Questione di classe

I match di pugilato aumentano di interesse e qualità con l’aumentare del peso fisico dei contendenti, salvo eccezioni comunque riconducibili alla classe dei boxeur. Uno dei commenti più acuti e interessanti sulla crisi di governo è stato quello di Pierluigi Castagnetti, democristiano di lungo corso come il capo dello Stato, a cui si dice sia legato da stretta amicizia e da assidua frequentazione dialogica: «Nel ’78 Berlinguer accettò Andreotti anche se preferiva Moro, perché riteneva che sono i programmi e non le persone a segnare la discontinuità». Il discorso è riferito al dubbio amletico serpeggiante in casa PD sulla permanenza di Giuseppe Conte alla testa dell’eventuale governo di svolta giallo-verde.

Come scrive il quotidiano La Stampa, non è il solo appello di alta levatura a favore del varo di una compagine ministeriale pentapiddina, quello di Castagnetti, ex segretario del Ppi, che molti interpretano come una conferma che anche al Colle il clima sarebbe di buon auspicio. C’è anche la benedizione di uno dei fondatori del Pd, Romano Prodi, dalle colonne del Messaggero, che fa ruotare le sue argomentazioni intorno al bisogno di stabilità e di credibilità verso i partner europei.

Mi sembra tuttavia che le argomentazioni di questi personaggi di alto livello prescindano dall’oggettiva constatazione del basso livello degli eventuali protagonisti della nuova stagione governativa. Per dirla in breve: Berlinguer bevve, politicamente parlando, il vino sgradevole e duro di Giulio Andreotti piuttosto di assaporare il vino gustoso e aromatico di Aldo Moro, ma entrambi i vini erano doc; Zingaretti, come sommelier assai lontano dalla levatura di Berlinguer, dovrebbe scegliere  tra il vino di Giuseppe Conte e quello di Luigi Di Maio, che, con tutto il rispetto, appaiono come vini da botte, cioè senza qualità; certamente meglio il vino novello dell’attuale premier, che viene da una pigiatura fatta all’antica, rispetto al “nettare dimaiano” piuttosto acido se non insapore, ma siamo sempre in una cantina di serie c.

Il discorso vale anche per i rapporti con l’Europa. Non abbiamo pesi massimi da mettere in campo nell’attuale scuola pugilistica: Giuseppe Conte si è conquistato stima e simpatia a livello europeo, ma basterà? Alle metafore sportive della boxe preferisco le metafore enologiche e ritorno quindi su queste per meglio esprimere il mio modesto parere sui politici attuali così come sopra lasciato intendere.

Una volta mio padre, seriamente provocato, fu costretto a prendere posizione nella storica diatriba fra callassiani e tebaldiani. In una tarda serata estiva fummo fermati da un nostro conoscente, anche lui appassionato di musica lirica. Si rivolse a mio padre e cominciarono a chiacchierare con un gustosissimo dialogo in cui le battute si sprecavano. Ad un certo punto la lingua andò a battere sul dente dolente, vale a dire: è meglio Maria Callas o Renata Tebaldi? Questo il dubbio in cui si dibattevano i melomani.   Mio padre non si poté esimere dall’esporre il suo parere, anche perché il suo interlocutore lo avvolse in una fascia di elogi e di riconoscimenti sulla sua competenza ed esperienza in materia. Ero sinceramente curioso di sentire come se la sarebbe cavata. L’amico in questione provò educatamente a dire che la voce di Maria Callas non era di bella qualità, mentre quella della Tebaldi era una vera e propria voce d’angelo. Mio padre non negò, ma spostò il discorso su un altro piano sostenendo: «Veddot, la Callas in góla l’ àn gh’à miga la vóza, mo un strumént…la pól cantär il pärti legéri, lirichi e dramàtichi, la fa tutt…». La discussione tendeva a proseguire, perché le ragioni della “bella voce” sono effettivamente piuttosto solide e il nostro simpaticissimo amico insisteva su questo tasto. Ad un certo punto mio padre volle concludere con una similitudine: «Vedot, la Callas l’è un bicér ‘d champagne, la Tebäldi l’è un bicér ‘d moscat». Dopo avere virtualmente bevuto questi due bicchieri di vino, la discussione finì. Proseguendo verso casa, mio padre mi chiese: «At capì cme la péns mi?». Sì, avevo capito e oggi posso aggiungere, a posteriori, che sono anche perfettamente d’accordo. E cosa c’entra con l’attuale crisi di governo. C’entra eccome! Anche se i personaggi sulla scena politica di oggi sono ben lontani sia dalla classe smisurata di Maria Callas che dalla bella voce di Renata Tebaldi…

 

Il paradiso delle signore

In un coro allarmistico e catastrofista finalmente arriva una voce rassicurante. “Il presidente Mattarella saprà prendere le decisioni che assicureranno stabilità e progresso agli italiani, tenendo presente che il flagello dell’intolleranza e del razzismo è un assalto al carattere stesso delle nostre nazioni, e deve essere condannato. La Nato resterà il pilastro della pace nel mondo, gli Usa continueranno a difendere l’unità della Ue, e la Brexit non potrà scardinare la pace in Irlanda”. Sono i messaggi che la Speaker della Camera americana Nancy Pelosi ha lanciato in una intervista esclusiva a La Stampa, concessa per analizzare le sfide dell’alleanza transatlantica alla vigilia del G7 di Biarritz.

