Il finimondo grillino

Vuoi vedere che, mentre tutti si preoccupano di valutare l’impatto negativo che potrebbero avere sul governo Conte II la scissione renziana e soprattutto la volubilità di Renzi, il pericolo per la sopravvivenza governativa viene dal M5S e dai suoi subbugli non più di tanto occultabili e comprimibili? Si fa un gran parlare di sommovimenti all’interno del movimento, dovuti all’indebolimento della leadership (?) dimaiana, alla perdita di controllo sulla situazione da parte del fondatore Grillo, all’insopportabile peso dirigista del pur sfilacciato gruppo dirigente, all’irritazione per l’accordo col nemico giurato piddino, alle simpatie verso l’ex alleato leghista, al logorio storico del potere per chi lo vorrebbe combattere sempre e comunque. Sembra effettivamente un’accozzaglia senza capo né coda, incapace di trovare il difficile equilibrio tra la viscerale spinta “rivoluzionaria” e la ragionata scelta “riformatrice”.

Sono arrivati al punto da minacciare multe salate per chi dovesse allontanarsi dal movimento per approdare ad altro gruppo parlamentare, si chiami Lega, Italia viva o chissà cosa. Ho comprensione per una formazione politica che fa dell’antisistema la sua base ideologica, che si vede catapultata nel sistema con responsabilità di governo e nella necessità di fare i conti nel potere e col potere. Tutti i giorni cercano disperatamente uno specchietto antipolitico per le allodole, ma non può durare e la contraddizione diventa sempre più insostenibile. L’abbattimento del numero dei parlamentari funziona un po’ da ultima spiaggia, ma, se il Pd apre la porta e vota questo provvedimento, i grillini cadono e non hanno più nulla da dire e polemizzare.

La convivenza con la Lega era difficile, problematica, quasi paradossale, ma forniva continuamente una buona sponda per il gioco dell’antisistema: era una gara in tal senso, che poteva tenere caldo l’elettorato e garantiva un minimo di coerenza tattica. L’alleanza col Pd ha invece un carattere politico, rischia addirittura di diventare una convivenza strategica e allora può essere un autentico bagno di sangue. Si deve passare dalla lotta contro il sistema alla riforma del sistema: il passo è lunghissimo, forse più lungo della gamba pentastellata. Potrebbe essere questo il gran busillis governativo. Riuscirà Giuseppe Conte a conquistare la leadership del movimento in senso riformista? Gli si potrebbe sciogliere in mano. Ecco forse il vero pericolo per la stabilità di un governo già pieno di problemi di tutti i tipi.

La storia insegna che chi ideologicamente combatteva il sistema, una volta convertito al sistema, ne diventa un pessimo gestore, facile ai compromessi più deleteri. Il salto della quaglia! Successe al partito socialista, quando si convertì alla collaborazione con la democrazia cristiana nell’ambito del centro-sinistra. Eloquente è lo scambio di battute fra Indro Montanelli e Fernando Santi (un vero socialista radicalmente contrario al centro-sinistra). «Ma perché, onorevole, chiese Montanelli, lei è così ostile a questo nuovo equilibrio politico-governativo?». «Lei non li conosce i miei compagni, rispose Santi, una volta entrati nelle stanze del potere, sarà un finimondo…».

Forza Italia viva

Giudico l’operazione Renzi idealmente debole, storicamente scialba, politicamente inopportuna: non si può improvvisare un partito a prescindere dai valori, dalle radici e dalla cultura, legando un sacco vuoto con la corda del personalismo. Matteo Renzi si è destreggiato abilmente nel soggiorno governativo, è scivolato ed è caduto nel salotto istituzionale, sta combinando pasticci nella cucina politica.

Ciò detto, forse qualcosa di buono potrebbe anche succedere, qualcosa di inaspettato. Si sta infatti registrando una modesta attenzione da parte dei quadri dirigenti del PD, mentre la prospettiva di questa strana “Italia viva” sta creando un qualche benefico imbarazzo nell’area moderata della destra, tra chi, cioè, non ne può più delle trombonate narcisistiche e populistiche di Salvini.

Probabilmente nel mondo post-berlusconiano si rifiuta il ruolo gregario all’interno dell’agglomerato sovranista della destra e quindi si va alla ricerca di un nuovo protagonismo, per il quale la proposta renziana può avere un suo indiscutibile appeal: una sorta di berlusconismo riveduto e corretto o, se si vuole, un renzismo berlusconizzato ma non troppo.

Se servisse a scompigliare il moderatume elettorale, l’iniziativa renziana potrebbe trovare un senso ed avere un effetto benefico: una fettina di riformisti scontenti e una fettona di moderati contenti. Ed eccoci arrivati al tanto evocato partito di centro che si allea, a seconda dei casi, con la sinistra o con la destra. Vista l’attuale connotazione anti-democratica del leghismo e il balbettamento antipolitico del M5S, non rimane altro che un’alleanza con la sinistra rappresentata dal PD e dai suoi inevitabili cespugli.

