Dalle piazze alle ong nonostante Salvini

La nave Mare Jonio ha salvato 49 stranieri davanti alle coste libiche. La Guardia di Finanza ha notificato al comandante il sequestro probatorio della nave, disposto dalla procura di Agrigento, che indaga per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in merito allo sbarco dei suddetti immigrati. Aspettiamo i risultati di questa inchiesta: mi sembra tutto quasi paradossale, alla spasmodica ricerca del fallo di gioco per squalificare tutti i giocatori.

Ricordo un episodio della mia vita professionale a servizio delle cooperative sociali: una di queste aveva fatto lavorare soggetti svantaggiati senza osservare scrupolosamente le regole in materia di inquadramento. Le fecero un accertamento pazzesco con enormi penali da pagare al limite della chiusura dei battenti. Andai a colloquio con un alto funzionario per spiegargli la buona fede con cui la cooperativa aveva operato. Mi rispose: “Ma chi ve lo fa fare di assumervi questi impegni, lasciate che lo Stato si arrangi”. Mi sembra che la logica continui ad essere questa anche riguardo alle organizzazioni non governative: danno fastidio, sono mine vaganti nel mare di latitanza delle pubbliche istituzioni e di indifferenza della pubblica opinione.

Ho la netta sensazione che sulla pelle dei migranti si stia giocando una battaglia schifosa: non la politica a servizio dell’immigrazione, ma l’immigrazione a servizio della politica. Anche in vista delle prossime tornate elettorali gli attuali governanti italiani, dal pugno duro, dal cervello rude e dal cuore spietato, hanno bisogno di accreditarsi come miracolosi risolutori del problema e lo stanno facendo screditando coloro che operano in mare aperto per raccogliere i naufraghi e fregandosene altamente della vita di quei disgraziati che tentano di sfuggire dall’inferno dei loro paesi di provenienza e/o da quello libico.

È da tempo che pende l’accusa alle ong di operare in modo opaco, al di fuori della legalità e a favore dell’immigrazione clandestina: che la magistratura facesse una buona volta chiarezza e sgombrasse il campo da un paravento dietro cui si nasconde l’inettitudine governativa e la cattiva coscienza della gente. Al di là di tutto mi sembra che si vada alla ricerca della pagliuzza delle ong per trascurare la trave nell’occhio di Salvini e c.

Il più bel diversivo per distrarre l’attenzione dal reale e drammatico problema migratorio, nel caso della nave Mare Jonio, l’ha escogitato Salvini, che, non contento del penoso precedente Diciotti, è entrato da assurdo protagonista ed a gamba tesa nella vicenda: «Questa è la nave dei centri sociali, perché il capo missione è Luca Casarini, un signore con vari precedenti penali, noto per essere leader dei centri sociali del nord est. A bordo ci sono altri esponenti di sinistra e ultrasinistra, che stanno a mio parere commettendo un reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, perché hanno raccolto questi migranti in acque libiche mentre stava intervenendo una motovedetta libica, non hanno obbedito a nessuna indicazione, hanno autonomamente deciso di dirigersi verso l’Italia per motivi evidentemente ed esclusivamente politici, non hanno osservato le indicazioni delle autorità e se ne sono fregati dell’alt della Guardia di Finanza». La miglior difesa, anche nella partita della strumentalizzazione politica, è l’attacco.

Quanto al percorso socio-politico di Luca Casarini, lui stesso ricorda il suo passato in questo modo: «Tutta la mia vita è stata accompagnata dall’impegno politico e sociale: 30 anni fa dentro i centri sociali, poi nei movimenti no global, da Seattle a Genova. E poi le lotte per il diritto all’abitare, contro il nucleare, contro la devastazione ambientale, contro i Cie, contro il razzismo istituzionale, contro chi nega il diritto ad un sapere condiviso». Dopo alcuni impegni in campo politico (candidato alle elezioni comunali di Padova, consulente dell’ex ministro per la Solidarietà Sociale Livia Turco, candidato al Parlamento Europeo nella lista “L’altra Europa” con Tsipras, componente della presidenza nazionale di Sel) ora fa il capo missione su Mare Jonio. Ho profondo rispetto del travaglio della passione politica di quanti compiono il percorso che va dal generico, confuso e contraddittorio ribellismo di piazza al tentativo quasi sempre velleitario di inserirsi nelle istituzioni per approdare all’impegno nel volontariato sociale: è un processo di maturazione che capisco e sul quale penso si debba riflettere. Molto più rispettabile del cammino di chi, dopo aver aizzato le folle deviandole sul binario dell’antipolitica, ne liscia il pelo promuovendo o sopportando politiche pseudo-razziste (ogni e qualsiasi riferimento a Beppe Grillo è certamente voluto).