Sono molti i motivi tranquillizzanti: l’autorevole fonte parlamentare statunitense chiude il becco al continuo straparlare del presidente americano; l’alleanza atlantica vista come elemento di pace e non come continua provocazione ad alleati e avversari; la difesa dell’unità dell’Unione Europea giudicata imprescindibile nel moderno assetto internazionale; il contenimento della Brexit e la neutralizzazione del suo impatto pericoloso; la fiducia d’oltre oceano per il presidente Mattarella quale garante del processo democratico e dello sviluppo dell’Italia; il rifiuto di una visione settaria, conflittuale e razzista dei rapporti fra i popoli e le nazioni.

Un bel viatico per un G7 che rischia di aprirsi e incartarsi nella guerra dei dazi. Una buona boccato d’ossigeno anche per la politica italiana. Peccato che a questo consesso arrivi in rappresentanza italiana, un premier depotenziato e surgelato. Non so se Giuseppe Conte abbia possibilità di riciclarsi, in qualche modo, nell’eventuale nuova alleanza politica tra PD e M5S, non mi interessa più di tanto, anche se mi spiace sinceramente che alla fine possa essere lui la vera vittima di un fallimento di cui non è certamente il maggior responsabile. Saprà comunque congedarsi con dignità dai vertici internazionali, così come ha fatto nobilmente in Senato. Seppure condizionato dalle sconclusionate e pericolose farneticazioni salviniane, seppure zavorrato dalle titubanze e dalle incompetenze grilline, ha saputo evitarci il peggio e destreggiarsi in mezzo ai potenti del mondo, appoggiandosi all’equilibrio e al senso di responsabilità di Mattarella, che, come lui stesso ammette sinceramente, non gli ha mai fatto mancare appoggio e buoni consigli.

Chissà che una voce democratica partita dall’alleato Usa non induca la politica italiana a ravvedersi e orientarsi positivamente. Un tempo gli Stati Uniti interferivano in modo conservatore, se non addirittura reazionario, sugli equilibri interni italiani e l’abilità dei nostri politici ha sempre sostanzialmente resistito all’invadenza di certe spinte. In questo periodo l’influsso trumpiano si è fatto sentire e ci ha ulteriormente confuso e fuorviato. Ci voleva proprio il fascino umano e politico di Nancy Pelosi! Grazie! Continuo a sperare nelle donne! Si vocifera di un presidente del consiglio al femminile per partorire il nuovo governo dopo una breve ma difficilissima gravidanza giallo-rossa: sarebbe la prima volta di una donna a capo del governo italiano. Solo una donna potrebbe avere la dolcezza e la convinzione per allattare e accudire un governino gracile e geneticamente incerto.

Il fascino indiscreto del cinismo politico

Oltre un anno fa, quando, dopo le elezioni, in alternativa alla paradossale alleanza pentaleghista, si ventilava l’ipotesi di un altrettanta strano accordo tra M5S e PD, Matteo Renzi, a dispetto del possibilismo emergente da un mandato esplorativo affidato da Sergio Mattarella al neo presidente della Camera Roberto Fico, in contro tendenza rispetto al pragmatico atteggiamento del suo partito, si mise di traverso con la sua nutrita pattuglia di parlamentari, che rispondono assurdamente più a lui che all’elettorato di provenienza ed al partito di appartenenza, al fine di stroncare sul nascere l’ignobile connubio. Non se ne fece nulla e nacque con un travagliato parto il governo giallo-verde: una creatura fragile, che non è riuscita ad irrobustirsi nel tempo in base alla terapia fissata in un protocollo contrattuale, ma è rapidamente e prevedibilmente deperita fino a raggiungere un coma irreversibile.

Matteo Renzi aveva mille ragioni per osteggiare quella nascita e ha proseguito nel tempo una battaglia senza esclusione di colpi con il governo presieduto da Giuseppe Conte, ma soprattutto contro i grillini, che dal canto loro non gli hanno certo risparmiato attacchi anche sul piano personale. Al recente congresso del partito democratico mentre, se non erro, Nicola Zingaretti veniva considerato un possibilista per il dialogo eventuale futuro col M5S, Renzi continuava ad escludere una simile evenienza da tutti i punti di vista.

