo caldo l’interesse del pubblico; nel secondo caso si trattava di un genere leggero di puro intrattenimento. Anche in questi spettacoli emersero tuttavia autentici fuoriclasse. La metafora teatrale però si (inter)rompe in quanto nella situazione politica italiana esistono copioni molto precisi, impegnativi e drammatici a cui si risponde con improvvisate ed alienanti gag: non c’è da divertirsi, le risate sono amare, prima o poi arriveranno i fischi e le urla e forse qualche ortaggio (o qualcosa di peggio) arriverà sul palcoscenico.

Il letto della protesta e la tavola del potere

L’esito del referendum dei militanti grillini mi ha sorpreso per la realpolitik che lo caratterizza: hanno legato l’asino dove vuole il potere alla faccia della loro storia fatta di battaglie parolaie contro il potere stesso. Il grillismo sta cambiando pelle ho aveva addosso solo una finta pelle? A tal proposito mi sono chiesto più volte quale sia la differenza tra il M5S riconducibile a Di Maio e Di Battista (non più a Grillo, che mi sembra in altre faccende affaccendato) e la Lega reinventata da Salvini (non più da Bossi messo vergognosamente in disparte). Sono andato per esclusione.

La diversità non sta nella collocazione a destra o sinistra dello schieramento politico: sono entrambe forze di destra, se per destra intendiamo la reazione ai principi democratici per planare su populismo e sovranismo. La diversità non consiste negli atteggiamenti istituzionali: sono tutti di fatto alla disperata e disperante ricerca del superamento dell’impianto costituzionale in nome dell’antipolitica e della protesta contro i poteri forti. Non hanno strategie politiche divergenti: litigano sulla strada da percorrere, ma la meta è identica; il contratto di governo formalizza un compromesso storico che punta a sovvertire l’ordinamento democratico, superando i concetti di democrazia rappresentativa, di comunità europea, di convivenza internazionale, di uguaglianza razziale, di solidarietà umana. Le loro leadership di vertice non hanno alcuna base e storia culturale, ma si fondano sulla furbizia delle intuizioni mediatiche, dei tatticismi e degli opportunismi.

Non è un caso se in parte si rubino i voti e se, volendo in qualche modo accentuare le loro differenze, rischino di assomigliarsi sempre di più e di costringersi in un’alleanza sempre più stretta. Mentre Salvini vive da separato in casa nel centro-destra, Di Maio non riesce ad avere alcuna interlocuzione plausibile con la sinistra da cui si allontana sempre più e su cui scarica tutte le colpe passate, presenti e future. Sono costretti a stare insieme e la loro convivenza si fonda sul letto in cui raggiungono gli orgasmi della protesta e sulla tavola in cui si ingozzano di potere in nome dell’antipolitica.

E allora? Nessuna diversità? Resta qualcosa che non riescono a cancellare: il senso politico, che è fatto anche di sfumature, di tempi e modi, di atteggiamenti. I pentastellati sono portati a partire lancia in resta senza curarsi delle ripercussioni e delle conseguenze. La Lega, forse perché ha un elettorato più politicizzato, un partito più strutturato, una storia politica più lunga, un radicamento territoriale più forte, una classe dirigente più sfaccettata ed esperta, un collegamento più preciso con certe classi e fasce sociali, deve misurare l’effetto delle proprie scelte e porre maggiore attenzione ai loro effetti.

Si possono fare alcuni esempi. Salvini frena negli attacchi a Bankitalia; si distingue nell’atteggiamento verso la crisi venezuelana; difende la Tav e le opere pubbliche; punta forte sull’autonomismo regionale; è meno spinto nei contrasti con la Francia; etc. etc. Fino ad ora ero propenso a vedere in tutto ciò una debolezza nella convivenza pentaleghista, mi sto invece accorgendo che è solo questione di stile, paradossalmente più controllato e misurato non tanto nel linguaggio ma nei dosaggi. Per dirla sotto metafora: Salvini fa politica concretamente all’osteria, Di Maio preferisce la piazza reale o informatica. Le amicizie si coltivano all’osteria e non in piazza. I patti si stipulano meglio bevendo vino piuttosto che gridando al lupo. Il leghismo mantiene il suo approccio ruspante e facilone combinato con la prassi politica pressapochista. Il grillismo è abbarbicato al suo scetticismo globale collegato all’ignoranza totale. Tutto qui. Poco a favore di una separazione a breve, molto a favore di un divorzio a lungo.