Conoscendo la vocazione renziana a ricoprire tutte le parti in commedia, il rischio è che “Italia viva” crei solo disturbo e irritazione in tutti e raccolga solo gli scontenti, financo quelli del grillismo in via di sgonfiamento, senza offrire prospettive politiche serie e durature. Rifare la democrazia più o meno cristiana è una gara piuttosto dura: staremo a vedere, legge elettorale permettendo. Il rischio maggiore mi sembra quello di un delirio di onnipotenza renziano contrapposto a quello salviniano: le avvisaglie ci sono, vedi l’annunciato confronto televisivo tra i due leader. Detta come va detta, Renzi non deve giocare a fare il capo della sinistra o del centro-sinistra, sfruttando la debolezza della classe dirigente piddina. Resti nel suo orto e forse potrà coltivarlo bene con risultati apprezzabili.

In questo movimentato terreno non so se possa avere un ruolo il mondo cattolico: non per mettere l’etichetta cristiana a “Italia viva”, non per convertire all’umanesimo cristiano il partito democratico rimasto senza religione e senza liturgie, non per intrufolarsi nei meandri della politica, men che meno per farsi abbagliare dalla strumentale simbologia salviniana, ma per dare voce ai valori che rischiano di rimanere nel sottoscala.

 

L’orgia dei prepotenti

Durante la sessione dell’Onu dedicata alle problematiche del clima sono state naturalmente espresse molte preoccupazioni e molte buone intenzioni: speriamo che le une siano compensare dalle altre. Il clima politico della discussione non era tuttavia meno inquietante di quello naturale.

Il presidente Usa Donald Trump, che in un primo momento sembrava non dovesse intervenire, tanta è la sua insensibilità e la sua posizione negazionista rispetto ai problemi della salvaguardia della natura, ha fatto un’assurda comparsa (minacciato tra l’altro di impeachment dal suo Parlamento): nel suo intervento infatti non ha mai citato il clima, in compenso ha fatto un’affermazione paradossalmente antistorica, ha cioè affermato che il futuro è nelle mani dei patrioti e non dei globalisti. Si può intuire cosa intendesse dire: ognuno si preoccupi della sua patria e lasci perdere il mondo. “Cittadini di tutto il mondo…fate i c…. vostri”. Musica per le orecchie dei sovranisti sparsi un po’ dappertutto.

In perfetta sintonia con Trump si è espresso il presidente brasiliano Bolsonaro, che dal podio delle Nazioni Unite, ha ribadito il diritto sovrano a gestire la questione Amazzonia come meglio crede, perché “l’Amazzonia non è patrimonio dell’umanità”. Il presidente sovranista di estrema destra ha detto: “È un errore affermare che è patrimonio dell’umanità e un malinteso confermato dagli scienziati dire che le nostre foreste amazzoniche sono i polmoni del mondo”. Il presidente ha inoltre accusato i media internazionali di aver mentito sulla situazione reale della foresta: “Non è successo quello che i giornali internazionali hanno raccontato. Erano tutte bugie”, e ha definito gli interventi dei leader mondiali a favore del salvataggio dell’Amazzonia, colonialisti. “La foresta non è devastata e gli incendi non sono così pericolosi da temere il peggio”, ha polemizzato Bolsonaro smentendo platealmente scienziati, foto satellitari e Ong che da sempre si occupano di ambiente.

Ma all’Onu era presente anche il premier inglese Boris Johnson, al quale è arrivata la notizia che la Corte Suprema del suo Paese si era pronunciata: la decisione di Boris Johnson di sospendere il Parlamento è «illegale» ed è stata motivata dalla volontà di impedire ai deputati di svolgere il loro legittimo ruolo di scrutinio delle attività dell’Esecutivo. Gli undici giudici hanno raggiunto all’unanimità un verdetto devastante per il premier britannico. Il Governo non ha presentato «alcuna giustificazione plausibile o ragionevole» per la sua decisione di bloccare i lavori della House of Commons per cinque settimane, ha dichiarato stamani Lady Hale, presidente della Corte Suprema. Ecco un altro sovranista, che intenderebbe addirittura sconvolgere l’assetto istituzionale inglese, prevaricando il Parlamento per strizzare l’occhio al suo popolo bue.