Poi, come noto, l’altro Matteo, il capitano coraggioso dell’armata leghista, si è stufato di trattare con l’alleato di governo, ha fiutato l’odore di trionfo elettorale, ha inteso passare precipitosamente alla cassa per incassare il crescente consenso dei sondaggi, ha fatto saltare il banco governativo. A quel punto il Matteo piddino (?) ha colto la palla al balzo e, sfruttando la ghiotta occasione di debolezza grillina, ha fatto una capriola, un vero e proprio salto mortale, proponendo un governo di scopo tra PD e M5S, al fine di evitare l’aumento dell’Iva e superare le varie emergenze con un patto a breve termine. Non ho ancora capito se la mossa renziana fosse dovuta a mero tentativo di recuperare un protagonismo governativo, essenziale al galleggiamento dell’ex premier vedovo della ribalta chigiana, al timore delle elezioni anticipate e della perdita di peso parlamentare, a subdolo calcolo di bruciare anticipatamente una prospettiva politica imbarazzante ed emarginante, alla volontà di creare scompiglio alla nuova segreteria PD ed a creare ulteriori divisioni interne nella prospettiva della formazione di un nuovo partito.

Fatto sta che le parti in commedia si sono rovesciate: Renzi favorevole ad un accordo coi grillini, Zingaretti piuttosto perplesso. Con questo clima paradossale in casa democratica si sono aperte le consultazioni ed ha preso corpo la trattativa vera e propria per costituire un governo ben più assestato e proiettato di quello vagheggiato da Renzi, con Zingaretti e tutto il partito impegnati nella quadratura del cerchio pentapiddino, con il toscanaggio, logorroico e imprevedibile, messosi immediatamente in disparte per gufare, per fare il Ghino di Tacco ed essere pronto a condizionare o addirittura taglieggiare ed abbattere l’eventuale futura maggioranza giallo-rossa.

Ho una certa considerazione per le capacità di questo personaggio tanto amato e odiato: è la situazione tipica di chi sa suscitare entusiasmi e contrarietà, mettendo clamorosamente in mostra pregi e difetti in un pericoloso mix prendere o lasciare. Ho seguito con interesse e plauso la sua intensa azione governativa, messa a repentaglio da un esasperato personalismo, da una esagerata smania di egemonia e da una frettolosa voglia di spadroneggiare la situazione. Senza la poltrona di palazzo Chigi sotto il sedere, Renzi ha dovuto ripiegare sul tatticismo più cinico, passando spregiudicatamente di palo in frasca alla ricerca di rivincita. Un atteggiamento che farebbe impallidire persino Giulio Andreotti.

Farà un nuovo partito? L’attuale assetto dirigenziale e politico del partito democratico non mi entusiasma, anzi mi trova assai perplesso: ucci ucci sento odor di comunistucci. So che in area cattolica si sta muovendo qualcosa di alternativo o di diverso rispetto al PD. Il cantiere della sinistra è purtroppo sempre aperto e sempre chiuso. Non sono comunque disposto a dare credito alle smanie renziane, si chiamino scissione, si chiamino manovre del centro moderato, si chiamino riscossa ideologica contro la burocrazia tardo comunista. Ne ho viste tante in politica, ma non sono ancora disposto a comprare nella bottega dell’apparente miglior offerente. Voglio esaminare attentamente la merce in vendita. Qualcuno mi dirà: è la politica, stupido! Preferisco essere e rimanere stupido!

 

Il taglio dei parlamentari e lo sfregio alla politica

Da diverso tempo quando osservo immagini delle aule parlamentari, a volte piene, più spesso quasi vuote, mi viene spontaneo chiedermi se deputati e senatori non siano troppi, considerato anche la loro scarsa produttività qualitativa e quantitativa. Bisogna però anche considerare che in parlamento si gioca la nostra democrazia e la rappresentanza dei cittadini. Resta comunque il fatto che quasi un migliaio di parlamentari siano un po’ eccessivi e si possa tranquillamente ipotizzare una diminuzione del loro numero.

Non mi sembra tuttavia una questione di vita o di morte, né il problema principale, tale da costituire il punto discriminante e pregiudiziale per un’alleanza e un programma di governo. Reputo quindi demagogico e tattico l’aver posto il taglio dei parlamentari quale condizione essenziale per fare un’alleanza tra M5S e PD. La leggo come una sorta di trincea grillina dentro la quale difendere un’immagine populistica, che purtroppo non riguarda solo la Lega, ma anche i pentastellati.

Il populismo buttato fuori dalla porta salviniana rientra purtroppo dalla finestra grillina: l’antipolitica è un oggettivo e pesante ostacolo al fare un accordo politico. È questo l’ostacolo fondamentale difficilmente superabile per il PD al di là delle proprie incertezze, divisioni e debolezze e al di là delle difficoltà nell’affrontare le complesse problematiche di vario genere e diverso livello.

Se il populismo è il discrimine ideologico tra queste due forze politiche, la mancanza di rispetto reciproco è la carenza metodologica. Come possono due forze politiche che non si rispettano ipotizzare un’alleanza strategica che le impegni per diversi anni? Non c’è il presupposto: o hanno scherzato per anni o non se ne può nemmeno parlare. E non è che volassero piccole critiche, volavano insulti sul piano morale e umano prima che politico. Si consideravano fino all’altro ieri nemici giurati. E ora? In politica tutto è possibile? Ma chi l’ha detto?  Questo è il modo per allontanare la politica dai cittadini! Come si fa a valutare come solida, stabile e credibile una maggioranza politica del genere. Non riesco, anche con le migliori intenzioni, a prendere sul serio un accordo tra movimento cinque stelle e partito democratico e non riesco a vedere i personaggi politici che possano stringerlo e gestirlo con carisma ed autorevolezza.