Concludendo l’intervista, Luca Casarini, riferendosi al salvataggio in mare operato dalla nave Mare Jonio, afferma: «L’unica cosa che mi interessava era che queste persone arrivassero a toccare terra in un luogo sicuro. E ce l’abbiamo fatta. Quello che succederà dopo, per adesso non conta. E ancora meno contano certe parole che ho sentito. Ma che importanza possono avere le cose che dice uno come Salvini di fronte alla vita di quarantanove persone. A me del suo pensiero non interessa». Sono perfettamente d’accordo con Casarini.

La reazione prevale sull’azione

La balbettante condanna dell’attentato suprematista di stampo islamofobo avvenuto in Nuova Zelanda induce a profonde e globali riflessioni. I diversi e variegati eventi, che, a livello nazionale ed internazionale, caratterizzano l’attuale fase storica sono sostanzialmente riconducibili ad un clima reazionario, cioè favorevole al ripristino di un assetto sociale e politico storicamente superato. Vale per la ripresa del nazionalismo col quale (non) si affronta il problema dell’immigrazione e della coesistenza di diverse etnie, culture e religioni e si tende ad impostare e difendere l’economia con misure protezionistiche. Vale per il sovranismo in contrapposizione alle istanze ed alle politiche delle organizzazioni internazionali e sovranazionali, quindi, in particolare, quale freno allo sviluppo della Unione europea. Vale per il populismo diretto all’esaltazione demagogica delle qualità e capacità delle classi popolari sulla base di un atteggiamento di forte sospetto nei confronti della democrazia rappresentativa e di decisa opzione verso vere e proprie derive referendarie.

All’interno di questo vento restauratore riusciamo a collocare i più importanti passaggi della storia politica attuale: i muri contro gli immigrati (gli accordi di Visegrad, la barriera trumpiana col Messico), il ripiegamento anche violento sulle proprie identità (intolleranza religiosa, occhio per occhio col terrorismo islamico), una visione economica chiusa e miope (ferrea difesa dei confini e dei prodotti), l’euroscetticismo, la Brexit, la politica di rimessa in discussione dei diritti civili, lo svuotamento dei Parlamenti, la proposizione di leadership personali, la perdita di laicità della politica.

Su questa barca reazionaria col vento in poppa salgono molti cittadini elettori; al timone stanno formazioni politiche di destra più o meno camuffate; dell’equipaggio fanno parte anche i movimenti dell’antipolitica e della protesta, che strepitano e simulano ammutinamenti, ma finiscono sostanzialmente col remare nella stessa direzione di chi comanda e determina il viaggio.

Per stare a livello italiano il clima è gestito dalla Lega mentre il M5S, in sempiterna confusione mentale ed assolutamente privo di senso politico, è costretto a chinare il capo ed a berla da botte. Su tutte le questioni i grillini partono in quarta, poi sono costretti a scalare le marce per poi fermarsi ed ingranare la retromarcia. In questi ultimi giorni hanno verbalmente e trivialmente aggredito i tradizionalisti cattolici (sfigati di destra), ma poi devono ingoiare il rospo di una passerella governativa al loro convegno sulla famiglia. Sui rapporti con la Cina sono partiti lancia in resta per poi traballare di fronte alla prudenza leghista. Anche sulla Tav finirà quasi sicuramente così: l’hanno elettoralmente e politicamente esorcizzata e poi…la dovranno consentire. Vale per le autonomie rafforzate delle regioni: sono contrari, ma se le dovranno tracannare di traverso. È successo per l’autorizzazione a procedere contro il ministro Salvini, col decreto sicurezza, con le navi cariche di immigrati fermate in alto mare.

D’altra parte l’antipolitica finisce per forza col tirare la volata alle politiche di destra. La ciliegina sulla torta reazionaria l’ha messa il perbenista presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani: il fascismo ha fatto anche cose buone e giuste. Tutti i dittatori e i despoti della storia hanno fatto anche cose giuste. Cosa vuol dire? Vorrei tanto lo spiegasse Tajani: vuole accreditarsi quale destrorso autentico? Vuole togliere la terra da sotto i piedi di Salvini? Vuole fare qualche piacere alla Lega? La realtà è che dimostra di essere spiazzato, costretto a masticare amaro e sputa veleno a vanvera. Poveretto… mentre il vento continua a tirare verso destra, quella estrema.

 

Il calimero europeo e il gigante cinese

L’ex piddino ed eminenza grigia della piccola formazione politica “Liberi e uguali”, Pier Luigi Bersani, ha imbroccato l’analisi della questione italo-cinese, che ha scatenato polemiche e contrasti in tutti i sensi e a tutti i livelli. Ha dipinto con chiarezza la situazione paradossale venutasi a creare: i partner europei hanno fatto i loro porci comodi a suon di consistenti affari con la Cina, poi, quando l’Italia azzarda timidamente un accordo commerciale con Pechino, le sono tutti ipocritamente addosso, fingono di scandalizzarsi, le danno un altolà, la trattano come la pecora nera, come il calimero europeo.