Non sono certamente migliori altri personaggi potenti del mondo: ad esempio il russo Putin e il cinese Xi Jinping. L’aria che tira è questa: i potenti che non si accontentano di essere tali, ma si comportano da prepotenti. Per loro negare l’esistente è quasi un obbligo, snobbare le istituzioni un imperativo, illudere il popolo rappresenta il loro stile politico. In questa folle deriva mondiale siamo purtroppo invischiati anche noi, come Europa e come Italia. Meno male che i sovranisti a livello europeo gridano molto, ma non contano un cazzo: meno male che Matteo Salvini, il prepotente nostrano, ha trovato chi lo ha messo a cuccia, anche se di lì continua ad abbaiare. Fino a quando i prepotenti non riusciranno a portare il mondo allo sfascismo?  “Cittadini di tutto il mondo…fate i cazzi vostri”, sembrano gridare Trump e soci. Bisogna avere il coraggio di rispondere, restando nel linguaggio scurrile: “Fare i c…. nostri non vuol dire ascoltare le teste di c….”. Chiedo scuso della volgarità nascosta dietro i puntini, ma quanno ce vo, ce vo!

L’assistenza più pubblica che sociale

Sarà bene che la magistratura faccia luce, il più in fretta possibile, sull’inquietante vicenda di Bibbiano, che è diventata materia di violenta polemica politica con reiterati attacchi al partito democratico reo di avere suoi esponenti attivamente o passivamente implicati.

Stando alle ricostruzioni giornalistiche, i fatti sarebbero scandalosamente seri: in poche parole i responsabili dei servizi sociali del comune forzavano, colpevolmente o addirittura dolosamente, a dismisura le situazioni di disagio minorile all’interno di certe famiglie a rischio per ottenere l’affido dei figli a strutture amiche con vantaggi economici conseguenti, il tutto in un giro di favori, connivenze, falsità e violenze sui minori stessi (costretti a dichiarare il falso con minacce e subdoli procedimenti psicologici), al coperto di un sistema pubblico assistenziale a dir poco invadente, ma sconfinante nella criminale strumentalizzazione dei rapporti con le famiglie più o meno in difficoltà.

Probabilmente sulla base delle situazioni famigliari a rischio si costruiva un castello di rapporti insostenibili, che consentivano l’adozione di misure estreme con tanto di affidamento dei minori ai servizi sociali comunali e alle strutture con essi convenzionate. Così ho capito e naturalmente mi sono stupito, scandalizzato e indignato. È proprio vero che su tutto si può speculare anche sulla pelle dei bambini e sulle loro famiglie. Fin qui saremmo alla cronaca della delinquenza, che si annida anche nei servizi pubblici e nel campo dell’assistenza sociale. In assoluto non si tratta di novità, ma di eventi che fanno comunque rabbrividire. Che la delinquenza si introduca nelle vicende umane sfruttando anche le occasioni offerte dalla pubblica amministrazione non è un fatto nuovo: certo, un conto è speculare sui loculi cimiteriali, un conto è rovinare la vita di un bambino e della sua famiglia per fare soldi.

Non so fino a che punto gli amministratori competenti fossero conniventi o semplicemente distratti. L’inquietudine aumenta: possibile che un sindaco, un assessore, un consigliere comunale e tutti coloro che ricoprono cariche pubbliche non fossero a conoscenza di queste procedure artefatte e violentemente lesive dei diritti delle persone? Può darsi che abbiano tenuti chiusi gli occhi, ma non si può dormire nello svolgimento di certi incarichi e nell’assunzione di certe responsabilità. Se sapevano e tacevano per convenienza o per vigliaccheria, le cose peggiorano e il marciume si allarga.

C’è però un ulteriore livello a cui tutti si riferiscono senza avere il coraggio di affrontarlo con sincerità e onestà intellettuale da entrambe le parti; da chi mette genericamente la sinistra sul banco degli imputati ritenendola responsabile direttamente o indirettamente di una deriva pubblicistica dell’assistenza sociale all’ombra del rapporto affaristico tra pubblico e privato sociale in nome del prevalente interesse pubblico rispetto ai diritti delle persone; da chi dovrebbe fare chiarezza sulla propria impostazione politica dell’assistenza sociale e sui relativi schemi di intervento e sulle procedure di comportamento. Tanto per essere chiaro e muovermi fuori dagli schemi politici: in Emilia Romagna si è esagerato pretendendo di strutturare tutta la società con l’intromissione dei pubblici poteri a tutti i livelli e in tutti i sensi? In parte sì, ma non vorrei che l’acqua sporca affogasse il bambino.

La sinistra politica ha il merito di avere attenzionato ed affrontato i problemi sociali fornendo soluzioni strutturali avanzate in un rapporto benefico tra pubblico e privato. C’è da chiedersi se questa osmosi non sia diventata anche il pretesto per omologare il sociale chiudendolo nella scatola più o meno dorata del favoritismo e della strumentalizzazione politica. Questo mi sembra il nodo da affrontare, non con le magliette provocatorie esibite in Parlamento, non con le pacchiane e demagogiche presenze infantili sui palchi dei comizi, non gettando fango su tutto e tutti, non identificando l’avversario politico con una banda di profittatori, ma, prendendo spunto da certe gravissime vicende, per discutere di modelli apparentemente virtuosi, che però possono nascondere brutti tranelli nonché pericolose e devianti esagerazioni.