Non mi convincono le motivazioni di carattere istituzionale (evitare le elezioni anticipate), di carattere emergenziale (i problemi urgono e occorre prenderli di petto), di carattere sociale (manca il lavoro), economico (siamo in quasi recessione), finanziario (dobbiamo varare una impegnativa manovra), di tipo internazionale (l’Europa non può attendere e il mondo ci interpella), di tipo umanitario (l’immigrazione va gestita seriamente). Più approfondisco queste motivazioni e meno trovo un collante per la suddetta alleanza politica e programmatica.

Mi dispiace ricorrere alla soluzione elettorale, ma purtroppo a estremi mali estremi rimedi, anche se i rimedi sono tutti da dimostrare e verificare. Dalle urne infatti potrebbe uscire una situazione analoga a quella attuale e persino peggiore dal punto di vista degli equilibri politici. Non mi basta tuttavia sconfiggere chi vuole a tutti i costi andare alle elezioni per sfruttare l’onda dei consensi, peraltro tutta da verificare nelle urne reali, ci vuole qualcosa in più e sinceramente non lo vedo. Scrivo queste riflessioni con grande sofferenza e spero vivamente di sbagliarmi!

I partiti rispondono picche

Il presidente Mattarella ha fatto un primo giro di consultazioni per risolvere la crisi di governo: al suo posto mi sarei già stancato e avrei mandato tutti al diavolo e i cittadini alle urne. Ammiro la sua pazienza ed il suo senso di responsabilità, anche se tutti hanno notato nel suo viso una certa tensione e insoddisfazione. Gli esponenti politici dichiarano fiducia in lui, ma nessuno lo sta veramente aiutando a districare la matassa. Siamo invischiati nei peggiori giochini, nei tira e molla inconcludenti, nei tatticismi insopportabili: se questo è il rinnovamento della politica…

Ho sempre maggiore nostalgia della cosiddetta prima repubblica in cui i riti per la formazione del governo si consumavano in modo altrettanto fastidioso, ma nel sostanziale rispetto della grammatica istituzionale: i partiti discutevano al loro interno sulla formula di governo e sul nome o sulla rosa di nomi per la guida del governo stesso e poi si recavano dal Capo dello Stato a fare le loro proposte.

Attualmente il rito si è capovolto, la messa comincia dalla fine e al sacerdote si chiede la comunione prima della consacrazione del pane e del vino. I partiti parlano col Presidente della Repubblica, ma in realtà strizzano l’occhio agli elettori; partono dai loro punti programmatici facendo finta di non capire che al Presidente non spetta il compito di redigere il programma di governo, ma di vararne la compagine nominando il premier e su proposta di questo i ministri. Il partito democratico presenta cinque punti programmatici irrinunciabili, il movimento cinque stelle raddoppia, ne sfodera dieci. E allora? Tutti si guardano bene dal chiarire se ci sono i presupposti minimi per un governo, si tengono le mani libere, giocano di rimessa, a carte coperte, buttano sul Quirinale le loro incertezze e le loro divisioni interne, pretendono l’impossibile, escono dallo studio alla vetrata e fanno i loro comizi di fronte a microfoni e telecamere, viene il forte dubbio che dicano addirittura cose diverse rispetto a quelle pronunciate nei colloqui riservati. Prendono in giro tutti: i media stanno al gioco e trovano pane per i loro denti, il Presidente è spiazzato, i cittadini non ci capiscono niente.

Sarebbe come se uno studente venisse interrogato dal suo insegnante e, anziché rispondere alle domande, spiegasse come e quando ha studiato e parafrasasse il programma di studio indicandone i capitoli e i paragrafi. Verrebbe immediatamente invitato a rispondere a tono, diversamente verrebbe rimandato al posto o cacciato fuori o rinviato alla successiva interrogazione o sessione di esami.

Il movimento cinque stelle rivendica di essere in Parlamento il partito di maggioranza relativa, anche se qualcuno sostiene che, stando ai risultati delle ultime consultazioni elettorale europee, avrebbe perso drasticamente questo primato. Stiamo alla realtà degli attuali seggi parlamentari: proprio in quanto detentore dei gruppi di maggioranza relativa spetterebbe al M5S proporre un’alleanza per arrivare a una maggioranza di governo. Tale obbligo è rincarato dal fatto del clamoroso fallimento della precedente coalizione governativa. Ebbene, si risponde con il proprio libro dei sogni, senza porsi minimamente il problema di chi e con chi tale libro potrebbe diventare un programma di governo.