È storico l’aneddoto del padrone e del garzone. Il primo assaggia una bottiglia di vino e sentenzia che non va bene per il suo giovane aiutante: troppo brusco e forte! Ed accompagna questa lapidaria sentenza con un eloquente “brrr”. Il giovanotto non accetta la situazione e furbescamente risponde: «Cal spéta un minud…parchè a voi fär “brrr” ànca mi».

Perché l’Europa toglie sgarbatamente il bicchiere cinese dalla bocca italiana? Perché teme possa sbronzarsi? No, la sbornia semmai l’hanno già provata altri. Perché è troppo gracile per “portare” un vino forte? No, lo hanno già abbondantemente bevuto e si può reggere benissimo. Allora? È una questione di rispetto e fiducia politica che all’Italia manca e, se devo essere sincero non so dare tutti i torti agli Stati europei: fidarsi del governo pentastellato è bene, non fidarsi è molto meglio. Anche il più banale degli attrezzi in mani inesperte e incapaci può diventare estremamente pericoloso. L’Italia è politicamente isolata rispetto ai Paesi più avanzati dell’Unione europea e persino rispetto agli Usa di Donald Trump, a cui i pentaleghisti si sono precipitati a leccare i piedi: fin che si scherza va tutto bene, quando il gioco si fa duro…

Mio padre diceva con gustosa acutezza: «Se du i s’ dan dil plati par rìddor, a n’è basta che vón ch’a guarda al digga “che patonón” par färia tacagnär dabón». Più o meno sta succedendo così. Resta il gravissimo problema non tanto dei rapporti con la Cina, ma dell’isolamento in cui l’Italia sta progressivamente sprofondando. Non siamo figli di nessuno e ci illudiamo di essere quindi maturi ed indipendenti. La gente che ci sta (s)governando non ha la minima e rudimentale nozione di diplomazia, non sa calcolare tempi e modi, non sa fare politica. È chiaro che in una simile situazione esiste senz’altro chi è pronto ad approfittarne ed a metterci nei guai o a metterci in un angolo Come si dice spesso, per governare servono i voti, ma innanzitutto e dopo tutto bisogna esserne capaci. Mi sembra che avventurarsi in un memorandum con la Cina assomigli molto ad un appassionato di montagna che vuole scalare una impervia cima con le ciabatte ai piedi. Anche se intorno ha parecchi fans che lo incoraggiano e lo spingono, non può che finire male, molto male.

 

Il sindacalista galantuomo

Riconosco la fondamentale funzione del sindacato dei lavoratori nell’ambito della società liberaldemocratica: è una delle cosiddette forze intermedie, che dovrebbe svolgere un ruolo di rappresentanza del mondo del lavoro, di saldatura dialettica con la politica, di confronto con le istituzioni, di dialogo con l’intera società. La debolezza del sindacato comporta debolezza di tutta la democrazia.

Negli ultimi anni la progressiva perdita di ruolo è stata dovuta a errori di carattere interno: da una parte la eccessiva politicizzazione, dall’altra lo sterile corporativismo, dall’altra ancora il difficile adeguamento alla nuova configurazione del lavoro nelle sue diverse e moderne sfaccettature. Dall’esterno poi è venuta una demolizione, quasi un’esorcizzazione del sindacato da parte della politica, presuntuosamente egemonica sui rapporti sociali ed economici del Paese. Essere critici e favorire una revisione del sindacato dei lavoratori non vuol dire sottovalutarli o addirittura bypassarli.

Nel recente passaggio di leadership nella CGIL da Susanna Camusso a Maurizio Landini mi pare di intravedere qualcosa di nuovo e di positivo: un cambio di atteggiamento dalla solita e sempre più insignificante polemica pregiudiziale alla dura, schietta e onesta volontà di confronto. Su questa nuova linea gioca la storia e la credibilità di Maurizio Landini, un sindacalista a tutto tondo, che non viene dal palazzo ma dalla fabbrica, che rappresenta l’anima vera del sindacalismo.

Ne ho avuto la riprova durante un recente dibattito televisivo (a otto e mezzo su la7) durante il quale Landini è riuscito a incutere rispetto e attenzione nei suoi interlocutori, distogliendoli dalle solite scaramucce mediatiche per portarli alla sostanza dei problemi: molto chiara e stimolante la sua analisi sulla povertà, tolta dalla marginalità dell’assistenzialismo e portata al centro dei rapporti socio-economici. Il povero è colui che non lavora, ma anche chi lavora ed ha una retribuzione decisamente scarsa: apprezzabile e condivisibile la coniugazione della povertà col lavoro.