Conte e i gabbiani

Quando giudicava positivamente, pur con la necessaria cautela, un politico, soprattutto un personaggio chiamato a governare il Paese, mio padre si esprimeva in modo eloquentemente colorito:  “Al n’é miga un gabbiàn…  a  pära facil mo l’ é dificcil bombén… né gh vól miga di stuppid parchè i stuppid i s’ fermon prìmma”. Lo avrebbe detto sicuramente di Giuseppe Conte, superando tutte le perplessità sollevate dalla sua prima esperienza governativa e forse ancor più dalla seconda che si sta avviando.

Non voglio nascondermi dietro le battute paterne per scusarmi di essermi in parte sbagliato nei confronti di Giuseppe Conte. Ero partito considerandolo un premier improvvisato, uscito dal cilindro grillino, un burattino manovrato da Di Maio e Salvini, un personaggio scialbo e grigio stretto nella morsa pentaleghista, un uomo con poca dignità chiamato a svolgere un compito spropositato rispetto alla sua esperienza ed alla sua preparazione. Forse non avevo tutti i torti, ma il tempo sta dando ragione a lui. Con molto equilibrio e grande prudenza, sotto la sapiente sorveglianza del Capo dello Stato, ha saputo conquistare il favore della gente e dei colleghi di mezzo mondo fino a liberarsi, in modo quasi spregiudicato, del gravame leghista per riproporsi nel suo ruolo con una compagine riveduta e corretta.

Spero che il vero Giuseppe Conte sia quello che sta emergendo nell’ambito dei primi passi del governo giallo-rosso. Non a caso si intravede nei suoi confronti una certa qual insofferenza di Luigi Di Maio, il quale probabilmente si era abituato a vivere la presenza di Conte come una mera sponda rispetto alla prepotenza del gioco politico giallo-verde ed ora si trova a fare i conti con un interlocutore autonomo ed autorevole che gli fa ombra e gli crea qualche fastidio.

Giuseppe Conte, senza esagerare nei miei giudizi per farmi perdonare l’ipercriticità iniziale, sta dimostrando una certa convinta autonomia d’azione pur nel dovuto rispetto delle forze politiche che lo sostengono. Ha conquistato con le buone maniere un ruolo significativo a livello europeo ed internazionale, sta lanciando messaggi dialoganti alle forze sociali, sta dimostrando un garbo ed una misura ammirevoli nell’approccio ai gravi problemi esistenti sul tappeto. È presto per gridare al miracolo, ma, se la giornata si vede dal mattino, si può sperare in qualche squarcio di sereno.

Per la verità il mio cambiamento di giudizio nei suoi confronti è maturato gradualmente e quindi non è soltanto dovuto alla sua virata politica piuttosto imbarazzante ed azzardata. Ho visto crescere la mia stima nei suoi confronti ascoltandolo ed apprezzandone la correttezza e l’eleganza e soprattutto la deferenza nei confronti delle istituzioni democratiche, in particolare del Parlamento che lo aveva fiduciato e del Presidente della Repubblica che lo aveva nominato. Poi è arrivato il capolavoro della totale presa di distanza dall’insopportabile e pericoloso fanfarone nemico e anche dai fanfaroni amici, della ricreata verginità in vista di un clamoroso ma necessario ribaltone.

Ho seguito con interesse la sua recentissima partecipazione ad un dibattito con Maurizio Landini, leader CGIL, di fronte ad una platea molto attenta nell’ambito delle Giornate del Lavoro. Due personaggi, come direbbe mio padre, “chi pòccion int al so’ calamari”, finalmente alla ricerca di un dialogo schietto e costruttivo, due galantuomini a confronto. Si respirava un’aria positiva, lontana dalle solite forzate ed artificiali dialettiche. Ognuno impegnato a fare il proprio mestiere con molto impegno e tanta convinzione, senza demagogia e senza propaganda. Era ora!

 

La lingua governativa e il dente fiscale

Mio padre non era un economista, non era un sociologo, non era un uomo erudito e colto. Politicamente parlando aderiva al partito del buon senso, rifuggiva da ogni e qualsiasi faziosità, amava ragionare con la propria testa, sapeva ascoltare, ma non rinunciava alle proprie profonde convinzioni mentre rispettava quelle altrui. Volete una estrema sintesi di tutto cio? Eccola! Rifletteva ad alta voce di fronte alle furbizie varie contro le casse pubbliche: «Se tutti i paghison e i fisson col ch’l’è giust, as podriss där d’al polastor aj gat…». Un autentico manifesto per la lotta all’evasione fiscale.