Posso capire lo sconcerto di Sergio Mattarella: lo stanno prendendo, poco elegantemente, per i fondelli e con lui tutto il tanto acclamato e conclamato popolo italiano. Stiamo bene attenti: è da oltre un anno che la politica viaggia, più o meno, al di fuori dei canali e delle regole istituzionali. Se continuiamo così, ne va della democrazia parlamentare. Bisogna tornare con urgenza nel seminato. La ricreazione è finita e se non rientriamo in aula ci sarà qualcuno che ci espellerà, si chiami Ue, mercato, crisi economica, emergenza sociale, si chiami…come vogliamo.

 

Il Presidente misericordioso

Come cambia il mondo… Il settimanale Panorama ne dà una puntuale dimostrazione. “Nessuna alleanza con nessuno. Ci affidiamo a Mattarella”. Luigi Di Maio ha usato queste parole alla vigilia dell’intervento di Conte al Senato che dovrebbe dirci qualcosa in più sulla crisi di Governo. Una frase che tutti, soprattutto qualcuno, in questi giorni hanno usato anzi abusato a sproposito, più di tutti il vicepremier grillino. Un anno fa lo stesso Di Maio chiedeva nientepopodimeno che “l’impeachment” per il Capo dello Stato nel pieno delle consultazioni post Elezioni politiche. Oggi invece a quella stessa persona si affida, a braccia aperte. Giusto per ricordare le cose come stavano… e come le opinioni cambino a seconda dei bisogni.

Spero si tratti del tipico percorso del figliol prodigo, anche se di politici prodighi ce ne sono un po’ troppi. Confidiamo nel presidente misericordioso. Gli abbiamo messo in mano una patata bollente, una situazione intricata e delicata, una matassa aggrovigliata. Già un anno fa aveva dovuto fare i salti mortali per rispettare il pur orribile esito elettorale, giocando di fino nella bettola pentaleghista. Oggi ha in mano i cocci di un governo miseramente imploso: rimetterli insieme è impossibile. Quindi, bisogna escogitare, peraltro in fretta, una nuova esperienza che dia un minimo di garanzie future nell’interesse di un Paese pieno di problemi, che non possono aspettare i comodi di una politica riottosa e faziosa né quelli di un elettorato bizzoso e nevrotico.

Sergio Mattarella si trova nella necessità di spingere la politica a fare il proprio dovere prima di passare eventualmente la palla ai cittadini. Mi fido ciecamente di lui, non come fa Di Maio, ma perché credo nella istituzione e nella capacità dii Mattarella di servirla al meglio. Sono sicuro che non accetterà soluzioni improvvisate o pasticciate e saprà mettere tutti di fronte alle loro responsabilità. Ammiro il suo grande rispetto per le singole persone, per il ruolo della politica e dei partiti, per le necessità della comunità nazionale, per la funzione dell’Europa. Il suo dubbio atroce sarà: privilegiare una soluzione della crisi varando comunque un governo possibile oppure scegliere di azzerare la situazione dando agli elettori la possibilità di tornare a votare a così breve distanza di tempo?

Non azzardo pronostici, spero che lo assecondino giocando pulito, mi auguro che la Carta costituzionale possa essere il suo sufficiente armamentario, prego Dio che lo illumini nel suo gravoso compito. Matteo Salvini sfodera inopportunamente e strumentalmente i simboli della devozione cristiana. Se proprio vuole mescolare fede e politica, faccia un’insistente preghiera per Sergio Mattarella, anche se potrebbe sentirsi rispondere dalla Vergine Maria, dal suo Figlio e dal Padre Eterno: perché non lo aiuti tu? Comincia tu e poi vedrai che tutto andrà meglio… Aiutatelo che il ciel l’aiuta. Comunque vada, grazie presidente!

 

Un bel rigurgito di dignità

Ha vuotato il sacco. Sì, Giuseppe Conte ha chiuso il conto aperto con Matteo Salvini: in questo anno di governo ha prese parecchie botte, ma si è tolto la soddisfazione di dirgliene molte nei denti. Non gli ha risparmiato nessuna accusa dal punto di vista istituzionale, politico, etico, culturale e personale. Non c’è dubbio, tutte cose sacrosante! Viene spontaneo domandarsi: ma come hanno fatto a convivere? quanta pazienza ha dovuto portare Conte? perché non si è sfogato prima? Probabilmente è come nei matrimoni: quando la convivenza raggiunge il massimo dell’intolleranza reciproca, saltano fuori tutte le magagne, che nel tempo erano rimaste coperte.

Il commento dell’opposizione è stato: troppo tardi! Io mi accontento: meglio tardi che mai…Intendiamoci bene: il disastroso bilancio del governo pentastellato non è ascrivibile sbrigativamente soltanto ai comportamenti leghisti e salviniani in particolare. La stringente requisitoria di Conte ha tuttavia il merito di avere scoperto l’altarino (sic!) del pericolo fascistoide: si è tolto e in parte ci ha tolto la serpe dal seno. Grazie di avere finalmente parlato chiaro. Un bel canto del cigno, anche se il cigno nella seconda parte del suo canto ha difeso (troppo) il proprio operato (non si poteva pretendere che facesse una clamorosa autocritica), ma ha soprattutto lasciato intendere di essere disponibile a continuare il lavoro (magari allestendo frettolosamente un nuovo cantiere). Qui viene il difficile al limite dell’impossibile.