Poi la chicca finale, la trasparente e inattaccabile situazione economica personale di Maurizio Landini spiattellata opportunamente davanti a tutti: ha detto a quanto ammonta il suo stipendio (certamente non d’oro e nemmeno d’argento, forse nemmeno di bronzo: i suoi interlocutori erano interdetti, perché forse facevano il raffronto con la ben più alta remunerazione  per le loro chiacchiere esistenziali e professionali); ha ammesso tuttavia onestamente di non aver mai avuto uno stipendio così alto (3.700 euro netti al mese) ed ha fornito precisazioni su tutta la sua vita professionale e sulla sua posizione pensionistica. Una bella ventata di aria fresca e pulita! È un galantuomo credibile e capace, forse un po’ troppo duro di carattere, schietto e polemico ma non demagogico, col quale si può parlare e collaborare nella chiarezza. Il mondo politico sappia cogliere questa novità e riapra un dialogo costruttivo di cui si sentiva da tempo la mancanza.

Boccaccio entra nel M5S

Finalmente un esponente del M5S riesce a conquistare, al di là della politica, la mia simpatia. Questi grillini nella loro arrogante e presuntuosa ignoranza ispirano una viscerale antipatia: sono umanamente, prima e più che politicamente, insopportabili. Forse la palma del “migliore” (si fa per dire) va “all’azzeccagarbuglioso” ministro delle infrastrutture e dei trasporti Danilo Toninelli. Gli unici pentastellati che si salvano sono quelli espulsi o in odore di espulsione dal movimento: acquisiscono infatti immediatamente quel minimo di autonomia di pensiero e comportamento (magari trasgressivo), che li rende accettabili sul piano umano e financo politico.

A Giulia Sarti, deputata M5S, sta succedendo di tutto. È rimasta invischiata nello scandalo che i giornali hanno chiamato “rimborsopoli”: non aveva cioè effettuato i rimborsi di una parte dei suoi emolumenti che il Movimento obbligava a destinare al fondo del microcredito per le PMI. La Sarti evitò l’espulsione denunciando un collaboratore per appropriazione indebita, accusandolo di essersi intascato i soldi destinati al fondo di cui sopra. La denuncia è stata archiviata dalla Procura di Rimini e quindi la deputata ha ritenuto opportuno dimettersi dalla Presidenza della Commissione Giustizia alla Camera, tenendo in sospeso la sua posizione come parlamentare e la sua adesione al gruppo grillino.

Per Giulia Sarti però sta piovendo sul bagnato: stanno girando foto e video che la ritraggono in atti intimi e quindi questa persona pubblica sta soffrendo una carognata pazzesca, quella cioè di vedersi messa alla berlina con immagini privatissime divulgate per rovinarne la reputazione. Non so se corrisponda al vero quanto il collaboratore scagionato avrebbe detto, cioè di avere usato parte di quei soldi sottratti al fondo microcredito per pagare chi deteneva contenuti hard della Sarti e farli sparire dalla circolazione. La questione si potrebbe persino tingere di ricatto ai danni della Sarti, finita veramente in mezzo ad un brutto giro. L’interessata ed anche quel suo collaboratore avrebbero il dovere di meglio chiarire i contorni di tutta la vicenda.

Sono fatti ormai diventati frequenti sul web con conseguenze talora tragiche per i soggetti presi di mira. È il fenomeno del “revenge porn”, vale a dire la condivisione pubblica di immagini o video intimi tramite internet senza il consenso del/della protagonista degli stessi. Sta diventando una vera e propria piaga sociale, che, con il caso della Sarti, fa il suo ingresso nelle aule parlamentari.

In Inghilterra basta meno per essere costretti alle dimissioni, ma gli inglesi farebbero bene a preoccuparsi della “pornografia brexitiana” che sta inondando l’Europa. È vero che la Costituzione italiana afferma che “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”, ma non mi sembra possa farsi risalire allo svolgimento della funzione di parlamentare l’infantile divertimento (?) di riprendere con un telefono le proprie scorribande sessuali: per quanto mi riguarda, assolverei quindi Giulia Sarti perché il fatto non costituisce violazione costituzionale e semmai la considererei parte lesa in una novella boccaccesca.

Vado anche oltre per esprimerle tutta la mia solidarietà assieme al consiglio di essere più prudente nello scegliere i propri collaboratori ed i partner sessuali. Si dimetta dal bigotto gruppo pentastellato, resti parlamentare, faccia quel che vuole del suo emolumento badando soprattutto a lavorare per il Paese e magari si dia da fare per combattere la revenge porn di cui è rimasta vittima. Vedere questa giovane donna deputato “sputtanata” per trasgressione al demagogico codice grillino e per una perfida persecuzione a sfondo sessuale mi indigna. Ecco perché ho esordito scrivendo che finalmente un personaggio del M5S è riuscito a conquistare la mia simpatia. Lo ribadisco.