Non c’è governo che non inserisca questa necessità nel proprio programma e anche il Conte II non fa eccezione alla regola. Stando ai dati più o meni ufficiali, esaminati in un recente articolo de “La Repubblica”, “l’evasione corre sulle tre cifre, il recupero dell’evasione su due. Ogni anno lo Stato non riesce a incassare 109 miliardi, tra imposte e contributi. Ogni anno ne recupera 16, saliti ultimamente a 19 solo grazie a rottamazioni e condoni. Malgrado i recenti progressi, la montagna dell’infedeltà fiscale è ancora là, integra e minacciosa. E ci impedisce di andare avanti, in tutti i sensi. Facile il conto di cosa potremmo fare con 109 miliardi”. Altro che taglio dei parlamentari…

Quali sono i motivi a cui ascrivere questo fenomeno di malcostume e di malgoverno? C’è di base una mancanza di senso civico e persino di senso religioso. Evadere le imposte, tutto sommato, è una furberia accettabile e, per i credenti, un peccato veniale.

“Le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili quali istruzione, sicurezza, ambiente e salute”. Il ministro Tommaso Padoa-Schioppa qualche anno fa, discutendo su tasse e welfare, diceva così e aggiungeva: “Ci può essere insoddisfazione sulla qualità dei servizi che si ricevono in cambio, ma non un’opposizione di principio sul fatto che le tasse esistono e che si debbano pagare”. Per i benpensanti destrorsi, che facevano finta di non capire e irridevano ai pronunciamenti etici dell’illustre pensatore prestato alla politica, si trattava di “una frase rivelatrice della cultura e della mentalità, che vede nell’imposizione fiscale una sorta di misura salvifica rispetto al peccato commesso da chi guadagna con il suo lavoro o la sua impresa”, di “una visione penitenziale e punitiva della vita che si combina con il paternalismo altezzoso e arrogante dei governanti di sinistra”.

Qualcuno arriva a teorizzare, dal punto di vista civico ed economico, che non pagare le tasse sia un bene in quanto, così facendo, si sottraggono risorse a corrotti e corruttori, agli spreconi ed ai fannulloni e di conseguenza si rimette in circolo una ricchezza diversamente costretta a rimanere inerte nelle casse dello Stato o a finire nelle mani di profittatori di ogni genere. Questa comoda giustificazione trova un riscontro interessante nella storia del nostro dopo-guerra: il boom economico, si dice, lo realizzarono i piccoli lavoratori autonomi, che, lavorando in nero e sudando sette camice nelle cantine delle grandi città del Nord-Italia, crearono benessere e ricchezza per tutti. Un po’ di verità c’è, ma il discorso è molto più complesso.

Per quel poco che ho imparato lavorando in campo fiscale ed amministrativo, posso affermare che il ginepraio di leggi, regolamenti e adempimenti, esistente in questa materia, non è affatto funzionale ad un minuzioso controllo dei contribuenti, ma finisce col creare il brodo di coltura per l’evasione, soprattutto quella dei pesci grossi, che nuotano con grande abilità nel torbido mare della confusione normativa con l’ulteriore vantaggio di usufruire periodicamente di condoni, totali o parziali che siano. I controlli, eseguiti in base a logiche piuttosto incomprensibili, finiscono col tartassare spietatamente e, a volte anche sommariamente, i pochi che cadono nella rete. Non c’è da fidarsi della buona fede dei contribuenti, ma c’è da dubitare anche della preparazione, competenza e perizia dei controllori. E non aggiungo altro per carità di Patria.

Se il governo Conte II intende voltare pagina avrà, come si suole dire, del filo da torcere. D’altra parte, se è vero come è vero, che un governo di sinistra deve qualificarsi sul piano dell’eguaglianza e della giustizia sociale, non v’è dubbio che la leva fiscale rappresenti uno strumento fondamentale per redistribuire il reddito e per sostenere politiche sociali a favore dei soggetti e dei territori svantaggiati. Nessuno ha la bacchetta magica per far pagare le tasse agli italiani, ma provarci seriamente e concretamente è un dovere per un governo. Se il M5S vuole cambiare il sistema, questa è la via maestra al di là dei velleitarismi contro i poteri forti e contro l’establishment. Se il PD vuole recuperare credibilità e consensi deve avere l’umiltà e la pazienza di ricominciare dal tasto dolente delle tasse.

 

I gretini non sono cretini

È una vera e propria rivoluzione culturale o una ridondante e mediatica moda ecologista? Me lo sono chiesto di fronte alle manifestazioni globalizzate dei giovani a salvaguardia della natura e contro tutti i disastri che il mondo sta combinando.