Voglio per un attimo restare su Giuseppe Conte: esce a testa alta, con l’onore delle armi, da galantuomo, riconosciuto come tale dal Presidente della Repubblica che non lo ha mai lasciato solo, dall’Europa che ne ha capito la buona fede e la sincera volontà di agire per il bene dell’Italia senza mancare di riguardo e di rispetto ai partner ed agli equilibri della Ue, dai cittadini che, al di là di tutto, ne hanno apprezzato il garbo, la correttezza e la serietà. In fin dei conti nessuno ha sparato sul pianista e lui ha interrotto sua sponte la musica che stava diventando inascoltabile. Lo stimo sincero e gli credo quando ammette di avere imparato molte cose e di avere compiuto parecchi errori, pur rivendicando la quantità e qualità del lavoro svolto. Non ha risparmiato critiche anche al M5S di cui è diventato il rappresentante accettabile e dialogante (Grillo permettendo). Non ha dato agli amici pentastellati soltanto qualche pizzicotto, come qualche commentatore ha superficialmente osservato, a fronte dei pugni in faccia assestati a Salvini. Ha fatto due dure critiche di fondo ai grillini: al loro modo di intendere e fare politica quasi esclusivamente sui social media e alla loro scarsa sensibilità istituzionale.

Non penso che tutto possa essere ricondotto ad una manfrina per riciclarsi e magari ricandidarsi a premier o a qualche altra carica importante: esce comunque abbastanza bene dalla scena a prescindere dal fatto che possa continuare o meno a recitare. Staremo a vedere. Devo ammettere di averlo sottovalutato come uomo e come politico, di averlo spesso considerato un burattino sballottato fra le mani di presuntuosi burattinai. Il burattino si è rivelato un uomo in carne ed ossa, con una sua precisa dignità. Un dato positivo, un piccolo spiraglio di luce che spunta e che potrebbe, tutto sommato, aiutarci a guardare avanti.

 

 

I giovani ultra ottantenni

Alla fine del giugno scorso ha girato sui media americani, e poi di tutto il mondo, l’immagine iconica della sofferenza, di un corpo riverso nell’acqua verdastra del fiume accanto al corpicino della figlioletta, quasi volesse continuare ancora a proteggerla e salvarla portandola a riva: si trattava di un padre e della sua bambina morti annegati nel Rio Grande mentre cercavano di passare il confine tra Messico e Stati Uniti. Papa Francesco l’aveva vista con immensa tristezza ed era rimasto profondamente addolorato, pregando per loro e per tutti i migranti che hanno perso la vita cercando di sfuggire alla guerra e alla miseria.

A distanza di quasi un mese una religiosa ultra ottantenne, cha stava protestando silenziosamente contro la politica migratoria di Trump, è finita tra le settanta persone – fra le quali alcune Sorelle della Misericordia – che sono state arrestate dalla polizia a Washington mentre manifestavano per criticare le ultime scelte del presidente americano. I manifestanti avevano occupato una sala del Senato, il Russel Senate Office Building, in quella che hanno definito come “Giornata cattolica di azione per i bambini immigrati”. La suora più anziana si chiama suor Pat Murphy e ha dichiarato che la situazione nei centri di detenzione degli immigrati è “assolutamente immorale”, riferendosi a quanto sta accadendo al confine con il Messico dove perdura “una situazione abominevole”.

Seppure con un qualche ritardo ho esaminato e accostato i due fatti: da una parte la pietà cristiana e la solidarietà umana, espresse al più alto e autorevole livello, per le vittime dell’ingiustizia fatta sistema; dall’altra la protesta e la testimonianza contro la politica delle barriere verso gli immigrati. Sono le due facce della stessa medaglia caritativa, una non può sussistere senza l’altra. La pur altolocata commiserazione da parte del papa si completa con la pur modesta ribellione non violenta di una vecchia suora. Due ultra ottantenni a favore dei diritti alla vita e contro la noncuranza, se non addirittura l’ostilità contro chi cerca disperatamente di vivere.

In questo virtuoso collegamento ho ritrovato lo spirito della vera Chiesa, il suo servizio alla causa dei deboli e dei sofferenti, la sua vicinanza ai poveri ed agli emarginati. Suor Pat non si è chiesta dov’è il papa e il papa non si è chiesto dove sono le sorelle della misericordia: ognuno ha fatto e fa la sua parte. Alla vigilia di ferragosto il cardinale Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha indirizzato un messaggio alla politica italiana affinché si metta al servizio del bene comune e la smetta di giocare a nascondino rispetto ai problemi reali. Mancano i preti, le suore, i laici che abbiano il coraggio di scendere in piazza a protestare?! Le occasioni non mancano, ad esempio davanti allo stillicidio continuo contro i migranti abbandonati in balia delle onde. Sono sicuro che molti saranno impegnati, senza fare baccano, nell’accoglienza e nell’integrazione degli immigrati. Però bisogna fare anche un po’ di baccano: nella lotta per una società più giusta c’è posto anche per la contestazione politica. Forza e coraggio!