Una ventata di aria pulita e…giovanile

Si riparte da zero, dalla natura e dal clima. Il 15 marzo migliaia di studenti in diverse parti del mondo hanno partecipato ad una manifestazione organizzata per chiedere ai governi politiche e azioni più incisive per contrastare il cambiamento climatico e il riscaldamento globale. L’idea è nata in seguito alla protesta iniziata da Greta Thunberg, una studentessa svedese di 16 anni, diventata il simbolo e la rappresentante più conosciuta del nuovo movimento ambientalista studentesco. Invece di andare a scuola, ogni giorno si presentava davanti alla sede del Parlamento svedese a Stoccolma, portando con sé il cartello “Sciopero scolastico per il clima”. In pochi mesi è diventata una star, partecipando a conferenze ed incontri a livello internazionale, dove ha accusato politici e grandi aziende di essere consapevoli da tempo dei rischi del cambiamento climatico, ma di non aver fatto nulla per calcolo politico o per non ridurre i profitti.

La rivista TIME ha inserito la Thunberg nella sua lista dei 25 adolescenti più influenti per il 2018; è stata altresì nominata la donna più importante del 2019 in Svezia. I media si sono naturalmente buttati a pesce su questa intraprendente ragazzina e ne stanno facendo “una santina laica”. Ben venga una sensibilizzazione sull’argomento “clima” soprattutto nei giovani, i più interessati potenzialmente al futuro. Vado a prestito da don Umberto Cocconi e gli rubo le riflessioni contenute in una sua recente omelia, riportandole di seguito.

“Quali sfide, quali tentazioni un giovane deve affrontare e vincere, per diventare adulto? Le possiamo circoscrivere a tre: la sfida del tempo, la sfida del piacere della connessione e la sfida del narcisismo. Il noto psicologo Vittorino Andreoli sostiene che se vogliamo capire gli adolescenti dobbiamo fare i conti con la loro “percezione” del tempo: vivono senza tempo. Sovente essi sono privi della percezione del futuro. In altre parole, è come se vivessero un presente continuo, fatto di frammenti: “Adesso vivo questo frammento di tempo, poi un frammento successivo, poi un altro ancora”. Non c’è però un continuum, non c’è, cioè, la percezione di uno sviluppo che in questo tempo si può realizzare. È efficace l’immagine della “freccia ferma”: si vuole fermare il tempo che passa. Tutto diventa “presente eterno”.

(…) Una seconda sfida che un giovane deve raccogliere è la comunicazione digitale, che amplia le sue possibilità, a tal punto che si può vivere contemporaneamente l’immediatezza degli scambi e delle condivisioni. È inevitabile che questi scambi così accelerati creino il bisogno insopprimibile di rispondere subito ai messaggi ricevuti, oppure di inserire al volo le foto nelle proprie pagine per ottenere tantissimi like. L’appagamento di questo desiderio di approvazione urge e non si può procrastinare. La vita degli adolescenti sembra all’insegna della contingenza il che li spinge a fare scelte rapide e superficiali. Non c’è tempo per concentrarsi e riflettere. I giovani contemporaneamente studiano, sentono musica, scrivono, leggono messaggi sul cellulare, con vari focus, vivono l’esperienza del cosiddetto multitasking: si fanno più cose contemporaneamente e tutto questo li fa sentire vivi e adrenalinici.
(…) Terza tentazione: il piacere che si prova quando si ricevono delle conferme per se stessi. Si creano così al contempo connessioni continue, con cui ci si presenta agli occhi degli altri, con l’identità desiderata, oppure con un’identità difensiva, arricchita con informazioni, foto e immagini che vengono continuamente aggiornate. Facebook consente un nuovo approccio alla costruzione del proprio sé. «Gli adolescenti si confrontano con la propria immagine, costruendo una narrazione personale che verrà condivisa solo dagli amici che sono stati accettati in tempo reale ed in modo immediato. Possiamo paragonare i social media al muretto intorno al quale si incontravano qualche decennio fa i giovani, oppure al barino in cui stazionavano per ore rimandando continuamente il momento di ritornare a casa» (Massimo Ammanniti). Come possiamo noi adulti criticare questi giovani, o avere la presunzione di aiutarli se siamo pure noi caduti nella rete?”.

Fin qui il discorso autocritico di don Cocconi, un prete amico dei giovani. Mi limito ad aggiungere l’auspicio che questa ventata fresca giovanile, che guarda avanti nel tempo, che affronta problematiche impegnative, che rioccupa le piazze in senso concreto, serva a vincere le tentazioni di cui sopra e non sia un fuoco di paglia o ancor peggio un’acne curata da farmaci invasivi gratuitamente e facilmente forniti dai poteri mediatici, politici ed economici.

 

 

I titani della sfiga

Quando sento i politici, magari ultra-trasgressivi nella loro vita privata (cavoli loro…), fare la difesa d’ufficio della famiglia in un pericoloso mix ideologico-culturale che puzza lontano un miglio di strumentalizzazione politico-religiosa, di reazionaria deriva etico-culturale, di ostentato e fuorviante richiamo ai principi cristiani, scatta in me una sorta di shock anafilattico religioso e politico. Non sopporto infatti l’integralismo religioso di chi brandisce il Vangelo a suo uso e consumo e non tollero chi viola la laicità della politica a scopo smaccatamente elettorale.