Faccio parte di una generazione che si è battuta, con forza e convinzione mista a violenza e illusione, per una società più giusta, a misura d’uomo: era una, pur velleitaria, ricerca di cultura alternativa, di un modo diverso di porsi davanti alla realtà. Non so quanti segni di cambiamento e di progresso siano rimasti, difficile da stabilire, impossibile da verificare. Come sarebbe oggi il mondo se i giovani, negli anni sessanta, non avessero protestato e lottato contro le ingiustizie, le diseguaglianze, gli sfruttamenti, etc. etc. Qualcuno sostiene che, dopo tutto quel gran casino, i giovani si siano “imborghesiti” ed abbiano ricostituito la società su basi rivedute e scorrette. Mi sembra un giudizio storico ingiusto e impietoso.

Cosa resterà della sommossa ecologista scoppiata in questo periodo sulle piazze di mezzo mondo? Qualcuno grida al miracolo dell’autoconvocazione globale, qualcuno snobba il tutto riducendolo a “gretinismo” ecologico, ultima e diffusa versione del cretinismo salottiero e domenicale degli improvvisati fans naturisti.

Che milioni di ragazzi scendano in piazza per testimoniare, seppure in modo alquanto retorico, la loro fede nella bontà della natura e nella cattiveria degli uomini che la deturpano, mi sembra un fatto rilevante al di là delle facili e mediatiche emulazioni in corso. Che le nuove generazioni prendano coscienza della rovinosa deriva in cui siamo immersi, non è cosa da poco. Come sempre la mobilitazione sociale comporta dei pericoli: rimanere alle grida-contro che scivolano sul vetro della conservazione o, nel caso dei cambiamenti climatici, sullo scetticismo del già visto e già vissuto; scendere sul terreno degli entusiasmi collettivi per lasciare inalterati gli equilibri societari di potere; mettere a posto la coscienza vagheggiando il paradiso terrestre.

Non saranno sufficienti le risposte dei governi, non basteranno gli accordi internazionali e, ancor meno, i protocolli tra i potenti della terra, ma qualcosa dovrà pur cambiare. Può darsi che il punto d’attacco progressista sia proprio quello dell’ecologismo, del ripartire dalla natura e dall’ambiente per impostare una società diversa. La provocazione giovanile non va sottovalutata. I giovani vanno presi sul serio e non snobbati o ridicolizzati. Ammetto di non essere in sintonia con la loro mentalità, sono figli del nostro mondo e ben venga che pretendano di diventare protagonisti del loro mondo.

Non so andare oltre il rispetto e l’attenzione, non riesco a vedere gli sbocchi immediati per un impegno concreto in difesa dell’ambiente naturale che, come sostiene papa Francesco, è anche ambiente umano e sociale. I giovani devono costruire il loro futuro partendo dalla loro fantasia creativa, perché quello che gli stiamo consegnando non basta. Lasciamoli creare e lavorare!

Il renzismo ai tempi supplementari

Da parecchio tempo si vociferava di una probabile scissione del PD promossa da Matteo Renzi, ora che è diventata confusa realtà, non ci si può esimere dal mettere in fila gli ultimi passaggi che hanno fatto da preludio a questa decisione.

L’ex presidente del Consiglio ed ex segretario democratico apre improvvisamente la porta ad un governo di salute pubblica tra PD e M5S, finalizzato soprattutto e innanzitutto a scongiurare il pericolo dell’aumento dell’iva legato agli impegni verso l’Europa. Era una breccia un po’ stretta, ma sufficiente a incoraggiare gli interlocutori: il segretario Zingaretti viene preso in contropiede e non si tira indietro, anzi punta, assieme a quasi tutto il partito, ad un governo organico con i cinquestelle; il leader carismatico pentastellato, Beppe Grillo, dà una sorta di placet all’ardita operazione; il premier uscente Giuseppe Conte non si fa da parte, non lascia, ma raddoppia e, dopo qualche iniziale perplessità (la discontinuità…), la sua candidatura viene accettata anche dal PD; il presidente della Repubblica prende atto della nuova maggioranza parlamentare  e stringe i tempi.

Come mai Matteo Renzi ha fatto questa rapida virata? Un anno fa si era messo di traverso per stoppare ogni e qualsiasi tentativo di dialogo con i grillini, oggi ne diventa promotore con alle spalle la sua consistente truppa parlamentare. La motivazione dell’emergenza economico-finanziaria, pur essendo reale, non convince. L’interpretazione prevalente è che si tratti di una mossa tattica volta a guadagnare tempo sul piano elettorale per il progetto di nuovo partito ancora troppo embrionale per sottoporsi alla prova delle urne, per evitare di uscire con le ossa rotte da una consultazione preparata e gestita dal nuovo establishment Pd, di perdere una folta rappresentanza parlamentare a livello correntizio e il conseguente diritto di veto nella vita delle Camere. Fin qui siamo nel più bieco tatticismo, che non entusiasma, ma si può anche capire.