Però si può scendere in piazza anche con diverse prese di posizione: «Non voglio essere polemico, ma non si vanno a soccorrere sulle navi persone che hanno telefonini, oppure catenine, catene al collo, e dice che vengono dalle persecuzioni. Quali persecuzioni? Guardiamoci intorno, guardiamo la nostra città, la nostra patria. Guardiamo le persone accanto, che hanno bisogno e quante ne ho conosco io, sono tante, tantissime, una marea che si vergognano del loro stato di vita». Questo il passaggio dell’omelia del parroco di Sora, in provincia di Frosinone, durante le celebrazioni per la festa di San Rocco che ha scatenato l’immediata reazione dei fedeli presenti in piazza: alcuni lo hanno applaudito, mentre altri gridavano «buu, vergognati». Come diceva il mio insegnante di italiano a commento di interventi fuori luogo dei suoi allievi: rovinato tutto!!!

La diocesi di Sora ha immediatamente preso le distanze dalle parole del parroco, in una lunga nota in cui il vescovo sottolinea in sostanza che la scelta della diocesi è l’accoglienza e che «qualunque pensiero in senso contrario espresso da chiunque, non esprime la volontà della Chiesa diocesana, e si deve addebitare esclusivamente a discutibili scelte personali di ogni singolo soggetto». Non a caso Gesù afferma: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, vi dico, ma divisione». Aggiungo io: anche tra parroco e vescovo, tra vescovo e papa etc. etc.

 

Un paradosso tira l’altro

La strana crisi di governo sta prendendo una piega altrettanto strana. Come previsto, è deflagrata la maggioranza giallo-verde, che io da sempre preferisco chiamare pentaleghista, in quanto questa definizione rende perfettamente l’idea del “mostro” politico non creato a livello istituzionale e costituzionale da Mattarella, ma generato in laboratorio da due apprendisti stregoni, Di Maio e Salvini, in cerca di ignobile rinnovamento. I cocci sembrano non più riutilizzabili e allora ecco spuntare una stranissima prospettiva di governo giallo-rosso, che io preferisco chiamare pentapiddista, mettendo le mani avanti quasi a voler esorcizzare un nuovo mostro.

Un paradosso tira l’altro. Coloro che hanno continuato per anni a sputare contro il partito democratico e soprattutto contro Matteo Renzi, si stanno sgelando per opera di Grillo e lasciano balenare la possibilità di un accordo con quel partito. I piddini, coloro che, durante questo ultimo anno, escludevano ogni e qualsiasi probabilità di dialogo con il M5S, oggi parlano confusamente di governi istituzionali, di governi del Presidente, di governi di solidarietà nazionale, etc., lasciando intendere di potere, a fin di bene, baciare il rospo. Berlusconi, che ha gettato divertenti manciate di merda addosso ai grillini, sta cercando, per l’interposta persona di Gianni Letta, di rientrare nei giochi al fine di salvare i suoi interessi ed evitare elezioni, che forse lo cancellerebbero inesorabilmente dalla scena sia come eventuale vincitore in un centro-destra tutto destra e niente centro, sia come cigno definitivamente ammutolito e perdente. I grillini arriverebbero persino a sdoganare l’odiato cavaliere, togliendogli le macchie e non avendone più paura. A Leu non parrebbe vero di diventare la sinistra, che copre ideologicamente l’inciucio. Agli europeisti sparsi farebbe comodo entrare in una maggioranza di stampo europeista: Romano Prodi, alla spasmodica e stucchevole ricerca del ruolo di padre nobile della sinistra, arriva a prefigurarla, chiamandola “Orsola” dal nome del commissario-capo europeo, quella Ursula Von Der  Leyen, votata al parlamento di Strasburgo da tutti i potenziali protagonisti della nuova maggioranza italiana.

In politica ne ho viste di tutti i colori e quindi sono maggiorenne e vaccinato. Non mi lascio scandalizzare da nulla. Però le perplessità su una simile prospettiva non riesco a vincerle e faccio molta fatica a credere che Sergio Mattarella la possa patrocinare o anche solo registrare. Il collante vero di questa nuova (?) maggioranza sarebbe la rimessa in gioco di molti personaggi attualmente in bilico: Grillo riprende in mano il movimento e se lo masturba a piacimento; Prodi risorge dal sepolcro presidenziale in cui lo avevano sepolto dopo averlo candidato e crocifisso; Renzi torna in pista perché non può fare a meno di un governo, se non suo almeno amico e per i suoi amici; Di Maio salva la faccia  e il suo ridicolo doppio petto; gli altri grillini non contano un cazzo  e andranno a cuccia per succhiare l’osso della ricandidatura; Conte se ne andrà a Bruxelles e non ci farà sfigurare; Zingaretti incasserà una parvenza di unitarietà del partito; persino Enrico Letta potrebbe tornare dall’esilio.