Per quanto ne so e ne capisco, nelle manifestazioni promosse dal World Congress of Families trovo poco Vangelo e molto fascismo: il tentativo di ricondurre e rimpicciolire i valori della fede al sempre suggestivo slogan “Dio, Patria, Famiglia”. Non a caso le destre politiche e culturali vi si buttano a pesce senza andare tanto per il sottile. Se facciamo riferimento alla imminente manifestazione che si terrà a Verona dal 29 al 31 marzo, troviamo tre ministri in quota Lega (Salvini, Fontana e Bussetti), l’immancabile Giorgia Meloni leader di Fratelli d’Italia ed Elisabetta Gardini una forzitaliota in cerca di visibilità, assieme a rappresentanti di quella articolata ma ben inquadrata galassia pseudo culturale avente lo scopo di teorizzare, in chiave meramente demagogica, la restaurazione etica senza farsi scrupolo di strizzare l’occhio al folklore nazi-fascista.

Su questa iniziativa il governo si è spaccato e questo non fa notizia: farebbe notizia l’esistenza di un tema su cui il governo fosse compatto. C’è o non c’è il patrocinio governativo all’incontro promosso dalla rete internazionale di cui sopra? Patrocinio vero e proprio no, ma, come detto molta vicinanza sì. Ecco allora che il vice-premier Luigi Di Maio sente la necessità di smarcare se stesso e il M5S, dedicando all’evento parole offensive: “Più che di destra sono degli sfigati, se trattano così le donne”. Siamo di fronte ad uno scontro fra titani dell’improvvisazione e del nullismo culturale e politico, da cui la famiglia non può che uscire con le ossa rotte.

C’è da chiedersi retoricamente se per questi signori venga prima il Vangelo, magari brandito come arma durante i comizi elettorali, oppure il contratto (sarebbe meglio ribattezzarlo contrasto) di governo; se sia più importante la famiglia, tirata sempre in ballo più o meno a proposito, o il voto dei cattolici tradizionalisti per non dire reazionari; se porti più voti cavalcare l’oltranzismo religioso coniugato con le posizioni dell’ultradestra oppure vezzeggiare la galassia in difesa dei diritti civili (movimento di liberazione omosessuale, difesa del divorzio e dell’aborto, liberalizzazione bio-etica, etc.).

Tutto contribuisce a confondere le idee e a strumentalizzare indistintamente e clamorosamente le spinte culturali, mettendo tutto e tutti sullo stesso piano inclinato verso la mera conquista del “voto a prescindere”.   Non so se siano più sfigati gli aderenti al Word Congress of Families ed alle sue iniziative oppure i politici che gli girano intorno per lucrare qualche consenso a favore o contro di esso. Se questo è il rinnovamento della politica nei rapporti con la religione, conviene, senza dubbio alcuno, fare un salto indietro verso la tribolata ma seria laicità della politica dei partiti della cosiddetta prima (unica) repubblica, Democrazia Cristiana in primis.

Più falene che bachi…da seta

Gli affari sono affari. Però bisogna saperli fare e soprattutto non sbandierarli troppo. Enrico Mattei, fondatore e presidente dell’Eni, non si faceva eccessivi scrupoli politici, stipulava accordi petroliferi in barba alle sette sorelle, teneva rapporti economici con i Paesi sottosviluppati, usava i partiti politici come taxi, non si faceva condizionare dai canonici assetti internazionali, superava  certe barriere, ricercava e concedeva vantaggi economici senza andare troppo per il sottile: una figura meravigliosa di politico prestato all’economia e di manager indipendente (fino ad un certo punto) dalla politica.

In linea di principio non mi scandalizzo se il governo italiano sta trattando affari con la Cina, la cosiddetta “Nuova via della Seta”: miliardi di dollari di investimenti, 70 Paesi coinvolti, infrastrutture potenziate, scambi commerciali facilitati, cooperazione e comunicazioni sviluppate e irrobustite. Il discorso riguarda l’Italia per diverse ragioni: gli investimenti massicci compiuti dai cinesi nel Made in Italy per rafforzare il rapporto con le piccole e medie imprese nostrane; la necessità di far crescere l’export italiano verso la Cina; l’esclusivo rapporto di rispetto che la Cina nutre nei confronti dell’Italia e del suo passato; l’elevato debito pubblico che accomuna i due Paesi; il ruolo strategico per lo scambio commerciale che i porti di Genova, Venezia e soprattutto Trieste potrebbero ricoprire con la nuova via della Seta.

Gli Usa guardano con diffidenza a questa evoluzione nei rapporti economici con la Cina e temono un’influenza maggiore di Pechino negli equilibri mondiali. L’Europa, come al solito, è formalmente unita, ma ancora una volta fa emergere significative criticità e divisioni: alleata degli americani, ma attratta dalle prospettive commerciali con la Cina, istituzionalmente alla ricerca di politiche comuni mentre gli Stati membri puntano a fare accordi singoli con il governo cinese. Forse l’Italia sta esagerando e punta a firmare un memorandum di intesa con la Cina il prossimo 22 marzo, in occasione della visita a Roma del presidente Xi Jinping.