Renzi però va addirittura oltre e inserisce suoi fedeli amici nella compagine ministeriale: il governo giallo-rosso diventa un po’ anche il suo governo. Egli evidentemente intende controllare i giochi dall’interno, avere una piena dignità di interlocuzione in un governo tutto da scoprire. Passi anche questa mossa ben accetta un po’ da tutti, una specie di salvagente contro eventuali colpi di testa o di mano: affondare la barca su cui si naviga risulta piuttosto irrazionale e paradossale.

Tutti, a quel punto, si aspettavano una pausa di riflessione, invece ecco l’improvvisa accelerazione con l’annuncio ufficiale dell’uscita dai gruppi parlamentari del PD e dal partito stesso. Come mai questa mossa? Probabilmente il nuovo corso giallo-rosso stava prendendo troppo piede, il Pd stava recuperando terreno e ruolo, l’alleanza si allargava in senso elettorale a certe regioni, l’Europa stava dando benedizioni a raffica. La barca rischiava di diventare imbarazzante e coinvolgente. Meglio uscire in buon ordine, dando garanzie di appoggio al governo Conte 2 (?) e giocando al massimo il proprio potere di interdizione fino a raggiungere il momento giusto per varare e strutturare il nuovo partito renziano e sottoporlo al bagno elettorale.

Nel frattempo tutti vanno alla ricerca dell’inventario degli amici di Renzi, disposti a seguirlo fin d’ora. Sembrano pochi anche se carissimi amici. Si parlava di ben cento parlamentari, ora se ne contano meno di quaranta e niente sindaci. Come mai? Forse, dopo il preludio di cui sopra, siamo solo al primo atto: un assaggio di scissione tanto per vedere l’effetto che fa in parlamento, nel partito, nei media, fra la gente. Le pillole vanno prese nelle dosi giuste altrimenti possono attenere l’effetto contrario. Nel frattempo Matteo Renzi è riuscito a conquistare il centro della scena, rubandolo da una parte a Conte, da un’altra parte a Pd e M5S, dall’altra ancora a Matteo Salvini. Ora la politica italiana dipende anche e soprattutto da lui. Personalmente non sono interessato a questi giochi: ne ho visti di peggio, ne ho visti anche di meglio. Sempre giochetti sono e non mi piacciono per niente. Così per me finisce (molto male) il renzismo. E pensare che mi ero fatto qualche illusione…purtroppo mi sono sbagliato di grosso. Renzi, quando vinceva o sembrava vincere, voleva stravincere; da quando ha cominciato a perdere, dimostra di non saper perdere e/o di voler vincere a tutti i costi.

 

Il primato della coscienza

L’Aula della Camera, con voto segreto, ha negato l’autorizzazione all’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del deputato di Forza Italia Diego Sozzani, indagato in un’inchiesta della Dda milanese con l’accusa di illecito finanziamento dei partiti e corruzione. È stato negato anche l’uso delle intercettazioni telefoniche nell’ambito dell’inchiesta stessa.

Si è gridato al quasi-scandalo volendo intravedere in questi voti da una parte la difesa d’ufficio della casta, dall’altra un’operazione politica di contatti fra maggioranza e Forza Italia con l’obiettivo di blindare il governo al Senato: siamo alla dietrologia a tutti i costi.

Nessuno si preoccupa di spiegare in cosa consistano e su cosa si basino le accuse mosse a questo deputato; mi auguro che i suoi colleghi, chiamati ad esprimersi sulla fondatezza del procedimento giudiziario avviato, abbiano, nei limiti del possibile, approfondito il caso sulla base della documentazione a loro disposizione. Non si tratta di una questione politica, né di una questione di governo: c’è in ballo la persona e la dignità di un parlamentare.

Per legge, nessun parlamentare italiano può subire una limitazione della libertà personale – come ad esempio l’arresto ai domiciliari o altre misure cautelari – a meno che lo permetta esplicitamente la Camera a cui appartiene. A luglio la Giunta per le autorizzazioni della Camera aveva votato a favore della richiesta della procura di Milano, quindi dei domiciliari. Nel voto finale in aula a scrutinio segreto, 309 deputati hanno votato per respingere la richiesta della procura, e solo 235 per accoglierla. Se i deputati, a maggioranza, dopo aver ascoltato anche l’accorata autodifesa dell’interessato, hanno ritenuto che non esistessero gli estremi per concedere l’autorizzazione e/o che ci fossero seri dubbi in merito ad essa, non vedo motivo per stracciarsi le vesti, gridare all’inciucio e intorbidire le acque.