E io dovrei applaudire? Nossignori! Siccome i programmi camminano sulle gambe degli uomini, non riesco a vedere un percorso attendibile. Ero iscritto alla Democrazia Cristiana e fui costretto a berla da botte molte volte: quando vidi spuntare l’era forlaniana con tanto di Caf, capii che era finita e non rinnovai la tessera nonostante le insistenze di tanti carissimi amici. Oggi non ho tessere da restituire, mi è rimasto il cervello e non sono disposto a venderlo all’ammasso. Mi dispiace, ma la lotta al salvinismo non si fa così. E non mi si definisca un aventiniano: non vado sull’Aventino, ma resto nella mischia a combattere a mani nude contro il fascismo strisciante e a favore della vera Europa.

Marciare divisi per combattere disuniti

Che il partito democratico non sia monolitico mi sta benissimo, che al suo interno abbia una pluralità di idee e finanche di principi di riferimento è accettabile se non addirittura auspicabile, che il dibattito sia vivace è una ricchezza, ma tutto ha un limite. Che in piena (quasi) apertura di una delicata e complessa crisi di governo il PD si presenti con ben tre posizioni politiche, mi sembra un po’ eccessivo.

Carlo Calenda, del quale non ho ancora capito se appartenga al partito o se stia sempre “sull’uscio col lume che vacilla al vento” (Bohème atto primo), chiude aprioristicamente al dialogo col movimento cinquestelle: «Se la direzione darà al segretario Zingaretti il mandato di verificare l’ipotesi di un accordo con i 5 stelle, questo vorrà dire che il Pd avrà definitivamente abdicato alla rappresentanza del mondo liberaldemocratico» dice Calenda in un’intervista al Foglio. «Io questa cosa non la accetterò. Sarà a quel punto inevitabile lavorare a una nuova forza politica che rappresenti quel mondo orfano. Una forza non alleata con il Pd, perché il Pd avrà perso ogni credibilità rispetto alle istanze dell’Italia seria, quella che lavora, studia e produce».

Matteo Renzi, del quale non ho ancora capito cosa voglia fare, ma temo abbia solo l’intenzione di recuperare un ruolo per sé, afferma ripetutamente, peraltro in qualche contraddizione col suo recente passato (solo gli idioti non cambiano mai opinione…) afferma: «Un Governo Istituzionale che come prima cosa abbia un Ministro dell’Interno degno di questo nome e un Governo che pensi a fare il bene degli italiani, non a litigare tutti i giorni. Sono uomini delle Istituzioni coloro che mettono da parte i propri risentimenti personali e pensano a come evitare la crisi economica. Poi torneremo a discutere, litigare, dividerci. Ma prima viene l’Italia, poi vengono gli interessi dei singoli partiti. Ci hanno buttato addosso odio e fango: noi non replichiamo allo stesso modo, ma rispondiamo pensando al bene comune e ai risparmi delle famiglie».

Il segretario Zingaretti, quello che fino a prova contraria dovrebbe esprimere la linea del partito, non esprime un bel niente  e resta in attesa: «Solo nello sviluppo dell’eventuale crisi di governo sotto la guida autorevole del Presidente Mattarella si potranno verificare, se esistono, le condizioni numeriche e politiche di un Governo diverso con una larga base parlamentare che nasca non a tutti i costi per la paura delle urne, che non abbiamo, ma dalla reale possibilità di trasformare l’Italia, cambiare e rifondare l’Europa e ricostruire una speranza».

Cosa andranno a dire al presidente della Repubblica in caso di probabili consultazioni non riesco a capirlo, speriamo lo capisca Mattarella. Non sarà il caso di darsi una regolata, di discutere anche animatamente negli organi di partito, per poi esprimere una linea univoca che abbia credibilità di fronte ai cittadini. In politica mai dire mai, però qualche volta sarebbe utile avere le idee chiare. Il vezzo frazionistico della sinistra è sempre in agguato. Facciamo un discorso meramente tattico: di fronte ad una maggioranza uscente che brancola nel buio, di fronte ad un centro-destra sballottato e shakerato da Salvini, di fronte ad un M5S in confusione mentale, di fronte persino a qualche scricchiolio in casa Lega, non sarebbe il caso che il PD si presentasse con un minimo di dignitosa unità d’intenti e non in ordine sparso? La democrazia cristiana sapeva dividersi, ma sapeva, nei momenti topici, stare unita. Per non parlare del PCI. C’era un partito che, per dirla brutalmente, non sapeva mai dove tenere il culo, era il Partito socialista: fu il responsabile principale della mancanza di una seria e credibile sinistra riformista nel secolo scorso. Vuoi vedere che il PD si candida a ripetere questo errore nel secolo attuale?