La Commissione europea chiude la stalla quando i buoi sono scappati. Ha infatti varato i “dieci comandamenti” dopo che ben 13 Paesi membri hanno firmato accordi. Si tratterebbe di rafforzare la cooperazione appoggiandosi ai tre pilastri: diritti umani, pace e sicurezza, sviluppo. L’Italia rischia di essere la pietra di uno scandalo da tempo in atto, perché ha deciso di piazzarsi sulla “via della seta”. In conclusione vengono spontanee tre riflessioni. Innanzitutto la Ue deve mettersi in testa di integrare veramente la sua politica smettendo i panni del censore a posteriori. In secondo luogo gli Usa di Trump la smettano di fare i furbi in giro per il mondo, pretendendo che gli alleati europei facciano la parte dei servi sciocchi. Il terzo luogo il governo italiano esca dalla caterva di ambiguità che lo connotano e lo costringono nella parte di Pinocchio alle prese con i grilli parlanti.

Non so se il memorandum che l’Italia si appresta a firmare con la Cina sia, come afferma ironicamente il ministro Tria, una tempesta nel bicchiere; non so se possa diventare lo scandaloso paravento degli incompetenti dietro cui si nascondono gli affari degli ipocriti. Il premier Giuseppe Conte dichiara: «Aderiamo con tutte le cautele necessarie: siamo un Paese inserito nell’Unione europea, siamo un Paese che è collocato in un’alleanza tradizionale e che ben conosciamo, euroatlantica, e rimaniamo collocati in questa prospettiva di alleanze. Semplicemente ci apriamo una strada molto interessante dal punto di vista commerciale. Quello che andiamo a sottoscrivere non è un accordo vincolante ma un quadro che ci consentirà poi di valutare le opportunità che si offriranno».

Sarà, ma non vedo l’Enrico Mattei della situazione, non vedo l’Amintore Fanfani capace di tirargli la giacca, non vedo il Giorgio La Pira che dava  respiro etico alle politiche internazionali trasgressive. Vedo un coacervo di nani americani, cinesi, russi, europei e italiani, che (s)ballano sulla scena mondiale.

L’incredibile adolescenza forzitaliota

È decisamente curioso che il partito politico più spietatamente critico, al limite dell’insulto, verso il governo pentaleghista sia Forza Italia: si tratta di una vera e propria incongruenza rispetto al passato, al presente ed al futuro. Il noto psicologo Vittorino Andreoli sostiene che, se vogliamo capire gli adolescenti, dobbiamo fare i conti con la loro “percezione” del tempo: vivono senza tempo. Ebbene, alla faccia della smagata e sfacciata anzianità del loro leader, in barba al cumulo di esperienze disastrose acquisite, nonostante la pelosa furbizia dimostrata ed elargita a piene mani, i forzitalioti stanno giocando a fare gli “adolescenti della politica”.

Diamo un’occhiata al passato: hanno collaborato a livello governativo ed a più riprese con la Lega. Era un’altra Lega, era un po’ migliore, era elettoralmente più debole, ma non fa molta differenza: era ugualmente piuttosto inaffidabile ed imprevedibile, era sostanzialmente lo sgradevole e maleducato mister Hyde rispetto al governo di centro-destra del dottor Jekyll.  Si trattava cioè delle due nature ed identità dell’unica politica berlusconiana.

Veniamo al presente: Lega e Forza Italia collaborano convintamente a livello regionale e comunale, vanno d’amore e d’accordo, si candidano ad allargare ulteriormente questo terreno di governo periferico, ma importantissimo (Lombardia, Veneto, Liguria, etc, etc.). Non c’è solo un patto di convenienza elettorale, ma anche una (quasi) perfetta sintonia di linee programmatiche.

Guardiamo al futuro: Forza Italia punta a ritornare al governo. Con chi? Con la Lega e i rimasugli destrorsi di Fratelli d’Italia! Hanno già pronto un programma, quello con cui si erano presentati alle elezioni politiche del marzo 2018. Si illudono di poter riprendere, seppure a quantità invertite, l’esperienza del regime berlusconiano. Sono disposti persino (non potrebbero fare diversamente) a concedere lo scettro governativo a Salvini, riconoscendogli il ruolo di premier, diventando il laboratorio europeo dell’ignobile connubio tra il moderatismo e l’estremismo di destra.