Il leader (?) del M5S, Luigi Di Maio, ha commentato il voto in questi termini: «Chi ha votato contro l’arresto di Sozzani dovrebbe risponderne davanti all’opinione pubblica. E invece a causa del voto segreto, non ne risponderà davanti agli italiani. È proprio in questi casi che emerge tutta la differenza tra noi e il resto del sistema». Nossignori, di quel voto i parlamentari dovranno rispondere solo ed esclusivamente davanti alla propria coscienza ed il voto segreto, in casi del genere, mi sembra sacrosanto. Quanto al sistema, è ora di finirla con questi rivoluzionari da operetta, che hanno appena (giustamente) trafficato nella cucina del sistema per preparare il piatto indigesto del Conte 2 e ora fanno gli schizzinosi se qualcuno si permette di ordinare un caffè amaro.

I colpevoli di trasgressione segreta sarebbero diversi deputati del partito democratico: non avrebbero seguito le indicazioni del gruppo a cui appartengono, che si era espresso a favore della concessione degli arresti domiciliari.  Quello dell’Aula su Sozzani “non era un voto sul governo ma su una procedura, noi avevamo dato delle indicazioni precise e i deputati hanno votato secondo coscienza, può succedere”. Così il capogruppo del Pd alla Camera. Condivido pienamente questa lapidaria dichiarazione.

L’intelligence guerrafondaia

L’inviato a New York de “La stampa”, in una pregevole corrispondenza dalla capitale statunitense, in ordine all’inquietante situazione venutasi a creare in Medio Oriente, ipotizza che “l’attacco contro le strutture petrolifere saudite sia stato lanciato da una base iraniana, o da una nave militare nel nord del Golfo Persico, usando missili che volavano a bassa quota assistiti dai droni. Questo è il sospetto più fondato su cui sta lavorando l’intelligence americana, per determinare il colpevole del bombardamento di Abqaiq, e la riposta definitiva potrebbe arrivare presto, perché gli investigatori hanno in mano almeno uno dei vettori usati. Se le prove confermeranno la responsabilità di Teheran, la Casa Bianca dovrà decidere la risposta, e il Pentagono ha già presentato al presidente Trump una serie di opzioni”.

Il reportage prosegue così: “Se questa ipotesi verrà confermata, si tratterebbe di un atto di guerra di cui Teheran sarebbe colpevole. A quel punto Trump dovrebbe decidere come reagire, evitando però l’impressione che stia conducendo una guerra per procura al posto dell’Arabia, e soprattutto il rischio di scatenare un conflitto totale con la Repubblica islamica, proprio dopo aver licenziato il consigliere per la Sicurezza nazionale Bolton perché premeva troppo per il cambio di regime. Quando a giugno gli iraniani avevano abbattuto un drone americano Global Hawk, il capo della Casa Bianca aveva prima ordinato e poi fermato una rappresaglia. Restando nuovamente immobile rischierebbe di fare come Obama, quando aveva rinunciato a far rispettare la «linea rossa» varcata da Assad con l’attacco chimico del 2013. Il Pentagono ha proposto bersagli come i siti di lancio dei missili, o attacchi digitali per bloccare la produzione petrolifera, più che gli stessi pozzi”.

Ebbene, mentre il giornalista succitato azzarda un parallelismo con l’inerzia di Obama nei confronti degli attacchi siriani del 2013, mi permetto di rammentare un’altra situazione simile. Tutti ricordiamo Colin Powel, allora segretario di Stato americano, che mostrava un reperto a dimostrazione della presenza di armi atomiche in Iraq. Allora fu l’inizio di una guerra inutile volta ad abbattere il regime di Sadam Hussein, oggi potrebbe essere l’avvisaglia della virata bellicista contro lo scomodo e pur folle interlocutore iraniano.

Come ho già scritto in altre occasioni, a volte, nella storia passata e recente, sono state adottate decisioni epocali e drammatiche sulla scorta di elementi falsi (guerra all’Iraq), di ricostruzioni romanzate, di finte battaglie di principio (guerra alla Libia), di menzogne spudorate sciorinate per catturare consenso all’interno del proprio Stato, di questioni democratiche messe in campo per coprire sporchi interessi speculativi. Non dimenticherò mai appunto l’impudenza con cui fu preso in giro il Consiglio di sicurezza dell’Onu con autentiche “patacche spionistiche”: ne nacque una guerra in Iraq con migliaia e migliaia di morti le cui conseguenze stiamo ancora pagando e probabilmente pagheremo per non so quanto tempo.

La presenza in campo di un personaggio imprevedibile, sconclusionato e inaffidabile come Donald Trump mi mette ancor più i brividi: un referto spionistico, con tutte le incertezze che comporta, messo nelle mani di un irresponsabile, diventa una spaventosa evenienza. È vero che gli iraniani hanno il vizio di punzecchiare gli Usa e l’Occidente, toccandoli nel punto debole petrolifero, ma speriamo prevalga la prudenza di non scherzare col fuoco. Non c’è crisi petrolifera che possa giustificare una guerra.