E allora…chi disprezza compra, dopo aver già comprato. Molti osservatori sostengono che l’attuale governo sia a trazione leghista, che i grillini facciano la parte del servo sciocco rispetto all’invadente potere salviniano, che la Lega rappresenti la forza dominante con il crescente consenso dell’elettorato. I berlusconiani si candidano a sostituire il movimento cinque stelle, dando ad intendere che così tutto cambierà e si chiarirà. Mi permetto di sollevare non pochi dubbi al riguardo: la ruota di scorta non cambia le prestazioni dell’automobile, ne consente solo la continuità e oltre tutto spesso ritorna nel bagagliaio dopo aver svolto la sua provvisoria funzione. Non è il caso quindi di gridare al lupo, per poi accoppiarsi ad esso e magari esserne mangiati in un sol boccone. La seconda giovinezza di Forza Italia fa tenerezza e suscita solo ilarità. Se dopo il rinnovamento del pentaleghismo dovesse arrivare la restaurazione berlusconiana, staremmo proprio freschi: il masochismo italiano non ha limiti.

 

L’arte fra mito e realtà

In questi giorni, in barba al catechismo cattolico ed a Michelangelo Merisi detto Caravaggio, è stata fissata l’ottava opera di misericordia: “non spostare le opere d’arte”. Da sempre si scontrano due linee di utilizzo culturale dell’arte: un indirizzo puramente contemplativo e aristocratico ed una impostazione aperta, dinamica e popolare. Le “Sette opere di misericordia”, il capolavoro di Caravaggio conservato al Pio Monte della Misericordia a Napoli, non verranno trasferite al Museo nazionale di Capodimonte, dove avrebbero dovuto ricoprire il ruolo di protagoniste nell’ambito della mostra “Caravaggio a Napoli”, in programma dal 12 aprile al 14 luglio prossimi.

Quando sembrava che l’accordo esistesse sono cominciate forti polemiche tra gli addetti ai lavori in merito all’opportunità di spostare il delicato dipinto di appena due chilometri dalla sua sede: sono state accampate ragioni statutarie, si è fatto riferimento a comportamenti storici, si sono avanzate motivazioni di rischio ai quali l’opera verrebbe esposta. È intervenuto a gamba tesa il Ministero dei beni culturali, che ha sancito il no definitivo al prestito a causa dei “rischi ai quali l’opera verrebbe esposta al solo fine di essere trasferita presso un’istituzione culturale che si trova a poco più di due chilometri dalla chiesa nella quale essa è (ben) conservata. Lo spostamento avrebbe sottoposto le “Sette opere di misericordia” ad un rischio inutile e quindi il Ministero ha suggerito al museo d’includere il Pio Monte della Misericordia nel percorso espositivo.

Sembra una questione di lana caprina, ma non lo è affatto al punto che il maestro Riccardo Muti si è sentito in dovere di intervenire su due piani. Dal punto di vista logistico ha detto: «Perché non spostare il quadro di pochi chilometri quando la Pietà di Michelangelo andò a New York?». E poi non si è astenuto dal pensare male per centrare forse il nocciolo della questione: «Non voglio entrare in polemiche politiche, ma è chiaro che questo è un attacco al direttore del Museo di Capodimonte, Bellenger, che ha lavorato così bene in questi anni».

Non posso dimenticare l’opinione del mio carissimo ed indimenticabile amico professor Gian Piero Rubiconi, un mio maestro di cultura, che, tra l’altro, collezionava dischi non per una malcelata bulimia filologica, ma per la sete inestinguibile di ascoltare, di raffrontare, di approfondire, di commuoversi. L’enorme patrimonio di incisioni e registrazioni dal vivo non lo teneva per sé, ma amava comunicarlo, metterlo a disposizione di tutti, soprattutto dei suoi giovani amici appassionati.  I suoi “colleghi” collezionisti lo rimproveravano di essere troppo generoso e di non difendere a dovere il proprio patrimonio discografico, ma soprattutto quello delle preziose ed appetibili registrazioni “pirata”. Qualcuno minacciava di non fare più con lui scambi di materiale, dal momento che tale materiale veniva poi troppo divulgato. Una volta si sfogò e mi disse: «Capirai… se mi metto a fare il custode impenetrabile di nastri su cui sono incisi autentici pezzi di cultura. Se me li chiedono, glieli do volentieri: li ascoltano, discutono, si divertono. La cultura è scambio, esige di essere fatta circolare, non è strettamente riservata ad alcuno…». Da una parte aveva un alto e professionale concetto di arte, di cultura, quasi al limite dell’aristocratico, dall’altra prediligeva il senso popolare della cultura stessa, ne perseguiva la diffusione, amava divulgarla. Sane ed apparenti contraddizioni: competenza, preparazione, alta qualità per gli addetti ai lavori; massima apertura e disponibilità verso il pubblico dei fruitori. Chi non è capace di sintetizzare i due aspetti della cultura si chiude in uno splendido quanto inutile isolamento e cade nello snobismo di chi magari si scandalizza se in piazza Duomo si tiene un concerto. Gian Piero non era certamente uno snob anche se viveva in un ambiente, quello culturale, musicale e teatrale, che ne è zeppo. Ultima e non ultima dimostrazione l’assurdo blocco del piccolo e utile traffico caravaggesco.